Dopo aver terminato gli studi in regia alla scuola di Lodz, e dopo alcuni pregevoli cortometraggi, Polanski debutta nel 1962 con Il coltello nell’acqua, lavoro molto criticato in patria che spinge il regista, parigino di nascita, ad abbandonare la sua patria e condurre una carriera nomadica tra Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti d’America. Proprio all’apice della sua carriera, dopo il successo di Rosemary’s Baby, il cineasta si trova in uno dei momenti peggiori della propria vita: la moglie Sharon Tate, insieme ad alcuni amici, viene brutalmente uccisa a Bel Air mentre è all’ottavo mese di gravidanza, per mano di Charles Manson e della sua setta.
Polanski, però, con grande coraggio e dedizione all’arte che meglio rappresenta, decide di tornare al lavoro, probabilmente l’unica e inevitabile scelta per un uomo di cinema, e nel 1971 realizza la propria versione di Macbeth. La messa in scena ideata per la tragedia shakespeariana risponde a un’esigenza di fedeltà, di assecondamento del testo e, ancor di più, a un vero e proprio assoggettamento all’opera di William Shakespeare – «Se prendete un libro che amate, che ritenete interessante o geniale, allora credo sia necessario avere la modestia di sottomettersi al libro» (Roman Polanski).
Il rispetto che l'autore ripone nella sceneggiatura e nelle immagini del suo film non è però passivo; egli introduce infatti un aspetto cupo e crepuscolare che permea l’azione e i suoi personaggi e aggiunge alcune sequenze oniriche colme di violenza e di morte. Quella di Duncan, per esempio, relegata al fuori campo da Shakespeare, nel film di Polanski ha connotazioni sinistre e morbose che rendono la conquista del trono, da parte di Macbeth, terribile e maledetta.
La tragedia shakespeariana, storia di un assassinio ignobile, sospinto da brama e pazzia, è il pretesto per il regista parigino per confrontarsi con gli abissi della mente di un omicida, permettendogli di esorcizzare la sua vita reale tramite l’incessante lavorio della sua arte. Pregevole e significativa è quindi la scelta di porre in primo piano le vicende e i pensieri del carnefice Macbeth – esaltando i dialoghi e gli a parte originali – e non, per esempio, utilizzare il tessuto scrittorio della tragedia per dare risalto alla vicenda personale di Macduff che, similarmente al privato di Polanski, viene a scoprire che durante la sua assenza la sua famiglia è stata uccisa. Ed è Ross a comunicare l’indicibile: «Il tuo castello è stato colto di sorpresa, tua moglie e i tuoi bambini sono stati selvaggiamente trucidati […]».
Nessun uso strumentale, quindi, dell’intreccio narrativo o di parte di esso, bensì una messa in scena che sottostà alla cifra stilistica più fedele al testo, ma che è capace di aggiungervi anche un’insolita vena grottesca soprattutto nelle sequenze di combattimento, prive di qualsivoglia regalità o spirito cavalleresco. Scontri volgari e goffi si intrattengono tra il giovane Siward, Macbeth e, infine, Macduff, colui che metterà fine al regno del nuovo Re di Scozia. Una rivincita però senza gloria.
Macbeth non viene generalmente annoverato tra i lavori più significativi di Polanski, a causa di una presunta mancanza di visione autoriale su un testo che altri registi, Welles (Macbeth, 1948) e Kurosawa (Il trono di sangue, 1957), hanno saputo interpretare con più rigore drammatico o con maggiore personalità. Ma questa opera filmica risulta essere il frutto di un’urgenza più umana che creativa – un «Reagisci da uomo», così come Malcom suggerisce a Macduff –, che negli scambi tra vita e arte trova la sua collocazione ideale e dalla quale scaturisce la sua importanza.
Emanuel Carlo Micali
Sezione di riferimento: Special Roman Polanski
Scheda tecnica
Titolo originale: Macbeth
Anno: 1971
Regia: Roman Polanski
Sceneggiatura: Roman Polanski, Kenneth Tynan
Fotografia: Gilbert Taylor
Musiche: The Third Ear Band
Durata: 140’
Uscita in Italia: 3 novembre 1972
Attori principali: Jon Finch, Francesca Annis, Martin Shaw