Fitzcarraldo, uscito nel 1982 in seguito a una lavorazione lunga (ben quattro anni) e notoriamente travagliata, è una delle opere più conosciute, nonché maggiormente controverse e impegnative, del grande regista tedesco. La figura dell’irlandese Brian Sweeney Fitzgerald, detto Fitzcarraldo poiché gli abitanti della foresta amazzonica peruviana, di lingua spagnola, non riuscivano a pronunciare il suo nome, rappresenta uno dei tòpoi principali del cinema di Herzog e, in questo caso più che mai, il riflesso diretto dello stesso Werner.
Arte e vita si fondono in continuazione, in quest’opera immensa e tormentata fin dalla sua nascita: le riprese ebbero inizio nel 1979, ma la troupe fu costretta a uno stop forzato a causa dell’opposizione di un gruppo politico legato alla tribù degli Aguaruna, con minacce di morte e voci diffamatorie ai danni di chi stava lavorando al film. La produzione fu obbligata a fermarsi per un anno, per poi riprendere con Jason Robards nel ruolo del protagonista e Mick Jagger nei panni di Wilbur, un attore folle e un po’ tardo; Robards si ammalò in modo grave, i medici gli proibirono di tornare sul set, e anche Jagger abbandonò. Tutto ciò costò a Fitzcarraldo un’ulteriore battuta d’arresto, e Herzog decise di gettare via il girato, nonostante costituisse già il 40% dell’opera.
Ricominciò dunque da zero, nell’aprile del 1981, con Klaus Kinski, il suo attore feticcio, già visto all’epoca in capolavori come Aguirre e Nosferatu, a ricoprire la figura centrale: è lecito domandarsi cosa sarebbe stato il film con Robards (e Jagger) al posto del bizzarro attore germanico, ma la risposta è quasi automatica: la sostituzione è stata probabilmente provvidenziale. Kinski è perfetto, ancora una volta l'insostituibile alter-ego di Herzog in un’opera che non è errato definire metacinema: Fitzgerald (ispirato a un personaggio realmente esistito, Carlos Fermin Fitzcarrald, un magnate della gomma peruviano che spostò una nave via terraferma facendola smontare) è lo specchio di Herzog in ogni singolo istante del film. Il sogno folle e impossibile di Fitzcarraldo, uomo che ama incondizionatamente l’opera e Caruso, ossia costruire un teatro nella foresta amazzonica, è il medesimo sogno artistico del regista, nient’altro che portare a termine quest’impresa filmica, titanica, rischiosa, spesso ai confini dell’etica. “Se io abbandonassi il progetto sarei un uomo senza sogni, e non voglio vivere in quel modo. Vivo o muoio con questo progetto.” Queste le parole di Herzog (e potrebbero essere le stesse del protagonista) così come le sentiamo in Burden Of Dreams (Il Fardello dei Sogni), documentario sempre del 1982 firmato da Les Blank, fondamentale per meglio comprendere non solo la pellicola ma le numerose vicissitudini che ebbero luogo attorno a essa.
Herzog e la sua troupe furono pesantemente attaccati dalla stampa tedesca, con veementi accuse di sfruttamento degli indios; si può restare spiazzati nel vedere la determinazione con cui il cineasta decide di far muovere la nave su per la montagna, la stessa identica caparbietà di Fitzgerald, nonostante il pericolo che il perno possa cedere con conseguenze disastrose per le persone nelle vicinanze. Non è crudeltà, ma è la forza che solo i sognatori sanno avere: chi conosce bene il cinema di Werner Herzog lo sa, e riesce dunque a discernere.
Fitzcarraldo (e almeno in parte anche il suo regista, poiché sul set vennero utilizzate tre imbarcazioni) sposta dunque una nave da un lato all’altro di una montagna, invasato dalla potenza del sogno, dell’ideale (“chi sogna, può muovere le montagne”, è una delle frasi-chiave del film), in una società di ricchi commercianti rozzi e ignoranti. È una sorta di folle selvaggio, che vive in riva al fiume in compagnia del suo maiale, attorniato da bambini incantati dalla voce di Caruso che esce dal grammofono; Molly (Claudia Cardinale), tenutaria di un bordello di lusso, è la sua amante, sodale e finanziatrice del suo progetto: acquistare la barca (battezzata Molly Aida) al fine di guadagnare denaro lavorando e vendendo il caucciù e poter così costruire il teatro. Fitzcarraldo riunisce uno scalcinato equipaggio e si mette in viaggio sull’imbarcazione malconcia: un’impresa giudicata suicida, a causa degli indios ostili presenti lungo il corso del fiume. Indios che, in realtà, fissano la barca immobili, come mesmerizzati. Qui entra in scena il Fato, lo strano e imperscrutabile gioco delle coincidenze: secondo un mito la popolazione indigena attende un “grande Dio bianco” a bordo di una candida nave, per portarli via da un “mondo che è solo illusione, poiché dietro si cela la realtà che è fatta di sogni”. Un altro concetto cardine, che coincide perfettamente con la visione di Fitzgerald, il quale decide di utilizzare con astuzia l’opportunità che gli si presenta di fronte.
