Apologia della libertà artistica, La mano ci mostra il destino di un vasaio-scultore che riceve da un’enorme mano l’ordine di modellare un monumento grandioso a lei dedicato. L’artista rifiuta più volte ed essa, dopo esser ricorsa a doni e soldi per corromperlo, passa alla violenza. Il vasaio non può che obbedire e, rinchiuso in una gabbia, modella una mano di marmo.
Meraviglioso esempio di animazione “a passo uno” (stop motion), La mano appartiene a un periodo particolarmente fortunato della carriera di Trnka, ovvero quello successivo a Sogno di una notte di mezza estate del 1959: circa un lustro di cortometraggi in cui il regista boemo – dopo aver tentato tutto ciò che si poteva fare con film di marionette, sperimentato tutti i generi dalle favole fino agli antichi tempi eroici – cerca, riuscendovi, di investigare la contemporaneità a lui contigua approdando ad una animazione di genere civile ed impegnata. Difatti i toni si fanno più cupi, più introspettivi, e la gravità della situazione di una nazione, quella cecoslovacca, stretta nella morsa tra occidente e oriente – tra sogni mitteleuropei pangermanici prima e influenze politico/culturali socialiste poi – entra con forza nel tessuto scrittorio da La passione del 1962 fino a La mano.
Jîrí Trnka, attraverso il personaggio del vasaio-scultore, dà vita ad un antieroe che si fa carico del peso del proprio ruolo e, pur di perseguire la libertà contro il controllo oppressore dell’ideologia di Stato, va incontro alla morte. Se da un punto di vista tematico questo cortometraggio appare di una poeticità unica, toccante ma greve, lo stile messo in scena da Trnka non può che accrescerne il valore simbolico. Se prima di lui uno dei problemi più difficili da risolvere era quello legato all’animazione del viso, egli intuisce che il volto e la fisionomia del pupazzo da animare deve essere più simile a quello della maschera teatrale che a quello dell’attore in carne e ossa.
Così, il protagonista de La mano si mostra come il perfetto personaggio di Trnka: occhi dipinti che suggeriscono una certa fissità e indefinitezza dello sguardo, e una bocca immobile che tocca gli apici più tragici dell’incomunicabilità; il tutto gestito con sapienza nell’uso dell’illuminazione e della messa in scena. Proprio a quest’ultima, e al montaggio, va la capacità di caratterizzare così bene sia l’artista che la mano. Incredibile, a tal proposito, la sequenza centrale del cortometraggio in cui essi, su un contrappunto jazzistico, si danno battaglia per conquistare la libertà da una parte e il potere dall’altra.
Il finale di questa opera filmica ci offre un affresco chiaro e sardonico della contraddittorietà del potere: l’artista riesce a scappare dal suo oppressore che, però, ne causa la morte. Al vasaio sono così riconosciuti dei magnifici e pomposi funerali di stato con tutti gli onori. Visione tragicomica di un’apologia al lavoro creativo e critica dissacrante, ma mai deprimente, del potere costituito, La mano di Jîrí Trnka segna l’apice della poetica del regista boemo e del cinema d’animazione cecoslovacco. Un’opera da (ri)scoprire, da godere e su cui riflettere.
Emanuel Carlo Micali
Sezione di riferimento: Animazione
Scheda tecnica
Titolo originale: Ruka
Anno: 1965
Regia: Jîrí Trnka
Sceneggiatura: Jîrí Trnka
Durata: 19’