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THE PRESIDENT - Fuochi di rivolta

19/10/2015

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Mohsen Makhmalbaf, nato a Teheran ma ormai lontano dalla sua nazione da circa dieci anni a causa del suo lavoro, realizza con The President un film che racconta la caduta di un regime dittatoriale in in una nazione non precisata, di finzione. La trama, semplice e chiarissima, muove i passi dalla sfarzosa roccaforte di Misha Gomiashvili, il Presidente che impunemente opprime la popolazione della sua terra. Giocando con il nipote di cinque anni, Dachi, si diletta ad accendere e spegnere le luci della capitale. Un passatempo che, come spiega al piccolo, è diretta conseguenza del potere sterminato che è ormai nelle sue mani da moltissimi anni. A un tratto, però, le luci della città non si riaccendono: l’oppressione a cui i cittadini sono stati costretti per lungo tempo ha generato dei moti rivoluzionari che getteranno dittatura e paese nel caos.
Il regista iraniano dirige il suo film negli spazi fisici e reali della Georgia, che da ex paese appartenente a un sistema totalitario appare una terra ideale per rappresentare la vicenda di The President. I suoi spazi, la piattezza delle campagne e i volti duri e segnati degli attori sono perfetti per veicolare il messaggio che Makhmalbaf vuole recapitare allo spettatore. Questo suo lavoro, infatti, inscena eventi che hanno avuto luogo in molte nazioni in passato e che sfortunatamente continueranno ad accadere in futuro. Ci sono dei momenti particolari e precisi che sono comuni a queste rivolte e che raramente sono conchiuse all’interno di una sola realtà. Dittatura, oppressione e povertà conducono a una rottura che genera, a sua volta, ulteriore violenze all’interno delle varie correnti e idee che l’hanno generata.
Makhmalbaf decide di focalizzarsi sulla tragedia vissuta da quella fetta di popolazione che (soprav)vive, o che cerca di farlo, in mezzo alle violenze perpetrate dal tiranno e dai rivoluzionari: «dopo aver vissuto un decennio in nazioni differenti, il mio cuore non batte esclusivamente per una sola. Essere a conoscenza di ciò che accade in Siria mi colpisce esattamente come ciò che succede in Libia, Egitto, Iran, Iraq o Afghanistan, o qualsiasi luogo nel mondo».
Misha, il Presidente in fuga, non è solo nel suo tentativo di raggiungere la salvezza; è accompagnato dal nipotino Dachi, rimastogli accanto dopo che il resto della famiglia è riuscito a fuggire. Insieme vagano per i paesaggi che prima gli appartenevano, e hanno modo di incontrare la popolazione sottomessa e costretta alla povertà. Misha è costretto a nascondere la propria identità fingendosi un musicista di strada; ciò gli consente di sopravvivere e di comprendere direttamente le condizioni in cui versavano i suoi sudditi. The President è infatti un film in cui i luoghi hanno un valore particolare; essi sono spazi su cui per anni si è riflesso il potere in tutta la sua forza, impoverendo e segnando popolo e territorio. Il vagare di Misha è veicolo di conoscenza per lui – figura che a tratti fa trasparire un certo rimorso – e per lo spettatore, che ha modo di visitare con gli occhi il sudore, le rughe e le lacrime degli oppressi, ognuno dei quali non si esime certo dall’esternare i propri sogni di vendetta nei confronti dell’ex dittatore.
Misha e Dachi, insieme, rappresentano anche passato e futuro di una nazione, il vecchio che è senza troppi chiaroscuri il male e il nuovo, il bambino, che rappresenta l’innocenza cresciuta all’interno di un ambiente tirannico, ma che può ancora esimersi per un futuro migliore.
The President, presentato all’edizione 2014 del Festival di Venezia, è un’opera filmica che non si esime dal mostrare le violenze perpetrate da un despota e quelle infuocate delle rivoluzioni che cercano di rovesciare una dittatura. Nel mezzo, disperata e vittima, sta una parte di popolazione che come nella Siria odierna, o nei paesi delle varie Primavere Arabe, è destinata a soffrire senza possibilità di scelta.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Cinema dal mondo


Scheda tecnica

Titolo originale: The President
Anno: 2014
Regia: Mohsen Makhmalbaf
Sceneggiatura: Mohsen Makhmalbaf, Marziyeh Meshkiny
Musica: Christian Siddell
Fotografia: Konstantine-Mindia Esadze
Durata: 119’
Uscita italiana: 30 agosto 2014
Attori principali: Mikheil Gomiashvili, Dachi Orvelashvili

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I GATTI PERSIANI - Indie Teheran

