The Snowtown Murders (2011), primo lungometraggio di Justin Kurzel, non entra però nella psicologia dell’assassino, come aveva fatto Herzog con il bellissimo My son, my son, what have ye done?, e affronta solo marginalmente il tema dell’influenza genitoriale nella (dis)educazione del giovane killer, cosa trattata con grande efficacia da We Need to Talk About Kevin (E ora parliamo di Kevin).
Il film offre un ritratto inquietante di vite oltre il limite della normalità, ma soprattutto racconta e costruisce la più inquietante delle storie vere, radicandola alla società in cui si compie, legandola in modo indissolubile al contesto familiare, relazionale e ambientale in cui avviene. Ed è tutto quasi come la naturale, inevitabile conseguenza di situazioni, manipolazioni e fatti. Il giovane Jamie (Lucas Pittaway) sopravvive, silenzioso e isolato, in una realtà fatta di disperazione e abusi reiterati. Per sottrarsi all’abitudine di violenze costanti e ripetute, il ragazzo scappa e trova rifugio nella casa di John Bunting (Daniel Henshall), in una famiglia che sembra quella di Charles Manson, tanto aperta ad accogliere il reietto quanto stretta nel manipolarne la fragile mente, il corpo, i pensieri e le azioni, fino a portarlo non solo ad accettare la violenza più atroce, ma a perpetrarla egli stesso.
Il cattivo maestro trova un allievo disperato dal desiderio di stabilire rapporti piuttosto che di farsi escludere; gioca con le sue debolezze, le mancanze, i desideri, gli mostra solo pochi brandelli di normalità, e insinuandosi tra la maglie larghe delle sue emozioni lo attira a sé, spingendosi e spingendolo a sorpassare la linea invisibile che separa la debolezza dalla brutalità, la rabbia dalla violenza. La vita dalla morte.
The Snowtown Murders è un film tutto al maschile in cui la componente sessuale, per quanto non sottolineata, è una delle variabili che determina sia i comportamenti che le dinamiche psicologiche dei personaggi. Il ritratto della comunità assassina è un quadro d’insieme che si compone e i cui colori tendono a mutare a seconda della prospettiva offerta allo spettatore. La storia di abusi, di sessualità più o meno implicita, lo schema di attrazione/repulsione verso il carismatico leader terrorizzante e subdolo si snoda sul piano dell’ambiguità; eppure il regista – pur senza mai giudicare - non si confonde e non ci confonde.
La scelta di Jamie di non rimanere spettatore degli omicidi, ma di fare quel salto, di diventare assassino a propria volta, è personale, non determinata tanto dalla società, quanto dalle persone. Il fascino del male e la decisione di farsi prendere nella spirale è forse solo un clic, tambureggiante e impercettibile, che scatta all’improvviso nella mente, annulla le emozioni, raggela le resistenze, la percezione del bene, e fredda perfino gli istinti.
La regia di Justin Kurzel si mostra distaccata, quasi realistica nel narrare il percorso mentale verso quel ‘clic’. È un crudele gioco delle parti tra i personaggi principali, Jamie e John, elaborato in immagini attraverso contrapposizioni e contrasti. Il film cattura da subito ma inizia veramente a funzionare, a crescere, a coinvolgere suo malgrado lo spettatore nel turbine di efferatezze proprio quando abbandona la strada del realismo per imboccarne una più personale, fatta di tagli netti, montaggio, dettagli, cura del particolare. L’inquietudine, la disturbante sensazione di orrore si crea attraverso lunghe scene di dialogo, complesse e sottili, alternate alla barbarie degli omicidi. E se Kurzel non si autocompiace nel mostrare, e di certo non risparmia nulla all’immaginazione, tuttavia sono quelli i momenti più riusciti nel film. Merito anche della splendida prova di Daniel Henshell, la cui figura impera anche quando non c’è, nelle inquadrature ottimamente composte dal regista - in cui l’inquietante pater familias (per dirla con una felice intuizione del critico Peter Bradshaw del The Guardian) si mostra defilato, sfocato, invisibile. E onnipresente.
La tensione, l’attesa, la sensazione della violenza che aleggia in ogni singola inquadratura, in ogni scena, quella percezione di destino che sta per compiersi, si trascina verso di noi, impotenti spettatori della morte inutile, dell’abbandono, della lucida follia, della fragilità dell’adolescenza rubata. Noi spettatori degli avvenimenti in una città che pare inesistente, inconsistente, addirittura vuota. John è il nostro dirimpettaio, il sinistro vicino di casa di là dal muro, il padre di famiglia, padrino e padrone delle esistenze che attorno a lui girano; burattini, prede e predatori nell’apocalisse che esplode tra le mura, mentre fuori il mondo racconta un’altra storia. Forse.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Cinema dal mondo
Scheda tecnica
Titolo originale: The Snowtown Murders, a.k.a. Snowtown
Produzione: Australia
Regia: Justin Kurzel
Attori: Daniel Henshall, Lucas Pittaway, Louise Harris
Sceneggiatura: Shaun Grant
Fotografia: Adam Arkapaw
Musiche: Jed Kurzel
Durata: 119'
Anno: 2011