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BREATHE IN - Corpo estraneo

20/8/2014

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La storia è presto detta, ed è quella di sempre: lei, Sophie (Felicity Jones), arriva dall’Inghilterra per studiare un semestre negli Stati Uniti; lui, Keith (Guy Pearce), è un padre amorevole e un marito affidabile nella famiglia perfetta che accoglie la serpe in seno. Poi, il fattaccio. Basta che Sophie suoni un brano al pianoforte, durante la lezione di musica tenuta da Keith, e il fuoco tra i due si accende. Il resto è inevitabile, con tanto di cuori spezzati, piatti rotti, lacrime, rabbia, sensi di colpa che affondano in uno sguardo rubato. Ovviamente nulla sarà mai più come prima.
Nel cinema, ormai stilisticamente molto definito, di Drake Doremus, non conta tanto la storia, con il suo prevedibile intreccio, quanto il modo in cui le immagini riescono a raccontarla. La banale tematica dell'adulterio diventa una toccante indagine nelle pagine di una famiglia medio-borghese, di una coppia, di un uomo e una donna legati ma stanchi di se stessi. Un ritratto sentimentale nelle acque grigie, sfumate quasi a perdere i colori, del suo autore.
Drake Doremus non giudica, ma osserva. Conserva il tocco delicato e profondo che ha reso la sua opera precedente, Like Crazy, molto più della storia di due giovani amanti divisi dall’oceano.
Qui il regista sposta la sua attenzione alla coppia matura. Dove Like Crazy limitava il suo sguardo alla nascita di un amore tenero e fragile, e alle spine e agli ostacoli che si frappongono alla felicità, Breathe In compie un salto temporale per indagarne, indirettamente, le conseguenze.
Al termine dei titoli di coda di Like Crazy, appena svoltato l’angolo, ci imbattiamo nel ritratto di famiglia di Breathe In. Il passaggio non è immediato, ma è ideale, e la confezione registica suggerisce un legame tra i due film sia sul piano visivo che dei contenuti. Il giovane e tormentato Jacob di Like Crazy è cresciuto, ha creato una famiglia, ha rinunciato alle ambizioni artistiche ed è diventato un bravo insegnante. Jacob è Keith, anche se non ha più il viso di Anton Yelchin, ma le fattezze di Guy Pearce. Il mondo adolescente pieno di ispirazioni, desideri e infuocate passioni si è spento dentro il giardino di una villa, nelle occhiate distratte di famigliari che non hanno nulla da dirsi ma solo orari da pianificare. Questo è l’inaridito universo degli adulti, dove tutto si può comprare ma l’infelicità non si può ignorare.
Dall’altra parte dello stile di vita, la Anna di Like Crazy, l’inglesina frizzante e combattuta ma determinata in amore, in Breathe In si chiama Sophie. Lei non è invecchiata, è una figura destinata a rimanere eternamente giovane, bella e inarrivabile. E la sua interprete, Felicity Jones, torna ancora. Un altro set, un altro copione, ma lei non cambia: è sempre la straniera, e continua la sua esplorazione dell’Altra in un ambiente estraneo. Sophie non soffre la distanza dalla terra di origine, il cui ritorno appare ancora una volta come una sconfitta. Arriva in America come una “Rosa scompiglio”, con la sua valigia di tormenti e insoddisfazioni, il desiderio di vivere e di farsi vivere, la sottile consapevolezza di essere lei, perché così è scritto, l’elemento destabilizzante del microcosmo perfetto: la famiglia-tipo. Una moglie bionda e confortante, pragmatica, indaffarata a portare avanti il menage. Una figlia adolescente adorata da mamma e papà, gelosa di tutto e di tutti. Un marito che è chiaramente l’elemento debole. L’artista fallito, incompreso. Un uomo che vive il quotidiano come un animale in cattività.
Ecco che Sophie apre il recinto. Libera, sofferente, scalpitante di esistere, con il cuore non ancora inaridito dalla vita. Capace di ascoltare, sentire. Sophie che vuole donarsi, essere capita, essere amata. Che non appartiene ad alcun luogo. Un organismo estraneo che non si adatta e può solo alterare gli equilibri, cambiare l’atmosfera, scombinare le armonie, svelando la fitta rete di infelicità, frustrazioni, distrazioni e passioni represse.
Questo continua a essere lo sguardo attento di Drake Doremus sul mondo delle relazioni umane. L’intimità con cui riesce a creare un circuito vibrante di emozioni attorno a un accordo musicale, l’attenzione al paesaggio come all’ambiente che fa e modifica i comportamenti umani, la cura maniacale del dettaglio, la lentezza, la fotografia che si sposa con la colonna sonora, seguendo forse inconsapevolmente la lezione di Ėjzenštejn sulla sincronizzazione dei sensi.
Come un’opera antica, magicamente fuori epoca, Breathe In coglie e rappresenta il sentimento con una sensibilità inusuale per un cinema contemporaneo sempre più abituato a mostrare l’amore soltanto come corpi avvinghiati. Drake Doremus sembra guardare a Terrence Malick, e dà profondità e significato al sentire usando la macchina da presa. I suoi film potrebbero anche essere muti, raccontati solo tramite immagini. È uno stile personale che parte dalla storia e in essa chiude il cerchio. Gli attori aggiungono i dialoghi in una improvvisazione sentita e costante.
Breathe In è un film corale che di certo non sconvolge lo spettatore, ma con verità esplora la complessità e l’importanza delle relazioni nella società liquida, nel tempo dell’infelicità nascosta, taciuta, negata.

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: America Oggi


Scheda tecnica

Regia: Drake Doremus
Sceneggiatura: Drake Doremus, Ben York James
Attori: Guy Pearce, Felicity Jones, Amy Ryan, Mackenzie Davis, Kyle MacLachlan, Adam Shankman
Fotografia: John Guleserian
Musica: Dustin O’Halleran
Durata: 97'
Anno: 2013

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