Gli indios salgono a bordo, li credono Dei, ma così come l’uomo “civilizzato” non è in grado di dominare la Natura, allo stesso modo non può arrogarsi il diritto di cambiare le convinzioni profonde di coloro che la abitano: il capo della tribù, dopo una notte di bisboccia dell’equipaggio, slega l’imbarcazione dall’attracco, lanciandola per le pericolosissime rapide denominate Pongo das Mortes. Fitzcarraldo attribuisce il gesto a una volontà di compiacere gli spiriti fluviali, dopo che egli li ha sfidati. Questo è un altro grande messaggio del film, in netto contrasto con ogni tipo di accusa: non si può soverchiare l’immmenso potere naturale né coloro che ne fanno parte. Qui risiede il cuore dell'opera herzoghiana. La Molly Aida si infrange sulle rive, così come i sogni del protagonista, almeno apparentemente; Don Aquilino, in forza del miracoloso attraversamento delle rapide, ricompra la nave, e col denaro Fitzgerald corona un surrogato di ciò che portava nel cuore: chiama una compagnia operistica di secondo piano per mettere in scena I Puritani di Bellini proprio sulla Molly Aida. Realizza dunque ciò che anelava, anche se soltanto per il tempo di una rappresentazione.
Fitzcarraldo ci regala una serie di sequenze indimenticabili, in primis quelle in cui vediamo Kinski sul tetto della nave, intento all’ascolto estasiato dell’amato Caruso: la meravigliosa musica, il lento movimento di macchina che diventa tutt’uno con quello, ipnotico, dell’imbarcazione, rimangono impressi come un marchio a fuoco nella memoria e nel cuore, indelebili, indimenticabili. Magnifico lo score dei Popol Vuh, ancora una volta necessari all’opera herzoghiana, così come in Nosferatu, e capaci di non restare nell’ombra della magniloquenza operistica che tende a dominare il film.
Una pellicola controversa, spesso criticata, dalla genesi difficile, ma proprio per questo potentissima, perché reca in sé la folle forza del sogno: un Kinski imprenscindibile, se stesso più che mai e più che mai simbiotico e opposto a Herzog. Un altro film per il quale si riesce a trovare una sola parola da rivolgere a questo regista titanico e unico: grazie, per aver scelto il cinema; altrimenti il vuoto sarebbe stato incolmabile.
Chiara Pani
Sezione di riferimento: Special Werner Herzog
Scheda tecnica
Titolo originale: Fitzcarraldo
Anno: 1982
Regia: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Fotografia: Thomas Mauch
Musiche: Popol Vuh
Durata: 158'
Interpreti principali: Klaus Kinski, Claudia Cardinale, José Lewgoy, Miguel Ángel Fuentes
Arte e vita si fondono in continuazione, in quest’opera immensa e tormentata fin dalla sua nascita: le riprese ebbero inizio nel 1979, ma la troupe fu costretta a uno stop forzato a causa dell’opposizione di un gruppo politico legato alla tribù degli Aguaruna, con minacce di morte e voci diffamatorie ai danni di chi stava lavorando al film. La produzione fu obbligata a fermarsi per un anno, per poi riprendere con Jason Robards nel ruolo del protagonista e Mick Jagger nei panni di Wilbur, un attore folle e un po’ tardo; Robards si ammalò in modo grave, i medici gli proibirono di tornare sul set, e anche Jagger abbandonò. Tutto ciò costò a Fitzcarraldo un’ulteriore battuta d’arresto, e Herzog decise di gettare via il girato, nonostante costituisse già il 40% dell’opera.
Ricominciò dunque da zero, nell’aprile del 1981, con Klaus Kinski, il suo attore feticcio, già visto all’epoca in capolavori come Aguirre e Nosferatu, a ricoprire la figura centrale: è lecito domandarsi cosa sarebbe stato il film con Robards (e Jagger) al posto del bizzarro attore germanico, ma la risposta è quasi automatica: la sostituzione è stata probabilmente provvidenziale. Kinski è perfetto, ancora una volta l'insostituibile alter-ego di Herzog in un’opera che non è errato definire metacinema: Fitzgerald (ispirato a un personaggio realmente esistito, Carlos Fermin Fitzcarrald, un magnate della gomma peruviano che spostò una nave via terraferma facendola smontare) è lo specchio di Herzog in ogni singolo istante del film. Il sogno folle e impossibile di Fitzcarraldo, uomo che ama incondizionatamente l’opera e Caruso, ossia costruire un teatro nella foresta amazzonica, è il medesimo sogno artistico del regista, nient’altro che portare a termine quest’impresa filmica, titanica, rischiosa, spesso ai confini dell’etica. “Se io abbandonassi il progetto sarei un uomo senza sogni, e non voglio vivere in quel modo. Vivo o muoio con questo progetto.” Queste le parole di Herzog (e potrebbero essere le stesse del protagonista) così come le sentiamo in Burden Of Dreams (Il Fardello dei Sogni), documentario sempre del 1982 firmato da Les Blank, fondamentale per meglio comprendere non solo la pellicola ma le numerose vicissitudini che ebbero luogo attorno a essa.
