Il terzo film da regista di Valeria Bruni Tedeschi dopo E’ più facile per un cammello… e l’ancora inedito sui nostri schermi Attrici è un’opera sul disfacimento di un impero familiare e dei legami che implodono al suo interno, venato come spesso accade nell’immaginario registico dell’attrice da un personalissimo autobiografismo un po’ invasivo, sorretto in questo caso da atmosfere più vicine al brio surreale che alla drammaticità vera e propria. Tutte le ansie di soddisfacimento che contraddistinguono i protagonisti e le incompiutezze del film tendono infatti proprio a respingere e a indirizzare quanto più lontano possibile quest’aura luttuosa ormai negata e mutatasi dunque in noia e inedia affettiva.
Un chateau en Italie racconta di un’ex attrice (non a caso) che evidentemente non sta soltanto nel film. La Bruni Tedeschi infatti, oltre a prestarle corpo e voce (e smorfie), utilizza il suo personaggio anche come veicolo per insinuarsi nelle pieghe di un mondo altoborghese e quasi proto-nobiliare, per fingere di smascherarne i vizi e i vezzi scrutandoli da dietro la macchina da presa. C’è un tono altezzoso e borioso, da cinema eletto, fastidioso quasi quanto le pose che lo animano come una trottola impazzita e sragionata, narcisistiche e a dir poco velleitarie: la Bruni Tedeschi ha sicuramente un discreto talento interpretativo tutt’altro che da buttare, ma lo serve malissimo, come sottolineando la contrizione e lo sforzo dietro ogni espressione e postura.
Il collage di scene fintamente provocatorie a sfondo sessuale-religioso, quasi il bignamino di un illustratore bunueliano per catechisti e bambini d’asilo, contribuisce non poco a definire i contorni di un’operetta che avrebbe anche un leggero e gradevole ritmo andante se non fosse per il suo prendersi troppo sul serio. Didascalico e pressoché fastidioso, per di più, il ricorso a brani iconici del patrimonio musicale nazionale italiano (Viva la pappa col pomodoro e Eri piccola così), una sottolineatura sulle proprie origini che sa di ruffiano e stucchevole ammiccamento. Si cerca di smorzare la pesantezza di certi angoli della vicenda con delle polverine leggerine e fatate, ma l’esilità è in agguato, così come l’irritazione per l’imitazione vuota e retorica degli stilemi di un cinema d’autore deteriore e di una poetica borghese tutt’altro che indiscreta e per di più priva del benché minimo fascino.
Un chateau en Italie si perde così nel rifiuto del dramma e nella sua esaltazione/distruzione in forma di farsa, nel posticcio rifugiarsi in corde espressive dal ritmo fin troppo indiavolato, tanto più inadatte al carattere fortemente sentito della storia (il film è dedicato a Virginio, il fratello della Bruni Tedeschi scomparso nel 2006 dopo una lunga lotta contro l’AIDS e incarnatosi in qualche modo nel personaggio di un Filippo Timi sempre più in caduta libera). A quell’arietta ruffiana che contribuisce a mettere in viso ai personaggi dei sorrisi spesso fuori luogo e implausibili verrebbe da rivolgere il più classico degli “spostati e fammi vedere il film”, tanto sono ostentati in ogni dove e senza un attimo di tregua.
