Los Angeles, 1937. Il detective privato ed ex poliziotto J.J. Gittes viene incaricato da una donna che si presenta come la signora Mulwray d’investigare sulla presunta infedeltà del marito, un ingegnere a capo del Dipartimento per l’acqua di Los Angeles. Ben presto viene a sapere di essere stato raggirato, dal momento che la vera signora Mulwray non l’ha mai ingaggiato per pedinare il marito, trovato morto pochi giorni dopo. Deciso a venire a capo di quest’intrigo inizia a investigare, fino a scoprire un enorme caso di corruzione pubblica e una scabrosa e terrificante vicenda privata.
Polanski rende omaggio al cinema noir, nato negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’40, con un film di grande atmosfera, forte di un’accurata e minuziosa ricostruzione d’ambienti. Con uno stile classico ma al contempo personalissimo il cineasta di origini polacche mette in scena un’opera dalla trama fitta e intricata, ben sorretta dalla sceneggiatura di ferro di Robert Towne. In Chinatown la regia è puntuale, semplice e pulita, al servizio della storia, senza sterili virtuosismi o inutili barocchismi.
L’universo descritto da Polanski, che si ritaglia un breve cameo nei panni di un piccolo malvivente, è quello tipico della miglior tradizione del genere noir, con un investigatore privato - ironico, cinico e disilluso - al centro dell’azione. Ad interpretarlo, ennesimo punto di forza del film, un Jack Nicholson in gran forma, dal perenne sorriso strafottente e insofferente a ogni forma di abuso di potere. Il suo personaggio si muove in un mondo ancor più spietato e malvagio di quello rappresentato nella maggior parte dei film che hanno reso immortale questo particolare genere cinematografico. Infatti, seppur imbevuto di alcuni gustosi siparietti ironici dove l’istrionismo di Nicholson dà il meglio di sé, Chinatown mette in scena il male assoluto, radicato in profondità nella società sia a livello politico-istituzionale sia a livello familiare, dove si annida l’orrore più indicibile.
Polanski si prende tutto il tempo necessario per dipanare gli eventi in maniera graduale ma inarrestabile, creando un’atmosfera di grande suggestione e provocando un forte impatto emotivo nello spettatore fino a deflagrare nello straziante e indimenticabile epilogo. Un finale tragico e disperato, ambientato a Chinatown, luogo in precedenza solo evocato in un paio di dialoghi da Gittes per averci lavorato in veste di poliziotto e che si ripresenta in maniera ineluttabile al protagonista. D'altronde in un mondo dominato dalla corruzione, vista e accettata dai più come se fosse una cosa normalissima, non può esserci alcuna salvezza né via di fuga, ed è del tutto inutile provare a lottare e a opporsi. Meglio quindi lasciare stare, come ricorda uno dei suoi soci a Gittes: “lascia perdere Jack. È Chinatown.” Un finale cupo, amaro e privo di speranza, fortissimamente voluto da Polanski che dovette discutere con lo sceneggiatore Robert Towne, il quale invece avrebbe preferito un happy ending.
A impreziosire ulteriormente questo capolavoro del neo-noir ci pensa un cast in stato di grazia, dove accanto a un gigantesco Jack Nicholson troviamo una sensuale ed elegante Faye Dunaway, algida e distaccata in superfice ma terribilmente fragile, dolente e sofferente nel profondo e un mefistofelico e ambiguo John Houston, in un ruolo a dir poco sgradevole e mostruoso. Perfetto il commento sonoro di Jerry Goldsmith, che rimanda ad atmosfere tipicamente chandleriane.
Insieme a Rosemary’s Baby, Chinatown è stato il più grande successo commerciale per il regista polacco in terra americana (nel 1975 venne candidato a ben undici Oscar, portandosi a casa solo il premio per la miglior sceneggiatura), e resta a tutt’oggi uno dei suoi film più belli, compiuti e riusciti a livello artistico.
Boris Schumacher
Sezione di riferimento: Special Roman Polanski
Scheda tecnica
Titolo originale: Chinatown
Anno: 1974
Regia: Roman Polanski
Sceneggiatura: Robert Towne
Fotografia: John A. Alonzo
Musiche: Jerry Goldsmith
Durata: 130’
Attori principali: Jack Nicholson, Faye Dunaway, John Huston