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CANNES 2013 - La vie d’Adèle, di Abdellatif Kechiche

25/6/2013

2 Comments

 
Immagine
Far dimenticare il cinema che avete visto e quello che vedrete: La vie d’Adèle ha questo potere, questa forza singolare e unica, che quando si materializza non si può non gridare al miracolo. Perché il film di Abdellatif Kechiche parla semplicemente un’altra lingua, forte di un lessico impuro e scolpito nella realtà autentica, quella più vera e odorosa: tre ore e sette minuti di vita che scorre come acqua tra le dita, piene e irripetibili, sfrontate e liberissime.
Il moccio al naso, i capelli della protagonista raccolti in una coda selvaggia mentre si dimenano al suono della hit di Lykke Li I follow rivers, languori, lacrime di piacere, di sincera euforia e profonda tristezza, aloni di salsa sulle labbra torride e affamate, quanto di più carnale la vita ha da offrire. Quella vita da cui Kechiche ruba incalzando la realtà da vicinissimo, tanto da sgranare la nostra percezione, costringendoci a un’immedesimazione totale. C’è talmente tanta vita vera, nel film, che l’aforisma di Cocteau secondo cui il cinema sarebbe la morte al lavoro potrebbe anche essere messo in discussione. 
Qui infatti sono le pulsioni del vitalismo più assoluto a zufolare nel fango limaccioso delle cose, alimentandosi a una sorgente inesauribile di piaceri e sensazioni brucianti. A scorrere sullo schermo è un processo di maturazione di cui avvertiamo fisicamente le singole fasi, tanto che alla fine di tutto Adèle - ma anche la sua compagna di vita e di letto Emma (Léa Seydoux) - si ha la sensazione di conoscerle da sempre, come vecchie amiche i cui palpiti ti sembrano così reali che potresti stringerli al cuore come fai col tuo cuscino mentre t’addormenti. Familiari, lontanissime perché relegate nel regno della finzione, eppure mai così vicine all’esperienza diretta da parte dello spettatore.
La vie d’Adèle con quella sua divisione in capitoli si fa già saga truffautiana e doineliana della quale attendiamo frementi i successivi sviluppi. Con dolcezza, senza effettismi né cinematografici né letterari - sebbene il film s’ispiri idealmente a La vie de Marianne di Marivaux - Kechiche ci ha regalato un frammento fluviale e torrenziale di verità assoluta che ha il pregio di non mimare le scorciatoie del cinema dal vero, aggirando l’ostacolo delle definizioni rigide. Delle due protagoniste e del loro amore lesbico e universale quei primi piani onnipresenti che concedono pochissimi totali ci restituiscono la presa diretta, lo sbocciare inarginabile di due fiori bellissimi e preziosi, quasi a scrutarne gli organi interni ed esterni anche meno “letterariamente” nobili del cuore ma senza mai mostrarceli, negando secrezioni e isole del piacere in un meccanismo di reticenze che sublima il sesso come plastica opera d’arte, lontana dalla pornografia e dall’asservimento a un immaginario a uso e consumo del pensiero masturbatorio maschile.
Kechiche si limita a mostrare questa storia nella sua semplicità, per quel che è; un girl meets girl fatto di sorrisi che mutano in baci simili a morsi, di sesso meraviglioso, di corpi che si sfiorano violentemente e si sovrappongono ansanti come portali di erotismo gioioso. Il cibo, le pagine di un libro, una panchina, due volti vicini nella luce di un sole tiepido: tutto questo è La vie d’Adèle, un film che simula la percezione del bergsoniano “tempo della vita”, senza ellissi e trucchetti, che dura tre ore ma potrebbe durare per sempre e non ce ne stancheremmo affatto.
Camera a mano, focali lunghe, un bum bum continuo di assalto ai sensi, cinema liminale che travalica il confine della finzione abbattendolo con la stessa furiosa, rassodata dolcezza dei bellissimi amplessi delle protagoniste. Il sesso dopotutto è una questione prima mentale che fisica e non può esistere nella sua forma più travolgente e passionale senza prima aver sposato una comune visione del mondo, o senza prima essere stati incorniciati dallo stesso raggio di luce abbagliante che fende un prato durante un picnic. “Non pensare a chi è l’oggetto dell’amore, pensa all’amore”. Così come in questo caso non si pensa al cinema e alla letteratura come oggetti da plasmare ad abuso e consumo dell’autore, ma come detto si va direttamente alla vita, nel film e più in generale nell’idea di cinema di Kechiche, che mai come in questo caso aveva trovato una materializzazione tanto luminosa e irrinunciabile.
Nella protagonista Adèle Exarchopoulos, “contorta e pazza” eppure tenera e banalissima nell’affogare il dolore nel cioccolato, così come nell’apertura della sua bocca carnosa a rivelare i denti sporgenti, si insinua tutta il fascino traspirante e arioso di un film che non ha paura di sfogarsi e donarsi e che lo fa senza chiedere nulla in cambio, impudico e trionfante nella sua generosità assoluta. La carne, il grasso che cola, il sugo della vita che bolle e ribolle. E poi il bagnarsi dei pianti dell’amata, loro due e nessun altro, così vicine da toccarsi nel profondo. Belle e morbide, vedersi e respirarsi. Lo sguardo stuprato dalla stanchezza e dal peso della propria arte di Emma, i suoi capelli blu. Il muscolo della mandibola di Adèle che si contrae in una fossetta divertita o accompagna il rossore spregiudicato di un volto imbarazzato o contorto e sfigurato da una sensualità ferina, a seconda dei momenti. Il debolissimo ma incantato mistero dei visi e delle creature umane, a svettare sopra ogni altra cosa.

