Purtroppo il regime tollera soltanto la musica della tradizione e non è affatto semplice dar vita a un gruppo rock. Anzi, è proibito. Per Negar e Ashkan diventa dunque un'impresa soltanto contattare i musicisti. Si offre di aiutarli Nader (Hamed Behdad), un “produttore” che si innamora del talento dei due giovani. Entusiasta, positivo, ironico, li farà incontrare con altri ragazzi che suonano, e sognano, di nascosto. Li condurrà nei posti più impensati (in questo caso il termine underground va inteso in senso letterale), dagli scantinati della capitale fino a una stalla sperduta nella campagna circostante. E sempre Nader, grazie alle sue conoscenze poco raccomandabili, darà loro una mano a ottenere un visto e un passaporto (illegali) per uscire legalmente dal Paese.
Con I gatti persiani, il regista iraniano di etnia curda Bahman Ghobadi, già assistente alla regia di Abbas Kiarostami ne Il vento ci porterà via, realizza un film lontano sia dallo stile della scuola iraniana di cinema che dalla sua produzione precedente. Quest'opera assomiglia più a un documentario sulla scena underground di Teheran, mentre le esibizioni live delle band, veri e propri video musicali, sono accompagnate da collage di immagini frenetiche che raccontano le contraddizioni dell'Iran contemporaneo. Inoltre, il film è interamente parlato in lingua parsi anziché in curdo, come avveniva nei lavori antecedenti di Ghobadi.
In ogni caso il valore dell'opera, ispirata a fatti realmente accaduti, sta nella denuncia nei confronti di un regime bieco e folle, che vieta l'alcol, nonché il cinema e la musica non tradizionali, ma che in realtà è corrotto fino al midollo. Ghobadi sceglie un taglio ironico per mettere a nudo la rigidità e l'ottusità delle leggi in vigore: l'interrogatorio di Nader, trovato in possesso di pellicole bandite, si tramuta in farsa quando questi regala la sua collezione al funzionario, raccomandandogli di avvicinarsi al cinema occidentale con un'ottica spirituale. E anche nei momenti in cui non è coinvolto il funambolico Nader, come nell'episodio in cui un ligio poliziotto ferma Negar e Ashkan perché non è consentito loro di guidare con un cane a bordo, il risultato non può che essere grottesco: l'eccessivo rigore finisce per sortire l'effetto contrario, innescando situazioni ridicole e surreali.
I gatti persiani offre pure al pubblico l'occasione di conoscere la ricca scena musicale indipendente di un Iran che, nonostante tutto, è popolato da giovani che nutrono ancora speranze e che hanno un'enorme voglia di vivere. Giovani che però non rinnegano il loro Paese, che invece amano profondamente. Certo, esiste il mito dell'Occidente (gli uccelli domestici di Nader si chiamano Monica Bellucci, Scarlett e Rhett), ma tale ammirazione non può comunque scalfire l'amore per la propria terra.
Vincitore del premio speciale della Giuria nella sezione Un Certain Regard, ex aequo con Il padre dei miei figli di Mia Hansen-Løve, al 62° Festival di Cannes, il film non è affatto piaciuto al regime di Teheran, che non l'aveva autorizzato: Ghobadi ha pagato con l'esilio il suo coraggio. La stessa compagna del regista, la giornalista Roxana Saberi, che ha collaborato alla sceneggiatura, in carcere dal gennaio 2009 con l'accusa di spionaggio, è stata liberata pochi giorni prima del festival. Non miglior sorte è toccata ai due attori protagonisti, che sono davvero dei musicisti e hanno fondato la band Take It Easy Hospital. Costretti a chiedere asilo politico in Inghilterra, hanno però realizzato il sogno di Negar e Ashkan: vivere e suonare a Londra.
Serena Casagrande
Sezione di riferimento: Cinema dal mondo
Scheda tecnica
Titolo originale: Kasi az Gorbehaye Irani Khabar Nadareh
Anno: 2009
Regia: Bahman Ghobadi
Sceneggiatura: Bahman Ghobadi, Hossein M. Abkenar, Roxana Saberi
Fotografia: Touraj Aslani
Durata: 106'
Interpreti principali: Negar Shaghaghi, Ashkan Koushanejad, Hamed Behdad
Musica: Ashkan Koushanejad, Mahdyar Aghajani