Nel 1983, nella piccola e tranquilla cittadina di Hawkins, nell’Indiana, si verifica la sparizione di Will, un ragazzino che stava facendo ritorno a casa in bici dopo una giornata passata a giocare a Dungeons & Dragons con Mike, Dustin e Lucas, i suoi amici inseparabili. La madre di Will si rivolge subito allo sceriffo Hopper, il quale, dopo l’iniziale scetticismo, si rende conto che la scomparsa del ragazzo è collegata ad una serie di fatti oscuri e inquietanti che sembrano condurre alla misteriosa agenzia governativa, con a capo il dottor Brenner, che si trova nelle immediate vicinanze della piccola comunità. Intanto Mike, Dustin e Lucas non si danno per vinti e, cercando di mettersi sulle tracce di Will, s’imbattono in una strana ragazzina sfuggita ai crudeli esperimenti del dottor Brenner.
Questo è solo l’episodio pilota della serie, uno spunto di partenza che ricorda da subito svariate pellicole americane degli anni ’80 entrate da tempo nell’immaginario collettivo di intere generazioni. Stranger Things si presenta come una riuscita e azzeccata operazione nostalgia che rende omaggio a un decennio irripetibile, quello a cavallo tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli ’80, attraverso continui rimandi cinematografici e svariati riferimenti alla cultura e alla società di quel periodo. Una serie dall’animo spielbergiano, con l’immediato collegamento a E.T. (l’amicizia tra ragazzini, le corse in bicicletta, la cornice sci-fi), ma anche carpenteriano, quando si addentra in territori più bui e oscuri sorretta dalle belle musiche sintetiche ed elettroniche realizzate da Kyle Dixon e Michael Stein, che omaggiano palesemente l’autore di Halloween e La cosa com’era già accaduto di recente per la straordinaria colonna sonora di It Follows.
I rimandi non finiscono certo qui: i giovani protagonisti citano costantemente il gioco di ruolo Dungeons & Dragons, il mondo letterario creato da Tolkien, la saga di Star Wars, l’universo dei comics e via dicendo, senza tralasciare un elemento fondamentale e imprescindibile: Stranger Things sembra quasi un collage dei romanzi più ispirati di Stephen King , una via di mezzo tra It, Stand by me e L’incendiaria.
Nell’ideare la serie, concepita più come un unico film fiume suddiviso in otto capitoli, i fratelli Duffer si sono accostati al decennio in cui è ambientata con un’attenzione minuziosa e scrupolosa a ogni singolo dettaglio e un rigore filologico che lascia stupefatti (a partire dal font usato per i titoli di testa), senza dimenticare il riuscito inserimento nel cast di due volti familiari e iconici di quel periodo come Winona Ryder e Matthew Modine.
Il successo e la piena riuscita di Stranger Things non è da imputarsi solo all’effetto vintage, ma anche e soprattutto a un sapiente e ispirato lavoro in fase di scrittura, che si concentra su tre linee narrative ben bilanciate ed equilibrate – quelle dei giovani protagonisti, dei loro fratelli e sorelle maggiori e dei loro genitori – che negli ultimi episodi convergono e si uniscono in modo fluido e armonioso. Uno degli aspetti più sorprendenti è dato dal fatto che la serie, nonostante manchi per forza di cose di originalità, rifacendosi a un immaginario collettivo arcinoto al pubblico a cui è rivolta, risulti in costante crescita di capitolo in capitolo, riuscendo ad appassionare e coinvolgere sino a giungere a un finale commovente e liberatorio.
La componente soprannaturale, horror e fantascientifica intriga, incolla alla poltrona e – come sempre in questi casi – serve anche e soprattutto a parlare d’altro, di amicizia, famiglia, primi amori, elaborazione del lutto e di pericoli e paure da affrontare e superare per crescere e diventare grandi.
I fratelli Duffer fanno propria la lezione spielbergiana, riponendo nei loro giovani protagonisti la speranza per un futuro migliore ma dipingendo al contempo i loro genitori in modo abbastanza benevolo e positivo, al contrario di quanto avviene nel cinema americano degli ultimi anni dove, spesso e volentieri, gli adulti sono assenti, fuori fuoco o fuori campo (si pensi al seminale e imprescindibile It Follows o a titoli recenti di Gus Van Sant come Elephant e Paranoid Park). Sullo sfondo di Stranger Things c’è l’America reaganiana ancora in preda alla paranoia da Guerra Fredda, dove i poteri forti come il Governo, i militari e i servizi segreti recitano la parte dei cattivi in contrapposizione, forse in modo un po’ ingenuo ma efficace, ai giovani e alle loro famiglie, imperfette, incasinate o disfunzionali che siano.
Sembra strano non trovare nella miniserie dei fratelli Duffer lo zampino di J.J. Abrams, uno che sull’omaggio a un certo cinema e immaginario a cavallo tra i ’70 e gli ’80 ha costruito un’intera e redditizia carriera. Basti pensare a Super 8, il collegamento più recente e diretto a Stranger Things, con cui condivide lo stesso, identico, scenario.
I fratelli Duffer si dimostrano profondi conoscitori non solo di un determinato periodo storico ma anche dei generi con cui si sono cimentati, e si divertono a disseminare alcuni piccoli ed evidenti omaggi a Under the Skin, pellicola sci-fi criptica e anomala diretta da Jonathan Glazer nel 2013, assai meno nota al grande pubblico rispetto ai vari titoli citati nella serie targata Netflix.
Stranger Things diverte, intrattiene, emoziona, provoca anche qualche piccolo spavento; c’è da scommettere che saprà catturare l’attenzione delle nuove generazioni, oltre a quella di chi è cresciuto negli anni ’80 e non farà fatica ad immergersi in atmosfere piacevolmente familiari e nostalgiche. Il finale, ben costruito e orchestrato, lascia aperte le porte per una seconda stagione (o più propriamente per un sequel) che, visti gli esiti e l’accoglienza calorosa ed entusiastica, sembra quasi scontata e inevitabile.
Boris Schumacher
Sezione di riferimento: Extra
Scheda Tecnica
Titolo originale: Stranger Things
Regia: Matt e Ross Duffer
Sceneggiatura: Matt e Ross Duffer
Fotografia: Tim Ives, Tod Campbell
Anno: 2016
Durata: 8 Episodi da 50 min. circa cadauno
Interpreti principali: Winona Ryder, David Harbour, Finn Wolfhard, Millie Bobby Brown, Matthew Modine