La rivalutazione in massa che c’è stata nei confronti del cinema di genere non ha certamente cambiato questo modus operandi, e anche nell’affrontare questa galassia cinematografica si sono riproposti vecchi termini di paragone e parametri di giudizio. Sotto i fiumi di parole che si spendono su questo cinema aleggia ancora un tono divertito e superficiale. Alla fine che cosa è cambiato? Poco o nulla. Si, adesso testate che prima non avrebbero mai sognato di trattare un certo cinema lo fanno, e indubbiamente alcuni nomi sono divenuti di uso comune (Lenzi, Fulci o Castellari vengono alla mente), ma tutto questo non nasce da un rigore critico o da un studio di stili e contenuti, bensì dalla grande mano di Tarantino e dalla moda che ne ha conseguito. Alla fine della fiera, molto è rimasto invariato.
Cesare Canevari (1927-2012) possiede il perfetto identikit del regista “invisibile”, dalla difficile collocazione, sia in quanto molto poco attivo (in tutto ha diretto nove film, dal suo esordio nel 1964 fino all’83), sia perché non è mai stato prolifico in un particolare genere, il che lo ha reso indefinibile (si veda l’ossessione, tutta italiana, per le etichette).
Ha spaziato dal western (dal dimenticabile Per un dollaro a Tucson si muore, 1964, all’imprescindibile Matalo!, 1970) al pop-noir, psichedelico e pseudo-spionistico (Una jena in cassaforte, 1968), dall'erotico intellettuale, glaciale e intimista, venato da un gusto fumettistico riconducibile a Guido Crepax (Io Emmanuelle, 1969, con una Erika Blanc mai così bella), all’erotismo folle e delirante (La principessa nuda, 1976), allo scandaloso eros-svastica (L'ultima orgia del terzo Reich, 1977), al giallo, fuori tempo massimo (Delitto carnale, 1983), fino ad arrivare al melodramma (Il romanzo di un giovane povero, 1974).
Il terzultimo film citato rappresenta il tallone d’Achille di Canevari. La presenza di un eros-svastica (o di un nazi-eros come dir si voglia) nella sua filmografia lo rende “attaccabile”. L’ultima orgia del terzo Reich ha il dubbio primato di essere uno dei migliori film di un filone tra i più sconsiderati e perversi che siano mai stati concepiti. La pellicola di Canevari, cosi come il genere italiano in toto, imbocca strade diverse rispetto al suo equivalente americano (Camp 7-Lager femminile (1969) di Lee Frost è tra i primi esempi), prendendo spunto piuttosto dal Salò di Pasolini, nell’estetica della violenza e nel tipo di sadismo, e dal Salon Kitty di Brass, nell’impostazione scenografica ed erotica.
Per i produttori era la possibilità di integrare al WIP (women in prison, filone sexploitation già in voga) elementi ancor più pruriginosi, talvolta persino orrorifici (come nel caso di La bestia in calore). Torture, stupri e sevizie varie, che si consumano tra i campi di concentramento e i palazzi fastosi del regime tedesco, accenti farlocchi ed esperimenti ispirati a Mengele et co, retorica e lesbismo, sequenze splatter e sprazzi di melò, inserti hard e tanto ingenuo (quasi infantile) cattivo gusto.
Il mondo cinematografico di Canevari è schivo ed emotivamente nordico, popolato da personaggi freddi, talvolta persino glaciali, distaccati e pervasi da una follia lucida, capaci di tutto, ma sempre in lotta con se stessi. Personaggi disturbati, intrappolati in un vortice caleidoscopico. La psichedelica visione che Canevari ha del mondo diventa parte integrante dei suoi personaggi. In questo senso il suo cinema è, visivamente, riconducibile a un certo tipo di fumetto dell’epoca (il già citato Crepax è un ottimo esempio) nella misura in cui, in una vignetta, la faccia e il corpo di un personaggio è imprescindibile dallo sfondo, e lo sfondo è al contempo il personaggio in quanto rappresenta il suo stato mentale ed emotivo. Volti acidi incastonati in un mondo acido come quello di Corrado Pani in Matalo!, secondo molti il miglior film del regista.
Matalo! si apre sulle musiche (ed elaborazioni elettroacustiche) di Mario Migliardi; una bara nera viene caricata su di un carro al cui fianco vediamo una vedova con un velo nero, mentre dei bambini giocano in strada. Fuori fuoco un prigioniero si avvicina a un cappio, se lo infila con la testa, e, d’incanto, ci si presenta nitidamente il volto di Pani come una sorta di Cristo-rockstar.
La trama vede Burt (Pani) uccidere i tre banditi che lo salvano dalla forca, per poi derubarli e unirsi a una banda composta da due uomini, Philip (Luis Davila), Theo (Antonio Salinas), e una donna, Mary (Claudia Gravy). Il gruppo decide di assaltare una diligenza, che trasporta 250.000 dollari. Durante la rapina Burt viene colpito. I complici, credendolo morto, raggiungono col bottino una cittadina abbandonata, Benson City, con l’intento di rimanervi nascosti per qualche giorno.
Qualche giorno dopo arrivano una vedova, Costanza (Anna Maria Noè) e un giovane australiano la cui unica arma è un boomerang, Ray (Lou Castel). Philip, Mary e Theo sequestrano i due, e iniziano a seviziarli, per capire chi li manda. Intanto Burt, ora d'accordo con Ray, attende il momento giusto per impossessarsi del denaro. Questo corollario di grottesche figure si muove in un West alienante, fatto di raggi di sole che entrano in camera e invadono l’inquadratura, di ombre notturne, di scene ripetute più volte (una delle più evidenti e surreali: un cavallo che si solleva stagliato contro il cielo), di una colonna audio fatta di scriccioli d’altalena, grida improvvise e assoli di chitarra tra sperimentale e rock psichedelico. Pochi dialoghi, nessuno nei primi dieci e passa minuti, e un protagonista perverso quanto ricco di debolezze e idiosincrasie.
Non ci troviamo davanti a uno dei migliori esempi del genere, e il tutto potrebbe risultare facilmente datato per un palato moderno, ma ciò che è più interessante è che anche qui, come in quasi tutto il cinema di Canevari, i personaggi si rivelano per quel che fanno e per quello che non dicono. Il contesto è un pretesto: una cornice emotiva, e raramente narrativa. Come una lampada “a lava” colorata (Una jena in cassaforte) o come il sole cocente tagliato da un boomerang, gli sfondi di Canevari andrebbero riportati in primo piano.
Eugenio Ercolani
Sezione di riferimento: Italia Terza Visione
Scheda tecnica
Titolo originale: Matalo!
Anno: 1970
Durata: 94'
Regia: Cesare Canevari
Sceneggiatura: Mino Roli, Nino Ducci, Eduardo M. Brochero
Fotografia: Julio Ortas
Musiche: Mario Migliardi
Attori: Corrado Pani, Lou Castel, Antonio Salinas, Claudia Gravy, Luis Davila