Australia, 1968: Gail (Deborah Mailman), Julie (Jessica Mauboy), and Cynthia (Miranda Tapsell), tre sorelle aborigene nella terra australiana arretrata e razzista, sono sconfitte a una gara locale di canto. Propongono un genere, la motown music, che mal si adatta alle tradizioni del posto e che viene guardato con un misto di noia e sospetto dall’intera comunità. La stessa presenza degli aborigeni è appena sopportata, in una fase storica molto ben descritta dal film, che sottolinea anche il drammatico destino dei “bambini rubati”, piccoli aborigeni che - dai primi del Novecento fino al 1969 - venivano sottratti alla propria famiglia e alle proprie radici per essere cresciuti dai bianchi.
La gara di canto è un evento insignificante ma in qualche modo fondamentale, perché permette alle ragazze di incontrare Dave Lovelace (Chris O’Dowd), un talent scout irlandese tanto capace di fiutare talenti come di autodistruggersi con l’alcool. Anche lui ha bisogno di una sfida, dopotutto. Ed ecco l’idea: partire per un tour per le truppe di stanza in Vietnam. Il coinvolgimento di Kay (Shari Sebbens), una cugina cresciuta come una “bambina rubata”, porta scompiglio ma anche la perfetta armonia tra le voci: le Sapphires possono partire.
In questa straordinaria avventura umana, che metterà l’intero gruppo di fronte a importanti scelte di vita, la coinvolgente musica soul fa da sfondo e cornice a una toccante storia di amore, sorellanza, razzismo e integrazione, in cui ciascuno lotta contro i propri demoni – della debolezza o della tentazione – per mantenere il rispetto di sé ed emanciparsi, affermare il diritto di esistere.
Il viaggio delle Sapphires alla ricerca di una identità di gruppo si fonde con il desiderio individuale di felicità e con un contesto storico e culturale di estrema complessità, che lega paesi e popoli veramente divisi solo nella cartina geografica: si combatte per il riconoscimento e la dignità delle proprie origini, ci si affranca dagli stereotipi e dai pregiudizi di etnia e di genere, si ostenta una tenace speranza di fronte alle insensate conseguenze di una guerra senza nemici visibili. Il canto – non importa se l’americanissimo soul di James Brown o quello aborigeno tradizionale – è la musica universale che interrompe gli orrori dei conflitti, concilia con le note delle emozioni, avvicina a un grande messaggio di vita e di pace.
Perfetta la scelta degli attori, volti popolari nella televisione e nel cinema australiano, con una menzione speciale per Deborah Mailman (già performer del testo in teatro, nel 2004), e Chris O’Dowd, che qualcuno ricorderà come il poliziotto imbranato de Le amiche della sposa, qui impegnato in un ruolo che valorizza il suo talento brillante e le potenzialità drammatiche.
Il regista Wayne Blair segna gli spazi liberi degli interpreti e a loro si dedica. Non compie lo sforzo di rendere realistico il Vietnam, e non si addentra certo nella storia contemporanea americana: la sua descrizione d’ambiente rimane statica – benché funzionale – ed esclusivamente legata al ciclo di vita, per così dire, delle Sapphires in terra straniera: tutto è filtrato dai loro occhi e dalle loro voci. Il film è interamente costruito sulla dinamica delle relazioni, quindi gli accadimenti, i bombardamenti, la polemica politica, compaiono solo in quanto si riflettono nei comportamenti, nelle parole delle protagoniste; la natura teatrale del testo, in questo caso, conferma che un film possa e debba essere trattato in modo diverso da un’opera da palcoscenico. Lacunoso in alcuni snodi narrativi, in cui accarezza i temi dove sarebbe stato preferibile graffiare, il film non ha altra ambizione che quella di rendere pubblico questo piccolo spaccato di vita realmente accaduto.
Dietro la storia delle Sapphires, infatti, c’è il racconto biografico della madre e della zia di Tony Briggs (autore della pièce e sceneggiatore del film insieme a Keith Thompson), che quell’esperienza di cantanti itineranti per le truppe in Vietnam la fecero davvero. Il film diventa quindi non solo un momento di intrattenimento e recupero della storia, ma anche un prezioso documento per fissare nell’immortalità della pellicola il ricordo, la memoria. Le atmosfere, le scelte fotografiche e scenografiche sono chiuse in una dimensione quasi irreale e nostalgica, sino al finale, con le immagini dei volti veri che hanno ispirato The Sapphires. Fuori dalla ridotta prospettiva della macchina da presa, e dopo l’happy ending, si compie la realtà.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Cinema dal mondo
Scheda tecnica
Titolo originale: The Sapphires
Regia: Wayne Blair
Sceneggiatura: Tony Briggs, Keith Thompson
Attori: Deborah Mailman, Chris O’Dowd, Jessica Mauboy, Miranda Tapsell, Shari Sebbens.
Anno: 2012
Durata: 103'
Fotografia: Warwick Thornton
Musica: Cezary Skubiszewski
Uscita in Italia: inedito