Paulina Escobar è la donna-Polanski che non ti aspetti. L’universo filmico del regista è ricco di donne-vittima, donne-fatali, mentitrici, ingannatrici, sensuali e archetipi di femminilità, oggetti e soggetti dell’attrazione. Ma chi è, dunque, la Paulina de La morte e la fanciulla? È l’icona desessualizzata Sigourney Weaver, statuaria e fragile, insinuante e abile con le parole finché le corde della nevrosi la convincono a trasformare la paura in reazione, il terrore in azione. La vittima che prende possesso di sé per la prima volta e dà sfogo alla tragedia interiore, allestendo il dramma nella propria casa. Sigourney la protagonista perfetta, che combatte ancora una volta l’alieno con l’ostinazione. La donna ribelle cui finalmente spetta il diritto di decidere, il clic tra la vita e la morte.
Gatto e topo. La morte e la fanciulla è un gioco al massacro fatto di parole taglienti come le immagini che vengono solo suggerite, una guerra di negazioni, ammissioni, confessioni e battute che riportano alla luce, con la vividezza di una scena davanti ai nostri occhi, i ricordi violenti e sconvolgenti, rievocati nella voce e nel volto teso di Sigourney. Gatto e topo. Ma le parti si confondono qui, come un gioco di ruolo, una partita a carte in cui vince chi sa barare meglio, chi sa fingere, chi si fa ingannare, chi riesce a credere, manipolare, cambiare o rivelare il vero. Gli equilibri vengono mantenuti intatti e sospesi, l’occhio del regista sa avvicinarsi quanto basta per cogliere un dettaglio, e poi allontanarsi tanto da non consentirci mai di comprendere da quale parte sia la ragione.
Spesso, nel cinema della tensione e nel thriller psicologico in cui tutto ruota attorno alla dinamica vittima-carnefice, alle fragilità mentali dell’una e alle patologie dell’altro, la linea della verità è già evidente e resa intellegibile dalla prevedibilità dell’intreccio e da una scarsa capacità registica nel tenere aperti i molteplici registri dell’interpretazione, quella dell’attore e quella dello spettatore. La morte e la fanciulla è un raro caso di ambiguità perfettamente mantenuta, in cui la ricerca della verità è addirittura secondaria alla necessità che questa venga verbalizzata. Paulina, la pena gravosa della sopravvissuta, ha bisogno di sentire riconosciuta la tortura subita. Ha una necessità quasi fisica di udire quelle parole, di sentire ammettere il crimine, di vedere finalmente affermata la dignità negata, di riappropriarsi della sua stessa vita, che nonostante tutto è come se fosse rimasta rinchiusa tra le celle della prigione. E anche la casa sul mare, calda e notturna (bellissima fotografia di Tonino Delli Colli), è la location unica dentro la quale si consuma, come già ai tempi della dittatura, la tortura. Fisica, psicologica. Il climax straordinario porta la palpabile tensione fino al punto di non ritorno. La confessione. La liberazione. L’obiettivo finale.
La morte e la fanciulla è stato rappresentato con successo per la prima volta nel 1991 a Londra, con Juliet Stevenson (caratterista di lusso per film in costume come Emma, Nicholas Nickleby, The Hour), Bill Paterson (popolare per la sua partecipazione alla serie Law and Order UK) e Michael Byrne (Indiana Jones e l’ultima crociata, Bravehert) come interpreti principali. Di maggiore richiamo popolare e impatto, tuttavia, è stato l’allestimento di Broadway, grazie a un cast all star (Glenn Close, Richard Dreyfuss e Gene Hackman, per la regia di Mike Nichols).
Nell’opera cinematografica, Roman Polanski conserva intatto l’impianto teatrale, concedendo agli spazi angusti e ristretti di aprirsi solamente nel prologo e nell’epilogo, peraltro contraddistinti dal fondamentale accompagnamento musicale del brano La morte e la fanciulla di Franz Schubert, che non solo dà il titolo al film, ma rappresenta un inscindibile filo conduttore sonoro ed emozionale che richiama, dal principio alla fine, il senso del ricordo, l’angoscia della storia, il presente della memoria.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Special Roman Polanski
Scheda tecnica
Titolo originale: Death and the Maiden
Anno: 1994
Regia: Roman Polanski
Attori: Sigourney Weaver, Stuart Wilson, Ben Kingsley
Sceneggiatura: Rafael Yglesias e Ariel Dorfman
Soggetto: dalla pièce omonima di Ariel Dorfman
Fotografia: Tonino Delli Colli
Durata: 101'