5/10/2015

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Negar (Negar Shaghaghi) e Ashkan (Ashkan Koushanejad) sono un ragazzo e una ragazza iraniani che coltivano il desiderio di formare una rock band per esibirsi al di fuori del loro Paese. Sono appena usciti di prigione e vogliono lasciare Teheran per vivere un'esistenza normale, come quella di milioni di coetanei.
​Purtroppo il regime tollera soltanto la musica della tradizione e non è affatto semplice dar vita a un gruppo rock. Anzi, è proibito. Per Negar e Ashkan diventa dunque un'impresa soltanto contattare i musicisti. Si offre di aiutarli Nader (Hamed Behdad), un “produttore” che si innamora del talento dei due giovani. Entusiasta, positivo, ironico, li farà incontrare con altri ragazzi che suonano, e sognano, di nascosto. Li condurrà nei posti più impensati (in questo caso il termine underground va inteso in senso letterale), dagli scantinati della capitale fino a una stalla sperduta nella campagna circostante. E sempre Nader, grazie alle sue conoscenze poco raccomandabili, darà loro una mano a ottenere un visto e un passaporto (illegali) per uscire legalmente dal Paese.  

​Con I gatti persiani, il regista iraniano di etnia curda Bahman Ghobadi, già assistente alla regia di Abbas Kiarostami ne Il vento ci porterà via, realizza un film lontano sia dallo stile della scuola iraniana di cinema che dalla sua produzione precedente. Quest'opera assomiglia più a un documentario sulla scena underground di Teheran, mentre le esibizioni live delle band, veri e propri video musicali, sono accompagnate da collage di immagini frenetiche che raccontano le contraddizioni dell'Iran contemporaneo. Inoltre, il film è interamente parlato in lingua parsi anziché in curdo, come avveniva nei lavori antecedenti di Ghobadi. 
In ogni caso il valore dell'opera, ispirata a fatti realmente accaduti, sta nella denuncia nei confronti di un regime bieco e folle, che vieta l'alcol, nonché il cinema e la musica non tradizionali, ma che in realtà è corrotto fino al midollo. Ghobadi sceglie un taglio ironico per mettere a nudo la rigidità e l'ottusità delle leggi in vigore: l'interrogatorio di Nader, trovato in possesso di pellicole bandite, si tramuta in farsa quando questi regala la sua collezione al funzionario, raccomandandogli di avvicinarsi al cinema occidentale con un'ottica spirituale. E anche nei momenti in cui non è coinvolto il funambolico Nader, come nell'episodio in cui un ligio poliziotto ferma Negar e Ashkan perché non è consentito loro di guidare con un cane a bordo, il risultato non può che essere grottesco: l'eccessivo rigore finisce per sortire l'effetto contrario, innescando situazioni ridicole e surreali. 
I gatti persiani offre pure al pubblico l'occasione di conoscere la ricca scena musicale indipendente di un Iran che, nonostante tutto, è popolato da giovani che nutrono ancora speranze e che hanno un'enorme voglia di vivere. Giovani che però non rinnegano il loro Paese, che invece amano profondamente. Certo, esiste il mito dell'Occidente (gli uccelli domestici di Nader si chiamano Monica Bellucci, Scarlett e Rhett), ma tale ammirazione non può comunque scalfire l'amore per la propria terra. 
Vincitore del premio speciale della Giuria nella sezione Un Certain Regard, ex aequo con Il padre dei miei figli di Mia Hansen-Løve, al 62° Festival di Cannes, il film non è affatto piaciuto al regime di Teheran, che non l'aveva autorizzato: Ghobadi ha pagato con l'esilio il suo coraggio. La stessa compagna del regista, la giornalista Roxana Saberi, che ha collaborato alla sceneggiatura, in carcere dal gennaio 2009 con l'accusa di spionaggio, è stata liberata pochi giorni prima del festival. Non miglior sorte è toccata ai due attori protagonisti, che sono davvero dei musicisti e hanno fondato la band Take It Easy Hospital. Costretti a chiedere asilo politico in Inghilterra, hanno però realizzato il sogno di Negar e Ashkan: vivere e suonare a Londra. 

Serena Casagrande

Sezione di riferimento: Cinema dal mondo

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Scheda tecnica

Titolo originale: Kasi az Gorbehaye Irani Khabar Nadareh
Anno: 2009
Regia: Bahman Ghobadi
Sceneggiatura: Bahman Ghobadi, Hossein M. Abkenar, Roxana Saberi
Fotografia: Touraj Aslani
Durata: 106'
Interpreti principali: Negar Shaghaghi, Ashkan Koushanejad, Hamed Behdad
Musica: Ashkan Koushanejad, Mahdyar Aghajani

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