Herzog e la sua troupe furono pesantemente attaccati dalla stampa tedesca, con veementi accuse di sfruttamento degli indios; si può restare spiazzati nel vedere la determinazione con cui il cineasta decide di far muovere la nave su per la montagna, la stessa identica caparbietà di Fitzgerald, nonostante il pericolo che il perno possa cedere con conseguenze disastrose per le persone nelle vicinanze. Non è crudeltà, ma è la forza che solo i sognatori sanno avere: chi conosce bene il cinema di Werner Herzog lo sa, e riesce dunque a discernere.
Fitzcarraldo (e almeno in parte anche il suo regista, poiché sul set vennero utilizzate tre imbarcazioni) sposta dunque una nave da un lato all’altro di una montagna, invasato dalla potenza del sogno, dell’ideale (“chi sogna, può muovere le montagne”, è una delle frasi-chiave del film), in una società di ricchi commercianti rozzi e ignoranti. È una sorta di folle selvaggio, che vive in riva al fiume in compagnia del suo maiale, attorniato da bambini incantati dalla voce di Caruso che esce dal grammofono; Molly (Claudia Cardinale), tenutaria di un bordello di lusso, è la sua amante, sodale e finanziatrice del suo progetto: acquistare la barca (battezzata Molly Aida) al fine di guadagnare denaro lavorando e vendendo il caucciù e poter così costruire il teatro. Fitzcarraldo riunisce uno scalcinato equipaggio e si mette in viaggio sull’imbarcazione malconcia: un’impresa giudicata suicida, a causa degli indios ostili presenti lungo il corso del fiume. Indios che, in realtà, fissano la barca immobili, come mesmerizzati. Qui entra in scena il Fato, lo strano e imperscrutabile gioco delle coincidenze: secondo un mito la popolazione indigena attende un “grande Dio bianco” a bordo di una candida nave, per portarli via da un “mondo che è solo illusione, poiché dietro si cela la realtà che è fatta di sogni”. Un altro concetto cardine, che coincide perfettamente con la visione di Fitzgerald, il quale decide di utilizzare con astuzia l’opportunità che gli si presenta di fronte.
Gli indios salgono a bordo, li credono Dei, ma così come l’uomo “civilizzato” non è in grado di dominare la Natura, allo stesso modo non può arrogarsi il diritto di cambiare le convinzioni profonde di coloro che la abitano: il capo della tribù, dopo una notte di bisboccia dell’equipaggio, slega l’imbarcazione dall’attracco, lanciandola per le pericolosissime rapide denominate Pongo das Mortes. Fitzcarraldo attribuisce il gesto a una volontà di compiacere gli spiriti fluviali, dopo che egli li ha sfidati. Questo è un altro grande messaggio del film, in netto contrasto con ogni tipo di accusa: non si può soverchiare l’immmenso potere naturale né coloro che ne fanno parte. Qui risiede il cuore dell'opera herzoghiana. La Molly Aida si infrange sulle rive, così come i sogni del protagonista, almeno apparentemente; Don Aquilino, in forza del miracoloso attraversamento delle rapide, ricompra la nave, e col denaro Fitzgerald corona un surrogato di ciò che portava nel cuore: chiama una compagnia operistica di secondo piano per mettere in scena I Puritani di Bellini proprio sulla Molly Aida. Realizza dunque ciò che anelava, anche se soltanto per il tempo di una rappresentazione.
Fitzcarraldo ci regala una serie di sequenze indimenticabili, in primis quelle in cui vediamo Kinski sul tetto della nave, intento all’ascolto estasiato dell’amato Caruso: la meravigliosa musica, il lento movimento di macchina che diventa tutt’uno con quello, ipnotico, dell’imbarcazione, rimangono impressi come un marchio a fuoco nella memoria e nel cuore, indelebili, indimenticabili. Magnifico lo score dei Popol Vuh, ancora una volta necessari all’opera herzoghiana, così come in Nosferatu, e capaci di non restare nell’ombra della magniloquenza operistica che tende a dominare il film.
Una pellicola controversa, spesso criticata, dalla genesi difficile, ma proprio per questo potentissima, perché reca in sé la folle forza del sogno: un Kinski imprenscindibile, se stesso più che mai e più che mai simbiotico e opposto a Herzog. Un altro film per il quale si riesce a trovare una sola parola da rivolgere a questo regista titanico e unico: grazie, per aver scelto il cinema; altrimenti il vuoto sarebbe stato incolmabile.
Chiara Pani
Sezione di riferimento: Special Werner Herzog
Scheda tecnica
Titolo originale: Fitzcarraldo
Anno: 1982
Regia: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Fotografia: Thomas Mauch
Musiche: Popol Vuh
Durata: 158'
Interpreti principali: Klaus Kinski, Claudia Cardinale, José Lewgoy, Miguel Ángel Fuentes