Ci abbiamo messo un po’, a metabolizzare (mentalmente e fattualmente) il decorso, in retrospettiva a breve distanza, di questa edizione 72 della Mostra del cinema veneziana e, soprattutto, a ripensare ai risultati effettivi il più oggettivamente possibile.
Cercando di tenere da parte cuore, pancia e cinefilia – quest’ultima indissolubilmente legata a ogni (pre)visione – il nostro spirito critico impone una parziale spietatezza che non si regala facilmente a un oggetto d’amore. Provando un sintetismo che concentri queste due settimane, ciò che rimane è un senso di delusione, per aspettative nemmeno troppo alte perdutesi tra i posti a sedere e una cerimonia di chiusura avvilente in quanto a frutti (fin troppo eclatanti, considerato l’evidente spirito nazional-popolare di un Alfonso Cuaròn simpatico e disinibito) e indegni silenzi.
Silenzi e disabilità nei confronti di quei rari, sprazzi di genio non colti che la rassegna, quando tutti s’erano abituati all’idea di sorprese che non sarebbero arrivate, ha infilato, ricordandoci cos’è essere un regista e fare del Cinema con l’immenso lavoro di Skolimowski, 11 Minut e l’ottima sorpresa di Zhao Liang, Behemoth. Per quanto Sokurov e Gitai abbiano – entrambi parzialmente – deluso con opere non all’altezza delle precedenti, viene il sospetto, se non la certezza, che un Leone d’Oro al venezuelano Desde Allà, di Lorenzo Vigas, opaco dramma per nulla originale, e un Leone d’Argento a El Clan, dell’argentino Pablo Trapero, siano scelte di parte, di ripiego, mosse da noncuranza e daltonismo critico. Quest’ultimo, poi, scorre liscio e incalzante con soluzioni registiche che ci hanno tenuti svegli tra il torpore narcolettico generale; dunque non ci sentiamo di giudicare troppo severamente una scelta, forse, fin troppo di comodo.
Il Gran Premio della Giuria a Charlie Kaufman non stupisce e non pare nemmeno forzato; eppure, nonostante la giusta delicatezza, turbamento e inquietudine immaginifica che il film ci rimanda, rimane un lavoro sulla soglia della sufficienza, stanco e incompleto. Ricollegandoci, dunque, al Premio per la Miglior Sceneggiatura, seguono altre discutibili scelte, come il premiato L’Hermine, di Christian Vincent, che mischia arbitrariamente love story e teatro giudiziario, mentre vuole essere qualcosa d'altro e fallisce nel tentativo. A Fabrice Luchini, anche, la Coppa Volpi per il Miglior Attore, per una prova solo discreta – con a fianco un Idris Elba che in Beasts of No Nation risultava senz’altro più ficcante e carismatico. Valeria Golino approda alla seconda Coppa Volpi per la Migliore Attrice dopo quasi trent’anni da Storia d’Amore, nella medesima cornice. E questo lo si comprende di più.
Ci interessa, invece, il Leone del Futuro che sceglie, inaspettatamente, lo spiazzante e morboso debutto di Brady Corbet, con Childhood of a Leader, sorta di pseudo-dramma suddiviso in capitoli a descrivere la lenta ascesa di un bambino dispotico, con finale pazzo e roboante ad assordare l’udito e a scolpire nuovi, malsani deliri di potere. Anche il premio Orizzonti per il Miglior Film va a un affresco di morbosità che tenta di travalicare il fondamentalismo religioso per sondare la disperazione dell’animo nei confronti della malattia, nei confronti degli outcast: Free in Deed, di Jake Mahaffy. Un lavoro che non splende ma risolve, tentando la strada dell’originalità, utilizzando tematiche già altrove affrontate ma in modalità essenzialmente più standardizzate. Il Premio Speciale della Giuria Orizzonti si consegna a Neon Bull, di Gabriel Mascaro, disturbante e ironica rassegna della vita bizzarra di un vaccaro che sogna la gloria nel campo della moda e una bambina che, in un mondo di tori, disegna soltanto cavalli. Vibrante. Non mancano altre visioni notevoli a cui ci siamo affezionati, ma preferiamo restringere il campo alla sola lista dei premiati.
Un'edizione veneziana a cui avevamo riservato il beneficio del dubbio ma che ha deluso, stancato, lasciato mitragliatrici nell’occhio, che trascura le poche opere forse non eccezionali verso le quali sarebbe stato almeno d’obbligo conservare un’ultima, sana dose di onestà intellettuale. Skolimowski è il vero, (im)morale vincitore del festival.
Suonando un Requiem, qui sotto il palmarès completo.
Laura Delle Vedove
Sezione di riferimento: Venezia 72
Cercando di tenere da parte cuore, pancia e cinefilia – quest’ultima indissolubilmente legata a ogni (pre)visione – il nostro spirito critico impone una parziale spietatezza che non si regala facilmente a un oggetto d’amore. Provando un sintetismo che concentri queste due settimane, ciò che rimane è un senso di delusione, per aspettative nemmeno troppo alte perdutesi tra i posti a sedere e una cerimonia di chiusura avvilente in quanto a frutti (fin troppo eclatanti, considerato l’evidente spirito nazional-popolare di un Alfonso Cuaròn simpatico e disinibito) e indegni silenzi.
Silenzi e disabilità nei confronti di quei rari, sprazzi di genio non colti che la rassegna, quando tutti s’erano abituati all’idea di sorprese che non sarebbero arrivate, ha infilato, ricordandoci cos’è essere un regista e fare del Cinema con l’immenso lavoro di Skolimowski, 11 Minut e l’ottima sorpresa di Zhao Liang, Behemoth. Per quanto Sokurov e Gitai abbiano – entrambi parzialmente – deluso con opere non all’altezza delle precedenti, viene il sospetto, se non la certezza, che un Leone d’Oro al venezuelano Desde Allà, di Lorenzo Vigas, opaco dramma per nulla originale, e un Leone d’Argento a El Clan, dell’argentino Pablo Trapero, siano scelte di parte, di ripiego, mosse da noncuranza e daltonismo critico. Quest’ultimo, poi, scorre liscio e incalzante con soluzioni registiche che ci hanno tenuti svegli tra il torpore narcolettico generale; dunque non ci sentiamo di giudicare troppo severamente una scelta, forse, fin troppo di comodo.
Il Gran Premio della Giuria a Charlie Kaufman non stupisce e non pare nemmeno forzato; eppure, nonostante la giusta delicatezza, turbamento e inquietudine immaginifica che il film ci rimanda, rimane un lavoro sulla soglia della sufficienza, stanco e incompleto. Ricollegandoci, dunque, al Premio per la Miglior Sceneggiatura, seguono altre discutibili scelte, come il premiato L’Hermine, di Christian Vincent, che mischia arbitrariamente love story e teatro giudiziario, mentre vuole essere qualcosa d'altro e fallisce nel tentativo. A Fabrice Luchini, anche, la Coppa Volpi per il Miglior Attore, per una prova solo discreta – con a fianco un Idris Elba che in Beasts of No Nation risultava senz’altro più ficcante e carismatico. Valeria Golino approda alla seconda Coppa Volpi per la Migliore Attrice dopo quasi trent’anni da Storia d’Amore, nella medesima cornice. E questo lo si comprende di più.
Ci interessa, invece, il Leone del Futuro che sceglie, inaspettatamente, lo spiazzante e morboso debutto di Brady Corbet, con Childhood of a Leader, sorta di pseudo-dramma suddiviso in capitoli a descrivere la lenta ascesa di un bambino dispotico, con finale pazzo e roboante ad assordare l’udito e a scolpire nuovi, malsani deliri di potere. Anche il premio Orizzonti per il Miglior Film va a un affresco di morbosità che tenta di travalicare il fondamentalismo religioso per sondare la disperazione dell’animo nei confronti della malattia, nei confronti degli outcast: Free in Deed, di Jake Mahaffy. Un lavoro che non splende ma risolve, tentando la strada dell’originalità, utilizzando tematiche già altrove affrontate ma in modalità essenzialmente più standardizzate. Il Premio Speciale della Giuria Orizzonti si consegna a Neon Bull, di Gabriel Mascaro, disturbante e ironica rassegna della vita bizzarra di un vaccaro che sogna la gloria nel campo della moda e una bambina che, in un mondo di tori, disegna soltanto cavalli. Vibrante. Non mancano altre visioni notevoli a cui ci siamo affezionati, ma preferiamo restringere il campo alla sola lista dei premiati.
Un'edizione veneziana a cui avevamo riservato il beneficio del dubbio ma che ha deluso, stancato, lasciato mitragliatrici nell’occhio, che trascura le poche opere forse non eccezionali verso le quali sarebbe stato almeno d’obbligo conservare un’ultima, sana dose di onestà intellettuale. Skolimowski è il vero, (im)morale vincitore del festival.
Suonando un Requiem, qui sotto il palmarès completo.
Laura Delle Vedove
Sezione di riferimento: Venezia 72
Leone d'oro al miglior film: Desde allá di Lorenzo Vigas (Venezuela)
Leone d'argento per la miglior regia: Pablo Trapero per El Clan (Argentina)
Leone d'argento - Gran premio della giuria: Anomalisa, Charlie Kaufman e Duke Jonhnson (USA)
Premio speciale della giuria: Abluka, Emin Alper (Turchia/Francia/Qatar)
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Fabrice Luchini per L'Hermine (Francia), Christian Vincent
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Valeria Golino per Per amor vostro (Italia), Giuseppe Gaudino
Premio Osella per la migliore sceneggiatura: Christian Vincent per L'Hermine (Francia)
Premio Marcello Mastroianni ad un attore o attrice emergente: Abraham Attah per Beasts of No Nation (USA)
Premio Orizzonti per il miglior film: Free in Deed, Jake Mahaffy
Premio Orizzonti per la miglior regia: The Childhood of a Leader, Brady Corbet
Premio Speciale della Giuria Orizzonti: Boi Neon, Gabriel Mascaro
Premio Orizzonti per il miglior attore: Dominique Leborne per Tempête
Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio: Belladonna, Dubravka Turic
Premio Venezia Opera prima “Luigi de Laurentiis”: The Childhood of a Leader, Brady Corbet
Leone d'argento per la miglior regia: Pablo Trapero per El Clan (Argentina)
Leone d'argento - Gran premio della giuria: Anomalisa, Charlie Kaufman e Duke Jonhnson (USA)
Premio speciale della giuria: Abluka, Emin Alper (Turchia/Francia/Qatar)
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Fabrice Luchini per L'Hermine (Francia), Christian Vincent
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Valeria Golino per Per amor vostro (Italia), Giuseppe Gaudino
Premio Osella per la migliore sceneggiatura: Christian Vincent per L'Hermine (Francia)
Premio Marcello Mastroianni ad un attore o attrice emergente: Abraham Attah per Beasts of No Nation (USA)
Premio Orizzonti per il miglior film: Free in Deed, Jake Mahaffy
Premio Orizzonti per la miglior regia: The Childhood of a Leader, Brady Corbet
Premio Speciale della Giuria Orizzonti: Boi Neon, Gabriel Mascaro
Premio Orizzonti per il miglior attore: Dominique Leborne per Tempête
Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio: Belladonna, Dubravka Turic
Premio Venezia Opera prima “Luigi de Laurentiis”: The Childhood of a Leader, Brady Corbet