Davide Eustachio Stanzione

Sezione di riferimento: Cannes 2013


Scheda tecnica

Regia: Abdellatif Kechiche 
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix (dal romanzo grafico Le bleu est une couleur chaude di Julie Maroh)
Fotografia: Sofian El Fani 
Montaggio: Camille Toubkis, Albertine Lastera, Jean-Marie Lengelle,Ghalya Lacroix
Scenografia: Julia Lemaire 
Anno: 2013
Durata: 179’
Uscita in Italia: 24 ottobre 2013
Interpreti: Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Jeremie Laheurte, Catherine Salée, Aurélien Recoing

2 Comments
Alessia
12/8/2013 06:36:35 am

Mi hanno molto incuriosita, nel tempo, le recensioni dedicate a questo film. E allora, leggendo tutte le lodi e le esaltazioni di questa pellicola, mi chiedo: ma tutto l'entusiasmo profuso per La vie d'Adele...sarebbe stato lo stesso, identico, se la storia avesse riguardato 2 uomini, con un amplesso altrettanto lungo? Chissà perchè, ma ho dei dubbi in merito. Chissà. E sono convinta che malgrado tutte le parole spese in proposito, la stragrande maggioranza di coloro che andranno al cinema lo faranno solo per assistere all'oramai "leggendario" rapporto saffico. Nonostante la affermazione estrapolata dalla recensione " lontana dalla pornografia e dall’asservimento a un immaginario a uso e consumo del pensiero masturbatorio maschile".........

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davide stanzione
14/8/2013 12:52:13 am

Cara Alessia, in quello che ti dici c’è indubbiamente del vero, però allo stesso tempo mi piacerebbe renderti partecipe di qualche ulteriore precisazione che ritengo necessaria.
Vero, si fosse trattato di un rapporto omo-erotico al maschile di sicuro il febbrile entusiasmo sorto intorno al film sarebbe stato di gran lunga ridotto. Perché giocoforza l’amore lesbico attrae il sesso maschile molto più di quanto quello tra due uomini sia in grado fare col sesso femminile, per dire. Questo però è anche il lato più superficiale e banale della questione (anche perché i critici e gli addetti ai lavori non sono tutti uomini, naturalmente...), un po’ confinato a ciò che una donna in vena di stuzzicare un uomo potrebbe semplicisticamente obiettargli nel constatare i suoi entusiasmi dinanzi a un film del genere.
In realtà, è semmai il corpo della donna ad essere più erotizzato rispetto a quello dell’uomo in qualsiasi tipologia di raffigurazione mediatica, dunque non stupisce che due corpi femminili avvinghiati facciano più scalpore e attirino più attenzione di quelli di due uomini. "La vie d’Adele", però, ti assicuro, è un film che elude tutte queste paludi. Il suo amore è sì saffico ma anche universale, vibrante, liberatorio, drammaticamente e intimamente sincero, affamato di vita, filmato senza filtri in nome di una verità assoluta e di una passione bruciante per la vita e le sue sofferte, dolorosissime meraviglie.
Per quel che mi riguarda, non c’è al suo interno nessun uso ricattatorio dell’elemento lesbico, anzi. Le scene di sesso non sono neanche così erotiche, per quanto sono VERE e destabilizzanti. Direi che mettono a disagio, irretiscono i sensi piuttosto che risvegliarli, fanno traballare sulla poltrona, invadono il privato delle emozioni di ciascuno con una forza assolutamente eretica rispetto alla comuni modalità di rappresentazione delle sessualità. Non hanno davvero nulla di pornografico, semmai godono di una forma quasi sacrale di sublimazione. Mentre la pornografia più dozzinale (lesbica e non), proprio perché è predisposta a ben altro uso, si basa su un immaginario plastificato, convenzionale, su situazioni in provetta che diano certezze e si limitino a solleticare la sessualità in forme già consolidate, telefonate, risapute. Quando avrai visto il film (dalle tue parole mi pare di capire che tu non l’abbia ancora fatto), sarei ben lieto di tornare con te sulla questione, accogliendo anche eventuali divergenze. Su quello che buona parte delle persone pensano o si aspettano prima di entrare in un sala poi occorrerebbe molto spesso stendere un pietosissimo velo. Un caro saluto.

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