Come per ogni importante festival europeo che si rispetti, il cinema francese ha svolto un ruolo significativo anche nell’edizione 76 di Locarno. Non tanto nel concorso internazionale, dove hanno trovato posto solo Sylvain George e l’ennesimo (e ormai un po’ stancante) tuffo nell’irriverenza di Quentin Dupieux, quanto piuttosto in sezioni collaterali dove invece la partecipazione transalpina si è rivelata abbondante, ovvero Piazza Grande, il fuori concorso e la sempre pregevole categoria dei Cineasti del presente.
In quest’ultimo blocco è stato inserito La morsure, lungometraggio d’esordio di Romain de Saint-Blanquat, con protagonista la giovane Françoise, anni 17, segretata in un collegio cattolico tra le grinfie di suore affette da un certo fanatismo. Insofferente alla sostanziale clausura e alle rigide regole dell’istituto, e preda di credenze derivate da una mente confusa e piuttosto labile, Françoise (l’intensa Léonie Dahan-Lamort) “decide” di avere davanti a sé l’ultima notte di vita, notte in cui in un modo o nell’altro andrà incontro a una prematura morte. Per trascorrere le sue (presunte) ore finali in libertà, la ragazza scatena una rabbia interiore sino a quel momento inespressa, spacca una finestra e fugge dal convento, insieme all’amica Delphine, per dirigersi verso una festa in maschera. Giunta a destinazione, butta a mare ogni regola di buona condotta precedentemente imposta, si abbandona al trucco, all’alcool, al ballo, ai baci; in lei si scatenano istinti nascosti, guidati dal desiderio di divorare i teorici ultimi istanti d’esistenza prima di consegnarsi al destino.
Aperto da lugubri inquadrature boschive e da musiche di argentiana memoria, La morsure si nutre di nettissimi contrasti, a livello narrativo e stilistico, sviluppandosi secondo precetti registici che sviano continuamente lo spettatore, portandolo a fluttuare tra le tipicità del racconto di formazione e originali suggestioni di marca orrorifica. Parliamo, peraltro, di un orrore in un certo modo fasullo, ovvero posto come strumento di ipnosi visiva ma al contempo privo di concretezza; contorno, cornice che si insinua nei passaggi della storia come a voler ammantare di un nero velo di tenebra ciò che invece La morsure è nella sostanza: l’analisi di una lunga e decisiva notte in cui una ragazza scopre l’essenza di sé, la propria personalità, i palpiti d’amore, il sesso, seminando tracce che mai potrà dimenticare.
Il film di Romain de Saint-Blanquat tenta così un bizzarro e complicato mix tra Tempo delle mele e Suspiria, raziocinio ed emancipazione, vestiti pudici e fiamme di rivolta, imposizioni religiose e brividi profumati di stregoneria e vampirismo. Operazione assai rischiosa che in qualche punto scivola e inciampa, ma sa anche suscitare notevole e costante interesse, risolvendosi in un apprezzabile oggetto cinematografico fuori dal tempo e dagli schemi.
Manteniamo il fil rouge adolescenziale per passare a La voie royale, di Frédéric Mermoud, già autore nel 2016 del pregevole Moka (Per mio figlio), visto da chi scrive proprio a Locarno in Piazza Grande, in un’epica proiezione sotto la pioggia. La Piazza cinefila più grande del continente ha riaccolto sette anni dopo Mermoud per il suo nuovo lavoro, incentrato sul volto e le movenze di Sophie (la promettente Suzanne Jouannet), diciottenne che vive in campagna, aiuta la famiglia a portare avanti un’azienda agricola e al contempo frequenta l’ultimo anno di liceo. Molto dotata in matematica, viene convinta dal suo insegnante a iscriversi a una classe preparatoria, modalità diffusa in Francia allo scopo di forgiare gli alunni più brillanti per farli poi entrare nelle scuole nazionali di alto livello.
Per Sophie, questo passaggio si tramuta in un cambio radicale di abitudini e prospettive: trasferirsi in città, allontanarsi dal nido familiare, costruire conoscenze e amicizie. Ma soprattutto, ritrovarsi in una realtà spietata, dove la competizione muove ogni giornata, l’eccellenza è il pane quotidiano, i ragazzi lottano furiosamente per mostrarsi all’altezza e superarsi l’un l’altro, i professori (in particolare un’arcigna Maud Wyler) trattano gli studenti con estrema durezza senza risparmiare loro secche umiliazioni quando i risultati non sono sufficienti.
