Senza ombra di dubbio, James Gray è uno degli autori più talentuosi del cinema americano. Lo ha dimostrato fin dagli esordi (Little Odessa) e lo ha confermato con forza attraverso lavori di altissimo livello come I padroni della notte e il folgorante Two Lovers. Naturale, dunque, che alta fosse l'attesa per il suo nuovo progetto, The Immigrant, ambientato pochi anni dopo il termine della prima guerra mondiale e incentrato sulla storia di Ewa, ragazza polacca in fuga dal suo paese per approdare in America, la terra dei sogni, con la speranza di poter costruire un futuro di felicità per se stessa e l'amata sorella.
Da sempre affascinato dalle storie della comunità dell'Est di Brighton Beach, a Brooklyn, dove egli stesso è cresciuto, Gray ha deciso di realizzare questo film traendo ispirazione da alcune foto scattate dal nonno, sbarcato a Ellis Island dalla Russia nel 1923. La realtà storica, la finzione scenica e un vago sentore autobiografico si sono così fusi insieme, per dare vita a un'opera che a differenza dei lavori precedenti rifugge la contemporaneità, mettendo però ancora una volta in mostra elementi precipui del cinema di Gray, fondato su decise connivenze morali atte a veleggiare tra i mille sentieri dei sentimenti umani.
La Via Crucis di Ewa assume ben presto i contorni di una lotta feroce, portata avanti con il coltello tra i denti e la forza nel cuore; dopo aver assistito alla morte dei genitori, ghigliottinati dai soldati davanti a suoi occhi, la protagonista prende per mano la sorella Magda, trascinandola su una nave diretta verso la Terra Promessa. All'arrivo, Magda viene rinchiusa in ospedale in quanto malata di tubercolosi, mentre per Ewa, prossima all'immediato rimpatrio per sospetti legati al suo possibile status di donna di malaffare, la salvezza e l'inganno risiedono negli occhi languidi di un impresario teatrale, che la prende con sé promettendole di impegnarsi per farle riabbracciare al più presto la sorella.
Nell'America degli anni Venti la società vive di contrasti, dicotomie, violenza, egoismo, sopraffazione. Esplode il proibizionismo, si devono regolare il consumo di alcoolici e la prostituzione, bisogna difendere la propria posizione sociale, ricoprire i corpi delle donne e porsi nei limiti del rispetto della legge; in realtà, però, basta un'amicizia, il contatto giusto, una mazzetta di denaro, un piccolo inganno, e tutto è permesso come e più di prima. Lo sa bene Bruno Weiss, magnate di Ewa e di altre ragazze fatte esibire in scena e concesse ai clienti dietro le quinte: un personaggio che pare riunire lo Zampanò di Fellini e il ferale Olivier Gourmet della Venere Nera di Kechiche. Ewa, disgustata dall'uomo e da stessa, è comunque costretta ad accettare umiliazioni e vergogna, pur di portare avanti il suo progetto e raccogliere i soldi necessari per liberare Magda.
Legato all'inizio a una forte impronta di ricostruzione ambientale, The Immigrant (il riferimento chapliniano resta nel titolo e poco più) muta volto e si fa sanguigno melodramma nel momento in cui entra in scena Orlando, mago scapestrato che ben presto si innamora di Ewa. Tra lui e Bruno esplode una volta per tutte un conflitto in corso d'opera già da diversi anni, ed entrambi si azzannano per conquistare il cuore lacrimante della donna. Il film si cala così nei territori di un bizzarro triangolo sentimentale, al cui vertice si pone una protagonista dalle mille risorse e alla base una coppia di uomini sporchi, graffiati dalla vita, feriti dai rimorsi (Bruno in particolare), eppure decisi a raggiungere l'obiettivo a ogni costo.
James Gray, sublime cantore delle infinite sfumature dell'anima, dà il meglio di sé proprio nella seconda parte dell'opera, quando inizia a trascurare lo schema del racconto per scavare con furia oltre i leciti confini dell'amore. Una messinscena ordinata, classica, ammaliante, che trova il modo impennarsi in un finale ipnotico, chiuso da un'inquadratura strepitosa, una sorta di "split screen al naturale" utile per confermare per l'ennesima volta le smisurate capacità di Gray.
