“La mistica oscilla tra la passione dell'estasi e l'orrore del vuoto. [...] L'estasi è una presenza totale priva di oggetto, un vuoto pieno. Un brivido attraversa il nulla, invasione di essere nell'assenza assoluta. Il vuoto è la condizione dell'estasi, come l'estasi è la condizione del vuoto”. (Emil Cioran, Lacrime e santi).
Il tessuto narrativo di Herz aus Glas attinge a piene mani da una leggenda bavarese, e Werner Herzog, per raccontare la sua storia, si affida alla favola popolare, mantenendo la sua poetica in bilico tra ciò che è e ciò che non è; il visibile e l’invisibile sono le due direttrici scelte che accompagneranno lo spettatore in tutto il film, in una sorta di trance ipnotica, visionaria e onirica, su cui si regge l’architettura di quest’opera. La morte del maestro vetraio getta un piccolo villaggio della Baviera nello scompiglio: la tecnica di produzione del pregiatissimo vetro-rubino, su cui poggia le fondamenta l’economia del borgo, rimarrà un segreto, in viaggio verso l’Ade con il suo creatore, sepolto per sempre.
"La terra del vetro rubino: tutti gli uomini ballano avvolti da una luce rossa... lì ogni cosa è del colore dei rubini...".
Hias, pastore bavarese con il dono della preveggenza, è colui che vede ciò che altri non vedono, il Tiresia del villaggio, il cui sguardo è l’unico a non essere ammantato dall’alone del sogno, da uno stato onirico; un occhio che guarda oltre, verso il futuro e lo narra direttamente allo spettatore. Il profeta è avvolto dalla nebbia, come Il Viandante di Caspar David Friedrich, ma riesce a dissiparla osservando ciò che si nasconde in quel mare lattiginoso, nel futuro incerto e apocalittico degli abitanti del borgo.
“...il sole era basso e il gigante era solo l'ombra di un nano”.
Le scene emergono dalla pittura fiamminga, stilizzazione e visionarietà catturano lo sguardo che rimane incatenato alle immagini. È un cinema che brucia. Una materia pittorica che prende vita, si trasforma in materia organica, palpitante e viva; una celebrazione orgasmica della pura visione, attraverso un’estetica espansa oltre la visibilità che arriva dritta al cuore e lo frantuma in mille pezzi di vetro.
La costruzione delle scene, le ombre e le luci sui volti dei protagonisti, sono tele dipinte da Herzog da cui emergono inquietudini affascinanti che rapiscono gli occhi. Visi che sembrano rubati alle opere di Brueghel, Vermeer e De La Tour, ma con chiari rimandi ai giochi di luci e ombre dei volti del Merisi. Gli esterni sono pennellate romantiche di una natura eternamente protagonista e condizionante delle azioni umane, come è da sempre nel cinema di Herzog, un perenne Sturm und Drang, animi burrascosi immersi in una natura suggestiva; Hias vive a stretto contatto con la natura, quasi in simbiosi, le sue visioni hanno luogo in una sorta di esasperazione panica.
Si dice che per espressa volontà del regista tutti gli attori abbiano recitato sotto ipnosi, tutti tranne Joseph Bierbichler (Hias), l’unico in grado di vedere, l’unico a non essere colto dalla follia collettiva che condurrà il paese alla distruzione. Lo stato di trance degli interpreti, insieme alla musica dei Popol Vuh, contribuiscono a conferire un’atmosfera sospesa e psichedelica all’opera in cui l’immagine si confonde nell’immaginifico, in cui il sogno diviene realtà e la realtà è forse parte di un sogno; lo sottolineano la lentezza dei movimenti dei protagonisti, i dialoghi surreali, la narrazione lenta e poco scorrevole.
La condizione umana, il suo tendere naturalmente alla distruzione, il nichilismo imperante e i simbolismi filosofici rendono Cuore di vetro un film non facile, in cui il regista percorre un arduo linguaggio narrativo che trova la sua forza nella sperimentazione e nell’immagine. L’opera si apre con oscuri presagi ma la chiusura lascia comunque un barlume di speranza nei confronti dell’umanità, che può redimersi e riuscire a trovare la giusta via nella salvezza, nella solidarietà tra gli uomini, in una sorta di titanismo leopardiano.
“Così fatti pensieri / quando fien, come fur, palesi al volgo / e quell’orror che primo / contra l’empia natura / strinse i mortali in social catena, / fia ricondotto in parte / da verace saper, l’onesto e il retto / conversar cittadino, / e giustizia e pietade, altra radice / avranno allor che non superbe fole, / ove fondata probità del volgo / così star suole in piede / quale star può quel ch’ha in error la sede” (La Ginestra, Giacomo Leopardi).
