L’opera, del 1968, giunge a un anno di distanza da Per favore non mordermi sul collo, eccelsa parodia vampirica firmata dall’autore franco-polacco, e segna il suo ingresso nell’establishment statunitense; la produzione è di William Castle, celeberrimo regista di b-movies, noto per le sue trovate ingegnose. Castle avrebbe voluto dirigere il film, ma venne scartato per la sua fama legata alla serie B; si accontentò di un cameo, comparendo nelle vesti dell’uomo che attende fuori dalla cabina del telefono mentre Rosemary chiama il Dr. Hill.
La pellicola è fedele al romanzo di Levin, poiché Polanski fu scrupolosissimo nella trasposizione, e sono ormai note le vicissitudini di casting legate ai ruoli dei protagonisti: per Rosemary vennero fatti i nomi di Tuesday Weld e Sharon Tate, che si dice appaia, non accreditata, nella scena della festa data da Rosemary per i suoi “amici giovani”, mentre per Guy venne chiamato in prima istanza Robert Redford, legato però a un altro vincolo contrattuale. Le scelte finali si sono rivelate perfette: Mia Farrow dona al personaggio qualità uniche, con il suo aspetto etereo e fragile, e John Cassavetes ne è la controparte ambigua ed egoista.
Guy pensa a se stesso fin dall’inizio: tanto la moglie è amorevole quanto lui è assolutamente concentrato sulla propria carriera; il patto col Diavolo, o meglio, con Roman Castevet (un Sidney Blackmer assolutamente in parte) è conseguenza naturale di un atteggiamento pre-esistente. Proprio in quegli anni, e sia il libro che il film ne sono lo specchio, la Chiesa di Satana fondata da Anton LaVey (che si diceva avesse apportato la sua consulenza, comparendo anche nel ruolo della Bestia, voci che vennero completamente smentite) era popolarissima negli States: si sanciva così la fine dell’era del flower power, del peace and love, in favore di derive oscure e inquietanti che raggiungeranno il loro picco più sanguinoso nel 1969, col massacro di Cielo Drive ad opera della Manson Family, nel quale perse la vita la stessa Sharon Tate, moglie di Polanski e all’ottavo mese di gravidanza. Il satanismo LaVeyano altro non era che un porre l’accento sull’individualismo e sull’ego, sulle conquiste materiali a scapito del resto: in questo Guy rappresenta il satanista perfetto. L’anziano Castevet, figlio dell’occultista Adrian Marcato, anch’egli un tempo dimorante nel medesimo palazzo, l’antico e lugubre Bramford, riconosce subito l’ambizione del giovane attore, offrendogli fama e successo in cambio della moglie, che dovrà prestare il grembo per dare alla luce l’Anticristo.
Il Bramford (nella realtà, il Dakota, nel quale abitò John Lennon e che proprio lì davanti trovò la morte), edificio vecchio così com’è vecchio il Male e come sono anziani coloro che lo abitano, è uno dei protagonisti principali del film: oggetto di sinistre leggende, non una è casa infestata in senso stretto, ma è impregnata dal culto malefico dei suoi inquilini; l’appartamento in cui la giovane coppia si trasferisce è l’oggetto del desiderio di Rosemary, che si trasformerà nella sua rovina.
La donna ha per l’intero film un atteggiamento remissivo ma esercita pieno controllo in due momenti precisi, ossia all’inizio e alla fine: nella decisione di traslocare nel Bramford e nel seguire l’istinto materno verso quel figlio che, nonostante tutto, sente come proprio. Rosemary’s Baby si snoda in modo progressivo, scoprendo le carte una alla volta, anche se fin dai primi momenti l’atmosfera sinistra è tangibile: dal suicidio della giovane ospite dei Castevet fino alle lugubri litanie che Guy e Rosemary sentono attraverso la parete della camera da letto. È proprio attraverso la voce che si preannunciano i due anziani personaggi, ancor prima del loro arrivo in scena: Polanski gioca sul sonoro, presentandoli attraverso i dialoghi che trapelano da mura non così spesse.
Nel visivo, Roman e Minnie (interpretata da una formidabile Ruth Gordon, che per questo ruolo si portò a casa un Oscar e un Golden Globe come Miglior attrice non protagonista) sono eccentrici ma in apparenza innocui, anche se la signora Castevet appare un po’ troppo curiosa e invasiva. Il regista aveva ben chiaro in mente quale dovesse essere l’aspetto dei componenti della setta e voleva delle vecchie glorie di Hollywood per quei ruoli ma, non conoscendone i nomi, li disegnò: vennero chiamati coloro che erano più simili a quanto reso con carta e matita da Polanski. Tra gli altri, si notano Ralph Bellamy nelle vesti del Dr. Sapirstein e l’attrice comedy Patsy Kelly a interpretare Laura-Louise, membro della setta.