A dare volto e anima ai protagonisti di The Immigrant troviamo il feticcio Joaquin Phoenix, bravo a danzare tra riflussi sottotraccia e improvvisi scoppi istintuali e impersonificazione di un personaggio dalle infinite contraddizioni, il bel Jeremy Renner e soprattutto, sopra a tutti, Marion Cotillard, assoluto e inarrivabile punto di forza del film. Un'altra prova memorabile, recitata in doppia lingua (inglese e polacco) senza la benché minima incertezza, per trasformarsi in ogni istante da Madonna a Meretrice, da Santa a Peccatrice, defenestrando qualsiasi resistenza formale ed emotiva; nei suoi occhi e nel suo viso ci si tuffa e ci si perde, fino a non riemergere più. Splendida.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Cannes 2013, Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: The Immigrant
Anno: 2013
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James Gray, Ric Menello
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: John Axelrad
Scenografia: Happy Massee
Musiche: Chris Spelman
Durata: 114'
Interpreti: Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominczyk
Da sempre affascinato dalle storie della comunità dell'Est di Brighton Beach, a Brooklyn, dove egli stesso è cresciuto, Gray ha deciso di realizzare questo film traendo ispirazione da alcune foto scattate dal nonno, sbarcato a Ellis Island dalla Russia nel 1923. La realtà storica, la finzione scenica e un vago sentore autobiografico si sono così fusi insieme, per dare vita a un'opera che a differenza dei lavori precedenti rifugge la contemporaneità, mettendo però ancora una volta in mostra elementi precipui del cinema di Gray, fondato su decise connivenze morali atte a veleggiare tra i mille sentieri dei sentimenti umani.
La Via Crucis di Ewa assume ben presto i contorni di una lotta feroce, portata avanti con il coltello tra i denti e la forza nel cuore; dopo aver assistito alla morte dei genitori, ghigliottinati dai soldati davanti a suoi occhi, la protagonista prende per mano la sorella Magda, trascinandola su una nave diretta verso la Terra Promessa. All'arrivo, Magda viene rinchiusa in ospedale in quanto malata di tubercolosi, mentre per Ewa, prossima all'immediato rimpatrio per sospetti legati al suo possibile status di donna di malaffare, la salvezza e l'inganno risiedono negli occhi languidi di un impresario teatrale, che la prende con sé promettendole di impegnarsi per farle riabbracciare al più presto la sorella.
Nell'America degli anni Venti la società vive di contrasti, dicotomie, violenza, egoismo, sopraffazione. Esplode il proibizionismo, si devono regolare il consumo di alcoolici e la prostituzione, bisogna difendere la propria posizione sociale, ricoprire i corpi delle donne e porsi nei limiti del rispetto della legge; in realtà, però, basta un'amicizia, il contatto giusto, una mazzetta di denaro, un piccolo inganno, e tutto è permesso come e più di prima. Lo sa bene Bruno Weiss, magnate di Ewa e di altre ragazze fatte esibire in scena e concesse ai clienti dietro le quinte: un personaggio che pare riunire lo Zampanò di Fellini e il ferale Olivier Gourmet della Venere Nera di Kechiche. Ewa, disgustata dall'uomo e da stessa, è comunque costretta ad accettare umiliazioni e vergogna, pur di portare avanti il suo progetto e raccogliere i soldi necessari per liberare Magda.
Legato all'inizio a una forte impronta di ricostruzione ambientale, The Immigrant (il riferimento chapliniano resta nel titolo e poco più) muta volto e si fa sanguigno melodramma nel momento in cui entra in scena Orlando, mago scapestrato che ben presto si innamora di Ewa. Tra lui e Bruno esplode una volta per tutte un conflitto in corso d'opera già da diversi anni, ed entrambi si azzannano per conquistare il cuore lacrimante della donna. Il film si cala così nei territori di un bizzarro triangolo sentimentale, al cui vertice si pone una protagonista dalle mille risorse e alla base una coppia di uomini sporchi, graffiati dalla vita, feriti dai rimorsi (Bruno in particolare), eppure decisi a raggiungere l'obiettivo a ogni costo.
James Gray, sublime cantore delle infinite sfumature dell'anima, dà il meglio di sé proprio nella seconda parte dell'opera, quando inizia a trascurare lo schema del racconto per scavare con furia oltre i leciti confini dell'amore. Una messinscena ordinata, classica, ammaliante, che trova il modo impennarsi in un finale ipnotico, chiuso da un'inquadratura strepitosa, una sorta di "split screen al naturale" utile per confermare per l'ennesima volta le smisurate capacità di Gray.
A dare volto e anima ai protagonisti di The Immigrant troviamo il feticcio Joaquin Phoenix, bravo a danzare tra riflussi sottotraccia e improvvisi scoppi istintuali e impersonificazione di un personaggio dalle infinite contraddizioni, il bel Jeremy Renner e soprattutto, sopra a tutti, Marion Cotillard, assoluto e inarrivabile punto di forza del film. Un'altra prova memorabile, recitata in doppia lingua (inglese e polacco) senza la benché minima incertezza, per trasformarsi in ogni istante da Madonna a Meretrice, da Santa a Peccatrice, defenestrando qualsiasi resistenza formale ed emotiva; nei suoi occhi e nel suo viso ci si tuffa e ci si perde, fino a non riemergere più. Splendida.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Cannes 2013, Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: The Immigrant
Anno: 2013
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James Gray, Ric Menello
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: John Axelrad
Scenografia: Happy Massee
Musiche: Chris Spelman
Durata: 114'
Interpreti: Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominczyk