Werner Herzog al limite, ancora una volta: stavolta il pretesto è un “fantasy science fiction”, genere di per sé deputato a scavalcare ogni frontiera, seppur in un'ottica speculativa e perciò apparentemente distante dallo sguardo sempre radicato nella realtà tipico del cineasta tedesco. In realtà, se oggi un limite è ravvisabile nella fantascienza, è proprio perché troviamo difficile astrarci dal reale, e non riusciamo più a far volare la fantasia verso un impossibile altrove. Il film, da questo punto di vista, è uno dei più geniali e poetici canti del fallimento di un'umanità smarrita, cui Herzog sembra fornire nuove possibilità attraverso una diversificazione delle prospettive.
Lo sguardo spiritato del grandissimo Brad Dourif è lì a farci da monito rispetto a ciò che non si è riusciti a costruire nemmeno con l'ausilio di un'avanzata tecnologia aliena – l'attore interpreta infatti un transfuga di Alpha Centaury, che rievoca il suo arrivo sul nostro pianeta e il suo vano tentativo di mettere il proprio sapere al servizio della nuova patria. Ma la sua voce è anche la nostra guida lungo il viaggio impossibile degli astronauti terrestri verso l'ignoto spazio profondo, in cerca di nuovi mondi abitabili, in vista di un futuro in cui la Terra non sarà più in grado di accogliere la vita. Disillusione e speranza insieme, quindi: un approccio duale alla materia che è l'asse portante dell'intera operazione.
Herzog mescola così materiali di repertorio, pescati dall'archivio della NASA (ringraziata per il suo “senso poetico”), insieme a spettacolari sequenze di sub che esplorano i mari sotto la calotta antartica, e interviste a scienziati ed esperti di ingegneria spaziale, che formulano interessanti ipotesi futuribili. Tutti elementi che ci riportano immediatamente alla concretezza del reale, a un'idea di scienza che è matematica, che si esprime attraverso intrichi di cavi, plastica e metallo, quasi una sorta di contrappasso al caos degli scenari in cui si esprime lo stesso Brad Dourif. Ma, come ricorda uno degli scienziati, il Caos non è necessariamente un elemento negativo, ma una possibilità che apre nuove porte; così il viaggio degli astronauti diventa quasi una danza di corpi liberati dal peso della gravità, che si librano negli spazi angusti delle navicelle e finiscono naturalmente per confluire nell'incredibile forza espressiva delle sequenze subacquee. A rivederlo oggi colpisce soprattutto la preveggenza di chi aveva quasi prefigurato l'incredibile canto della “stranezza spaziale” di David Bowie da parte del Colonnello Chris Hadfield sulla Stazione Spaziale Internazionale. Segno che l'idea è quella giusta, e che l'arte riesce sempre a reinterpretare la realtà, anticipandola.
Coadiuvato dai suggestivi canti del coro sardo “Cuncordu e Tenore” e dal violoncello del musicista olandese Ernst Reijseger, Herzog rinnova così lo spazio e crea l'illusione di un mondo realmente alieno: il regista sembra ammonirci che la nostra incapacità di vedere la finzione e di sognare l'altrove ci abbia fatto smarrire quel “senso poetico” che ogni giorno ci pone di fronte a un mondo capace di contenere al suo interno ulteriori universi. Ecco dunque che gli elementi del reale si trasfigurano e assumono una caratura, davvero, aliena e che il mondo abbandonato dagli extraterrestri diventa la possibile nuova casa dell'umanità. Lo sguardo dello spettatore, apparentemente costretto dagli elementi del reale, può finalmente perdersi e sognare l'altrove, attraverso le tappe scandite da una struttura narrativa volutamente disarticolata, che si prende numerose pause, come nel 2001 kubrickiano, per lasciare il tempo alla mente di assaporare la forza dell'esperienza.
Il che, al di là degli aspetti squisitamente poetici, diventa anche una riflessione sulla capacità ingannevole dell'immagine e sulle sue possibilità mitopoietiche: in breve, sui limiti della rappresentazione. Herzog, in fondo, è un regista troppo intelligente per ignorare le possibilità teoriche di un lavoro che a tratti sembra un divertissement d'autore. Al contrario, pochi registi possiedono oggi una tale lucidità speculativa; così il film diventa anche un saggio sulla ricombinazione degli elementi e sulle sperimentazioni del linguaggio per immagini. Un lavoro comunque non accademico, ma capace anzi di creare risonanze inaspettate, attraverso inserti ora malinconici (la frustrazione dell'alieno e gli scenari desolati della Terra investiti di rifiuti), ora ironici (lo starnuto dello scienziato), ora squisitamente satirici, laddove Herzog sembra ricordarci come sia stata la prospettiva economicista (fra le teorie si parla di supermercati spaziali e gli stessi alieni, arrivati sulla Terra, vogliono costruire un'enorme area commerciale) a condannarci all'aridità di pensiero.
La via verso l'ignoto spazio profondo, quindi, descrive anche e soprattutto un viaggio addentro all'umanità, ai suoi errori, ai suoi sogni e alle sue speranze. Così un divertissement diventa un autentico capolavoro.