L’effetto-shock, sia nel libro che nel film, è affidato alle apparenze ingannevoli: nessuno sospetterebbe che dietro a dei vecchietti si celi un coven di adoratori di Satana, poiché i media associano questo tipo di culti a gruppi giovanili; in realtà si è assai vicini al vero, perché è proprio nell’elite, nell’alta società composta da persone adulte che spesso si concentrano fenomeni di questo tipo.
Di chi bisogna avere realmente paura, dunque? È uno dei quesiti fondamentali che il film pone allo spettatore, così come mette in primo piano il tema di una maternità violata, ma non per questo meno sentita. Il declino fisico di Rosemary nel corso della gravidanza, il suo apparire sempre più emaciata, non è dovuto soltanto alle strane pozioni dell’anziana vicina e ai bislacchi consigli del medico/stregone, ma è palese metafora del Male che si è insediato dentro di lei. Il “God is Dead” scritto in rosso su sfondo nero, che campeggia sulla copertina del Time nella sala d’aspetto di Sapirstein, torna nelle parole di Roman Castevet nella sequenza finale, in risposta al “Dio Mio!” esclamato da Rosemary :”Dio è Morto”, la sua scomparsa è la fine di un’era e l’inizio di anni assai più oscuri e spaventosi.
Il finale di Rosemary’s Baby è memorabile, così come indelebile è l’espressione dellla Farrow quando guarda nella culla nera: un terrore e un raccapriccio che fanno immaginare il peggio, angosciando e incutendo paura più di qualsiasi volto mostruoso e mostrato. Ancora una volta, il suggerito si dimostra vettore eccellente; sta a chi guarda creare l’orrore nella propria mente. “Cosa avete fatto ai suoi occhi?”: quel che giace nella culla non è umano, ma ciò non impedisce alla donna di sentire dell’amore istintivo, un atavico senso materno. L’abilità di Roman Polanski si ritrova nell’insinuare il dubbio nello spettatore, spingendolo a porsi la domanda se ciò che ha visto sia reale o solo il frutto della paranoia e follia di Rosemary: un quesito che non ha risposta. Con l’incertezza la visione si conclude, sulle note del magnifico (e agghiacciante) main theme composto da Christopher Komeda, la cui nenia è intonata dalla stessa Farrow.
La pellicola è impeccabile sotto ogni punto di vista, tecnicamente rigorosa, con una fotografia, ad opera di William A. Fraker, che si pone come fattore determinante per l’atmosfera del girato, inizialmente radiosa, via via più cupa.
L’anno successivo Polanski verrà colpito dalla tragedia di Cielo Drive; girarono voci a proposito del fatto che fossero stati proprio Rosemary’s Baby e la sua visione del satanismo a provocare le ire di Manson. In realtà i motivi erano ben diversi: la villa era stata precedentemente abitata da un produttore discografico, il quale aveva rifiutato le composizioni del folle musicista; la sua vendetta era una rappresaglia verso i “ricchi e famosi” che l’avevano rigettato.
Due anni dopo il brutale omicidio della moglie, il regista girò la sua celebre trasposizione del Macbeth (1971), che venne vista come naturale conseguenza dello shock subito, a causa di alcune scene particolarmente cruente; è più interessante, forse, notare una continuità tematica, ossia il proseguimento di un discorso sul Male, sul Diavolo che nell’opera shakesperiana assume forme e caratteristiche diverse, pur restando onnipresente.
Rosemary’s Baby è opera fondamentale, elemento-chiave dell’ideale trilogia sugli “orrori da appartamento” composta da Repulsion (1965) e L’inquilino del terzo piano (1976). Un magnifico dramma sulla paura, la paranoia, l’inganno e, inutile a dirsi, sul Male che può mettere radici in ognuno di noi.
Chiara Pani
Sezione di riferimento: Special Roman Polanski
Scheda tecnica
Titolo originale: Rosemary’s Baby
Anno: 1968
Regia: Roman Polanski
Sceneggiatura: Roman Polanski
Fotografia: William A. Fraker
Musiche: Christopher Komeda
Durata: 136’
Uscita in Italia: 24 Dicembre 1968
Interpreti principali: Mia Farrow, John Cassavetes, Ruth Gordon, Sidney Blackmer, Ralph Bellamy
| |