Giocoforza, la nuova vita di Sophie si tramuta presto in un rapido (e doloroso) passaggio all’età adulta, contraddistinto da pesi emotivi, sensazione perenne di non essere abbastanza brava e intelligente, terribili complessi di inferiorità nei confronti di quasi tutti i coetanei. La voglia di piangere, mollare tutto e tornare alle stalle e ai maiali si scontra con la tenacia, il sogno di emergere, l’obiettivo di farcela; ma la strada è difficile, lastricata di sforzi all’apparenza inutili, illusioni e delusioni. Perché nessuno aspetta, e non esistono né empatia né pietà.
Destinato chiaramente a un pubblico ampio, La voie royale viaggia in direzione uguale e contraria rispetto a La morsure: al centro sempre un sentiero di crescita, ma se con la turbolenta Françoise siamo sballottati tra ripidi tornanti e panorami nebulosi, asincronie e volute discordanze, qui si procede invece su una carreggiata più dritta e rassicurante, nonostante la severità di talune situazioni e del contesto generale. L’opera di Mermoud non travalica determinati modelli, non azzarda troppo, non tenta voli pindarici: limite però in fondo sostenibile, poiché l’efficacia espressiva emerge con armonia e buoni esiti.
Assistiamo così alla maturazione di una giovane donna che, pur con tanta fatica, comincia ad arrampicarsi sull’irto e gelido muro della società contemporanea, giustificando infine ogni pena con un senso di rara e preziosa fattura: provare a cambiare il mondo.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno
Schede tecniche
La morsure
Regia e sceneggiatura: Romain de Saint-Blanquat
Attori: Léonie Dahan-Lamort, Lilith Grasmug, Cyril Metzger, Maxime Rohart, Fred Blin
Fotografia: Martin Roux
Montaggio: Sanabel Cherqaoui
Anno: 2023
Durata: 90’
La voie royale
Regia: Frédéric Mermoud
Sceneggiatura: Anton Likiernik, Frédéric Mermoud, Salvatore Lista
Attori: Suzanne Jouannet, Marie Colomb, Maud Wyler, Cyril Metzger, Marilyne Canto
Fotografia: Tristan Tortuyaux
Montaggio: Sarah Anderson
Anno: 2023
Durata: 107’
In quest’ultimo blocco è stato inserito La morsure, lungometraggio d’esordio di Romain de Saint-Blanquat, con protagonista la giovane Françoise, anni 17, segretata in un collegio cattolico tra le grinfie di suore affette da un certo fanatismo. Insofferente alla sostanziale clausura e alle rigide regole dell’istituto, e preda di credenze derivate da una mente confusa e piuttosto labile, Françoise (l’intensa Léonie Dahan-Lamort) “decide” di avere davanti a sé l’ultima notte di vita, notte in cui in un modo o nell’altro andrà incontro a una prematura morte. Per trascorrere le sue (presunte) ore finali in libertà, la ragazza scatena una rabbia interiore sino a quel momento inespressa, spacca una finestra e fugge dal convento, insieme all’amica Delphine, per dirigersi verso una festa in maschera. Giunta a destinazione, butta a mare ogni regola di buona condotta precedentemente imposta, si abbandona al trucco, all’alcool, al ballo, ai baci; in lei si scatenano istinti nascosti, guidati dal desiderio di divorare i teorici ultimi istanti d’esistenza prima di consegnarsi al destino.
Aperto da lugubri inquadrature boschive e da musiche di argentiana memoria, La morsure si nutre di nettissimi contrasti, a livello narrativo e stilistico, sviluppandosi secondo precetti registici che sviano continuamente lo spettatore, portandolo a fluttuare tra le tipicità del racconto di formazione e originali suggestioni di marca orrorifica. Parliamo, peraltro, di un orrore in un certo modo fasullo, ovvero posto come strumento di ipnosi visiva ma al contempo privo di concretezza; contorno, cornice che si insinua nei passaggi della storia come a voler ammantare di un nero velo di tenebra ciò che invece La morsure è nella sostanza: l’analisi di una lunga e decisiva notte in cui una ragazza scopre l’essenza di sé, la propria personalità, i palpiti d’amore, il sesso, seminando tracce che mai potrà dimenticare.