La Bruni Tedeschi guarderà pure a Salto nel vuoto di Marco Bellocchio, ma farebbe meglio piuttosto a tenere a mente in modo letterale il titolo di un altro film del regista di Bobbio al quale ha anche preso parte, ossia La balia: ciò che manca al suo film è infatti proprio un sostegno anche solo minimamente stabile in grado di sorreggere per quanto possibile le sue pretese fuori misura e salvare il salvabile evitando il naufragio e portando a casa almeno il minimo sindacale. Un supporto qui del tutto assente. Ragion per cui il film si sgretola come un castello di sabbia, con una velocità pari soltanto a quella con la quale lo si vede e provvidenzialmente lo si dimentica.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Cannes 2013
Scheda tecnica
Titolo originale: Un chateau en Italie
Anno: 2013
Regia: Valeria Bruni Tedeschi
Sceneggiatura: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Lvovsky, Agnès de Sacy
Fotografia: Jeanne Lapoirie Montaggio: Anne Weil
Scenografia: Emmanuelle Duplay
Musiche: Elise Luguern
Durata: 104'
Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Filippo Timi, Louis Garrel, Marisa Bruni Tedeschi, Xavier Beauvois, Pippo Delbono, Silvio Orlando
Un chateau en Italie racconta di un’ex attrice (non a caso) che evidentemente non sta soltanto nel film. La Bruni Tedeschi infatti, oltre a prestarle corpo e voce (e smorfie), utilizza il suo personaggio anche come veicolo per insinuarsi nelle pieghe di un mondo altoborghese e quasi proto-nobiliare, per fingere di smascherarne i vizi e i vezzi scrutandoli da dietro la macchina da presa. C’è un tono altezzoso e borioso, da cinema eletto, fastidioso quasi quanto le pose che lo animano come una trottola impazzita e sragionata, narcisistiche e a dir poco velleitarie: la Bruni Tedeschi ha sicuramente un discreto talento interpretativo tutt’altro che da buttare, ma lo serve malissimo, come sottolineando la contrizione e lo sforzo dietro ogni espressione e postura.
Il collage di scene fintamente provocatorie a sfondo sessuale-religioso, quasi il bignamino di un illustratore bunueliano per catechisti e bambini d’asilo, contribuisce non poco a definire i contorni di un’operetta che avrebbe anche un leggero e gradevole ritmo andante se non fosse per il suo prendersi troppo sul serio. Didascalico e pressoché fastidioso, per di più, il ricorso a brani iconici del patrimonio musicale nazionale italiano (Viva la pappa col pomodoro e Eri piccola così), una sottolineatura sulle proprie origini che sa di ruffiano e stucchevole ammiccamento. Si cerca di smorzare la pesantezza di certi angoli della vicenda con delle polverine leggerine e fatate, ma l’esilità è in agguato, così come l’irritazione per l’imitazione vuota e retorica degli stilemi di un cinema d’autore deteriore e di una poetica borghese tutt’altro che indiscreta e per di più priva del benché minimo fascino.
Un chateau en Italie si perde così nel rifiuto del dramma e nella sua esaltazione/distruzione in forma di farsa, nel posticcio rifugiarsi in corde espressive dal ritmo fin troppo indiavolato, tanto più inadatte al carattere fortemente sentito della storia (il film è dedicato a Virginio, il fratello della Bruni Tedeschi scomparso nel 2006 dopo una lunga lotta contro l’AIDS e incarnatosi in qualche modo nel personaggio di un Filippo Timi sempre più in caduta libera). A quell’arietta ruffiana che contribuisce a mettere in viso ai personaggi dei sorrisi spesso fuori luogo e implausibili verrebbe da rivolgere il più classico degli “spostati e fammi vedere il film”, tanto sono ostentati in ogni dove e senza un attimo di tregua.
La Bruni Tedeschi guarderà pure a Salto nel vuoto di Marco Bellocchio, ma farebbe meglio piuttosto a tenere a mente in modo letterale il titolo di un altro film del regista di Bobbio al quale ha anche preso parte, ossia La balia: ciò che manca al suo film è infatti proprio un sostegno anche solo minimamente stabile in grado di sorreggere per quanto possibile le sue pretese fuori misura e salvare il salvabile evitando il naufragio e portando a casa almeno il minimo sindacale. Un supporto qui del tutto assente. Ragion per cui il film si sgretola come un castello di sabbia, con una velocità pari soltanto a quella con la quale lo si vede e provvidenzialmente lo si dimentica.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Cannes 2013
Scheda tecnica
Titolo originale: Un chateau en Italie
Anno: 2013
Regia: Valeria Bruni Tedeschi
Sceneggiatura: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Lvovsky, Agnès de Sacy
Fotografia: Jeanne Lapoirie Montaggio: Anne Weil
Scenografia: Emmanuelle Duplay
Musiche: Elise Luguern
Durata: 104'
Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Filippo Timi, Louis Garrel, Marisa Bruni Tedeschi, Xavier Beauvois, Pippo Delbono, Silvio Orlando