La prima immagine che ho avuto davanti agli occhi, saputa questa sconvolgente notizia, è stata quella de L’attimo fuggente e del professor Keating in piedi sopra la cattedra. La mia generazione è cresciuta con il mito dell’insegnante poeta e ribelle, propugnatore del pensiero autonomo e del libero arbitrio, e ora questo film appare quasi profetico.
Robin Williams muore a 63 anni per un apparente suicidio, recitano le cronache; a esse è bene lasciare ogni razionale tentativo di spiegazione. Ora alzarsi idealmente in piedi davanti al “mio capitano” sembra l’unico saluto possibile per questo straordinario attore, che ha saputo dare profondità e tensione anche a un sorriso, e spaziare tra mille registri interpretativi con la facilità di chi si cambia d’abito.
Robin Williams rimarrà forse nell’immaginario collettivo per i suoi camaleontici e divertenti personaggi, per la galleria di caratteri che ha saputo creare: Mork, Garp, Popeye, Mrs. Doubtfire, Peter Pan, Aladino, Jack. È stato per anni l’attore brillante per eccellenza, il comico dalla battuta fulminante, l’adulto nell’anima di un ragazzino, puro, spontaneo, vivace. Il meraviglioso esempio dell’arte dell’attore “antico”: fisicità, gestualità, espressioni che fanno il personaggio e lo rendono indimenticabile, inimitabile. L’istrione.
Good Morning, Vietnam (1987) ha aperto un solco importante nella carriera di Robin Williams. Le sue capacità drammatiche sono finalmente emerse con il riconoscimento della prima di quattro nomination agli Oscar, anche se l’apice è stato raggiunto proprio con il film di Peter Weir, nel 1989. Da allora un susseguirsi di interpretazioni splendide e importanti, tutte giocate sul filo dell’ironia, di quel velo di tragicità che, di base, dal professor Keating al cattivo maestro di August Rush, ha sempre aleggiato sui suoi personaggi. Nel 1991 Terry Gilliam gli ha regalato il visionario Perry ne La leggenda del re pescatore, ed è stato ricambiato con una performance ricca e toccante, senza dubbio una delle sue migliori, dove ancora una volta tragedia, sentimento e poesia si sono sposati nelle corde di Williams, nella sua imprevedibilità, nell’indimenticabile danza amorosa nel traffico della stazione.
Ha dovuto peraltro aspettare il 1998 per vincere il suo unico Oscar: Will Hunting – Genio ribelle ha lanciato Matt Damon e Ben Affleck, ma ha anche permesso a Robin Williams di meritarsi la statuetta come migliore attore non protagonista, con un personaggio che era una evoluzione emozionale e intellettuale del professor Keating, lo psicologo in fuga da se stesso ma disposto a cambiare. Will Hunting non era il film di Robin Williams, ma lo è diventato, e rappresenta una delle sue interpretazioni più misurate ed emozionanti.
Dall’anno della definitiva consacrazione, la sua carriera si è spostata sui toni del dramma, sentimentale o familiare. In opere come Al di là dei sogni, L’uomo bicentenario, Patch Adams, si è letteralmente caricato i film sulle spalle, con risultati alterni che non sempre hanno reso giustizia al suo talento. Di conseguenza, quando si è presentata l’occasione di abbandonare il genere sentimentale, l'ha colta al volo. Vale la pena di ricordare One Hour Photo e Insomnia, o anche la magnifica partecipazione a un episodio di Law & Order SVU, proprio per sottolineare che l’istrione è stato anche capace, dove ne ha avuto possibilità, di confrontarsi con personaggi inquietanti, oscuri, disturbanti, che davanti a critica e pubblico avrebbero meritato migliore sorte. Ma il personaggio di successo di un attore diventa grottescamente anche la sua condanna, e così è stato anche per Williams.
La fortunata serie tv, The Crazy Ones, con cui era tornato dal 2013 sul piccolo schermo, rimarrà ora incompiuta.
Robin Williams era una star, non un caratterista, e si capisce dal modo in cui sapeva catalizzare gli occhi dello spettatore su di sé, dalla tensione creata con gli altri attori, dalle dinamiche azione-reazione suscitate in scena. Aveva la tecnica, sapeva aspettare, era generoso sul set, ma in più aveva la passione. Ha veramente messo il cuore nella sua arte e ci ha catturati nel suo universo, nella girandola di vibranti personaggi piccoli e grandi; ci ha guidati nella strada per farci uomini, ci ha fatti volare come Peter Pan e ha reso popolare Orazio e il suo “carpe diem”. Ci ha chiesto di credere nella poesia, nell’amore e nell’impossibile, ci ha indicato la linea su Ork. E ora è tornato al suo pianeta, lasciandoci qui.
La perdita di Robin Williams appare ora come un abbandono. Come se chiedesse a tutti noi di diventare grandi. Ma forse non vogliamo diventarlo.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Extra
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