Mariangela Sansone
Sezione di riferimento: Special Werner Herzog
Scheda tecnica
Titolo originale: Herz aus Glas
Anno: 1976
Regia: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog, Herbert Achternbusch
Fotografia: Jorg Schmidt-Reitwein
Musiche: Popol Vuh
Durata: 93’
Uscita in Italia: DVD 2004
Interpreti principali: Clemens Scheitz, Joseph Bierbichler, Stefan Guttler
Il tessuto narrativo di Herz aus Glas attinge a piene mani da una leggenda bavarese, e Werner Herzog, per raccontare la sua storia, si affida alla favola popolare, mantenendo la sua poetica in bilico tra ciò che è e ciò che non è; il visibile e l’invisibile sono le due direttrici scelte che accompagneranno lo spettatore in tutto il film, in una sorta di trance ipnotica, visionaria e onirica, su cui si regge l’architettura di quest’opera. La morte del maestro vetraio getta un piccolo villaggio della Baviera nello scompiglio: la tecnica di produzione del pregiatissimo vetro-rubino, su cui poggia le fondamenta l’economia del borgo, rimarrà un segreto, in viaggio verso l’Ade con il suo creatore, sepolto per sempre.
"La terra del vetro rubino: tutti gli uomini ballano avvolti da una luce rossa... lì ogni cosa è del colore dei rubini...".
Hias, pastore bavarese con il dono della preveggenza, è colui che vede ciò che altri non vedono, il Tiresia del villaggio, il cui sguardo è l’unico a non essere ammantato dall’alone del sogno, da uno stato onirico; un occhio che guarda oltre, verso il futuro e lo narra direttamente allo spettatore. Il profeta è avvolto dalla nebbia, come Il Viandante di Caspar David Friedrich, ma riesce a dissiparla osservando ciò che si nasconde in quel mare lattiginoso, nel futuro incerto e apocalittico degli abitanti del borgo.
“...il sole era basso e il gigante era solo l'ombra di un nano”.
Le scene emergono dalla pittura fiamminga, stilizzazione e visionarietà catturano lo sguardo che rimane incatenato alle immagini. È un cinema che brucia. Una materia pittorica che prende vita, si trasforma in materia organica, palpitante e viva; una celebrazione orgasmica della pura visione, attraverso un’estetica espansa oltre la visibilità che arriva dritta al cuore e lo frantuma in mille pezzi di vetro.
La costruzione delle scene, le ombre e le luci sui volti dei protagonisti, sono tele dipinte da Herzog da cui emergono inquietudini affascinanti che rapiscono gli occhi. Visi che sembrano rubati alle opere di Brueghel, Vermeer e De La Tour, ma con chiari rimandi ai giochi di luci e ombre dei volti del Merisi. Gli esterni sono pennellate romantiche di una natura eternamente protagonista e condizionante delle azioni umane, come è da sempre nel cinema di Herzog, un perenne Sturm und Drang, animi burrascosi immersi in una natura suggestiva; Hias vive a stretto contatto con la natura, quasi in simbiosi, le sue visioni hanno luogo in una sorta di esasperazione panica.
Si dice che per espressa volontà del regista tutti gli attori abbiano recitato sotto ipnosi, tutti tranne Joseph Bierbichler (Hias), l’unico in grado di vedere, l’unico a non essere colto dalla follia collettiva che condurrà il paese alla distruzione. Lo stato di trance degli interpreti, insieme alla musica dei Popol Vuh, contribuiscono a conferire un’atmosfera sospesa e psichedelica all’opera in cui l’immagine si confonde nell’immaginifico, in cui il sogno diviene realtà e la realtà è forse parte di un sogno; lo sottolineano la lentezza dei movimenti dei protagonisti, i dialoghi surreali, la narrazione lenta e poco scorrevole.
La condizione umana, il suo tendere naturalmente alla distruzione, il nichilismo imperante e i simbolismi filosofici rendono Cuore di vetro un film non facile, in cui il regista percorre un arduo linguaggio narrativo che trova la sua forza nella sperimentazione e nell’immagine. L’opera si apre con oscuri presagi ma la chiusura lascia comunque un barlume di speranza nei confronti dell’umanità, che può redimersi e riuscire a trovare la giusta via nella salvezza, nella solidarietà tra gli uomini, in una sorta di titanismo leopardiano.
“Così fatti pensieri / quando fien, come fur, palesi al volgo / e quell’orror che primo / contra l’empia natura / strinse i mortali in social catena, / fia ricondotto in parte / da verace saper, l’onesto e il retto / conversar cittadino, / e giustizia e pietade, altra radice / avranno allor che non superbe fole, / ove fondata probità del volgo / così star suole in piede / quale star può quel ch’ha in error la sede” (La Ginestra, Giacomo Leopardi).
Mariangela Sansone
Sezione di riferimento: Special Werner Herzog
Scheda tecnica
Titolo originale: Herz aus Glas
Anno: 1976
Regia: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog, Herbert Achternbusch
Fotografia: Jorg Schmidt-Reitwein
Musiche: Popol Vuh
Durata: 93’
Uscita in Italia: DVD 2004
Interpreti principali: Clemens Scheitz, Joseph Bierbichler, Stefan Guttler