Il film di Romain de Saint-Blanquat tenta così un bizzarro e complicato mix tra Tempo delle mele e Suspiria, raziocinio ed emancipazione, vestiti pudici e fiamme di rivolta, imposizioni religiose e brividi profumati di stregoneria e vampirismo. Operazione assai rischiosa che in qualche punto scivola e inciampa, ma sa anche suscitare notevole e costante interesse, risolvendosi in un apprezzabile oggetto cinematografico fuori dal tempo e dagli schemi.
Manteniamo il fil rouge adolescenziale per passare a La voie royale, di Frédéric Mermoud, già autore nel 2016 del pregevole Moka (Per mio figlio), visto da chi scrive proprio a Locarno in Piazza Grande, in un’epica proiezione sotto la pioggia. La Piazza cinefila più grande del continente ha riaccolto sette anni dopo Mermoud per il suo nuovo lavoro, incentrato sul volto e le movenze di Sophie (la promettente Suzanne Jouannet), diciottenne che vive in campagna, aiuta la famiglia a portare avanti un’azienda agricola e al contempo frequenta l’ultimo anno di liceo. Molto dotata in matematica, viene convinta dal suo insegnante a iscriversi a una classe preparatoria, modalità diffusa in Francia allo scopo di forgiare gli alunni più brillanti per farli poi entrare nelle scuole nazionali di alto livello.
Per Sophie, questo passaggio si tramuta in un cambio radicale di abitudini e prospettive: trasferirsi in città, allontanarsi dal nido familiare, costruire conoscenze e amicizie. Ma soprattutto, ritrovarsi in una realtà spietata, dove la competizione muove ogni giornata, l’eccellenza è il pane quotidiano, i ragazzi lottano furiosamente per mostrarsi all’altezza e superarsi l’un l’altro, i professori (in particolare un’arcigna Maud Wyler) trattano gli studenti con estrema durezza senza risparmiare loro secche umiliazioni quando i risultati non sono sufficienti.
Giocoforza, la nuova vita di Sophie si tramuta presto in un rapido (e doloroso) passaggio all’età adulta, contraddistinto da pesi emotivi, sensazione perenne di non essere abbastanza brava e intelligente, terribili complessi di inferiorità nei confronti di quasi tutti i coetanei. La voglia di piangere, mollare tutto e tornare alle stalle e ai maiali si scontra con la tenacia, il sogno di emergere, l’obiettivo di farcela; ma la strada è difficile, lastricata di sforzi all’apparenza inutili, illusioni e delusioni. Perché nessuno aspetta, e non esistono né empatia né pietà.
Destinato chiaramente a un pubblico ampio, La voie royale viaggia in direzione uguale e contraria rispetto a La morsure: al centro sempre un sentiero di crescita, ma se con la turbolenta Françoise siamo sballottati tra ripidi tornanti e panorami nebulosi, asincronie e volute discordanze, qui si procede invece su una carreggiata più dritta e rassicurante, nonostante la severità di talune situazioni e del contesto generale. L’opera di Mermoud non travalica determinati modelli, non azzarda troppo, non tenta voli pindarici: limite però in fondo sostenibile, poiché l’efficacia espressiva emerge con armonia e buoni esiti.
Assistiamo così alla maturazione di una giovane donna che, pur con tanta fatica, comincia ad arrampicarsi sull’irto e gelido muro della società contemporanea, giustificando infine ogni pena con un senso di rara e preziosa fattura: provare a cambiare il mondo.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno
Schede tecniche
La morsure
Regia e sceneggiatura: Romain de Saint-Blanquat
Attori: Léonie Dahan-Lamort, Lilith Grasmug, Cyril Metzger, Maxime Rohart, Fred Blin
Fotografia: Martin Roux
Montaggio: Sanabel Cherqaoui
Anno: 2023
Durata: 90’
La voie royale
Regia: Frédéric Mermoud
Sceneggiatura: Anton Likiernik, Frédéric Mermoud, Salvatore Lista
Attori: Suzanne Jouannet, Marie Colomb, Maud Wyler, Cyril Metzger, Marilyne Canto
Fotografia: Tristan Tortuyaux
Montaggio: Sarah Anderson
Anno: 2023
Durata: 107’