Davide Di Giorgio
Sezione di riferimento: Special Werner Herzog
Scheda tecnica
Titolo originale: The Wild Blue Yonder
Anno: 2005
Regia: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Fotografia: Henry Kaiser, Tanja Koop, Klaus Scheurich
Musiche: Ernst Reijseger, Mola Sylla, Concordu e Tenore
Durata: 81'
Uscita in Italia: 18 Novembre 2005
Interpreti principali: Brad Dourif, Capitano Donald Williams, Dr. Ellen Baker, Franklin Chang-Diaz, Roger Diehl.
Lo sguardo spiritato del grandissimo Brad Dourif è lì a farci da monito rispetto a ciò che non si è riusciti a costruire nemmeno con l'ausilio di un'avanzata tecnologia aliena – l'attore interpreta infatti un transfuga di Alpha Centaury, che rievoca il suo arrivo sul nostro pianeta e il suo vano tentativo di mettere il proprio sapere al servizio della nuova patria. Ma la sua voce è anche la nostra guida lungo il viaggio impossibile degli astronauti terrestri verso l'ignoto spazio profondo, in cerca di nuovi mondi abitabili, in vista di un futuro in cui la Terra non sarà più in grado di accogliere la vita. Disillusione e speranza insieme, quindi: un approccio duale alla materia che è l'asse portante dell'intera operazione.
Herzog mescola così materiali di repertorio, pescati dall'archivio della NASA (ringraziata per il suo “senso poetico”), insieme a spettacolari sequenze di sub che esplorano i mari sotto la calotta antartica, e interviste a scienziati ed esperti di ingegneria spaziale, che formulano interessanti ipotesi futuribili. Tutti elementi che ci riportano immediatamente alla concretezza del reale, a un'idea di scienza che è matematica, che si esprime attraverso intrichi di cavi, plastica e metallo, quasi una sorta di contrappasso al caos degli scenari in cui si esprime lo stesso Brad Dourif. Ma, come ricorda uno degli scienziati, il Caos non è necessariamente un elemento negativo, ma una possibilità che apre nuove porte; così il viaggio degli astronauti diventa quasi una danza di corpi liberati dal peso della gravità, che si librano negli spazi angusti delle navicelle e finiscono naturalmente per confluire nell'incredibile forza espressiva delle sequenze subacquee. A rivederlo oggi colpisce soprattutto la preveggenza di chi aveva quasi prefigurato l'incredibile canto della “stranezza spaziale” di David Bowie da parte del Colonnello Chris Hadfield sulla Stazione Spaziale Internazionale. Segno che l'idea è quella giusta, e che l'arte riesce sempre a reinterpretare la realtà, anticipandola.
Coadiuvato dai suggestivi canti del coro sardo “Cuncordu e Tenore” e dal violoncello del musicista olandese Ernst Reijseger, Herzog rinnova così lo spazio e crea l'illusione di un mondo realmente alieno: il regista sembra ammonirci che la nostra incapacità di vedere la finzione e di sognare l'altrove ci abbia fatto smarrire quel “senso poetico” che ogni giorno ci pone di fronte a un mondo capace di contenere al suo interno ulteriori universi. Ecco dunque che gli elementi del reale si trasfigurano e assumono una caratura, davvero, aliena e che il mondo abbandonato dagli extraterrestri diventa la possibile nuova casa dell'umanità. Lo sguardo dello spettatore, apparentemente costretto dagli elementi del reale, può finalmente perdersi e sognare l'altrove, attraverso le tappe scandite da una struttura narrativa volutamente disarticolata, che si prende numerose pause, come nel 2001 kubrickiano, per lasciare il tempo alla mente di assaporare la forza dell'esperienza.
Il che, al di là degli aspetti squisitamente poetici, diventa anche una riflessione sulla capacità ingannevole dell'immagine e sulle sue possibilità mitopoietiche: in breve, sui limiti della rappresentazione. Herzog, in fondo, è un regista troppo intelligente per ignorare le possibilità teoriche di un lavoro che a tratti sembra un divertissement d'autore. Al contrario, pochi registi possiedono oggi una tale lucidità speculativa; così il film diventa anche un saggio sulla ricombinazione degli elementi e sulle sperimentazioni del linguaggio per immagini. Un lavoro comunque non accademico, ma capace anzi di creare risonanze inaspettate, attraverso inserti ora malinconici (la frustrazione dell'alieno e gli scenari desolati della Terra investiti di rifiuti), ora ironici (lo starnuto dello scienziato), ora squisitamente satirici, laddove Herzog sembra ricordarci come sia stata la prospettiva economicista (fra le teorie si parla di supermercati spaziali e gli stessi alieni, arrivati sulla Terra, vogliono costruire un'enorme area commerciale) a condannarci all'aridità di pensiero.
La via verso l'ignoto spazio profondo, quindi, descrive anche e soprattutto un viaggio addentro all'umanità, ai suoi errori, ai suoi sogni e alle sue speranze. Così un divertissement diventa un autentico capolavoro.
Davide Di Giorgio
Sezione di riferimento: Special Werner Herzog
Scheda tecnica
Titolo originale: The Wild Blue Yonder
Anno: 2005
Regia: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Fotografia: Henry Kaiser, Tanja Koop, Klaus Scheurich
Musiche: Ernst Reijseger, Mola Sylla, Concordu e Tenore
Durata: 81'
Uscita in Italia: 18 Novembre 2005
Interpreti principali: Brad Dourif, Capitano Donald Williams, Dr. Ellen Baker, Franklin Chang-Diaz, Roger Diehl.