Non è più tempo di eroi. Resta solo la vendetta, atto finale necessario che peraltro mai potrà restituire ciò che è stato tolto. Rimane il desiderio di rivalsa, impetuoso e inarrestabile, che spinge a cercare il colpevole, braccarlo, inseguirlo, fiutarlo, sino a divorarne l'anima impura per gettarlo senza pietà tra le fauci dell'inferno. Mirare, sparare, colpire, ammazzare, per poi gettare le vesti nel fuoco e ballare nudi intorno alle fiamme della purificazione, cercando di dare un senso al presente monco e al futuro che forse bisognerà vivere.
Sweetwater, diretto da Logan Miller, scritto insieme al fratello gemello Noah e presentato fuori concorso al Torino Film Festival, conferma per l'ennesima volta una delle poche leggi intoccabili dell'Arte che più amiamo: il western non morirà mai. Non può morire. La sua essenza totemica e universale ne impedisce l'estinzione. Passano le mode, cambia la fruizione, si evolvono i gusti e i generi, ma il cuore pulsante del vecchio West resiste, inossidabile, perché tra cavalli, polvere e pistole ci sarà sempre una storia da raccontare, nel tempo e fuori dal tempo.
E allora eccoci, stavolta in una piccola città nelle colline del New Mexico, alla fine del diciannovesimo secolo. Lì, tra terra e stivali, coltelli e bordelli, campi da coltivare e ruoli da conservare, c'è un predicatore che da un lato invoca il nome di Dio e dall'altro opera costantemente nell'abominio, copulando regolarmente con le donne assoggettate al suo potere e macchiandosi di tre delitti; c'è uno sceriffo squinternato e impavido che sospetta di lui e porta avanti le sue indagini sino ad accertare l'amara verità; c'è una giovane vedova, moglie di uno dei tre uomini assassinati, che indossa il suo vestito più bello, abbandona le sementi e si tramuta in una spietata killer colorata di viola e mossa da un odio incontrollabile. Uno contro tutti, tutti contro uno; i proiettili volano, il sangue si sparge, la resa dei conti si avvicina e si consuma; nessuno però uscirà realmente vittorioso, perché le cicatrici del dolore talvolta non hanno più speranza di essere rimarginate.
Potente, arguto, spassoso, solidissimo: Sweetwater è cinema che guarda al passato desacralizzando il presente, soffiando nel vento il residuo senso della perduta moralità a (s)vantaggio di un racconto ebbro di malinconia nella sostanza e ricco di ironia nella forma, dove tutti loro malgrado devono subire gli eventi, impossibilitati a nascondersi o fuggire, condannati a nuotare tra le viscere del peccato e dell'oscenità.
Diretto con mano ferma, rispettoso della tradizione di riferimento e mai autocompiaciuto, l'ottimo lavoro dei Miller (possibili eredi dei Coen? Chissà...) consegna agli annali un capelluto e mai così gigioneggiante Ed Harris, alle prese con un personaggio delirante e irresistibile, capace di dar vita a sequenze memorabili (il pestaggio dello sceriffo abusivo, la rovina del tavolo pregiato) con irrisoria facilità. Accanto a lui la bella e decisa January Jones e un mistico e luciferino Jason Isaacs, convinti e convincenti.
Peraltro, attori a parte, è tutto l'insieme a funzionare: tra inquadrature in controluce volte a creare effetti fotografici d'indubbio fascino e soluzioni scenografiche azzeccatissime (il confronto finale nel recinto delle pecore), ogni dettaglio della messinscena contribuisce infatti a sottolineare la magniloquente scorrevolezza e precisione di un film lineare, certo non originale, ma capace di essere esemplare e perfetto nella sua essenzialità. Un pregio che in pochi si possono permettere.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Torino 31
Scheda tecnica
Regia: Logan Miller
Sceneggiatura: Logan Miller, Noah Miller
Fotografia: Brad Shield
Montaggio: Robert Dalva
Musiche: Martin Davich
Attori: January Jones, Jason Isaacs, Ed Harris, Eduardo Noriega, Jason Aldean, Stephen Root
Anno: 2013
Durata: 95'
Sweetwater, diretto da Logan Miller, scritto insieme al fratello gemello Noah e presentato fuori concorso al Torino Film Festival, conferma per l'ennesima volta una delle poche leggi intoccabili dell'Arte che più amiamo: il western non morirà mai. Non può morire. La sua essenza totemica e universale ne impedisce l'estinzione. Passano le mode, cambia la fruizione, si evolvono i gusti e i generi, ma il cuore pulsante del vecchio West resiste, inossidabile, perché tra cavalli, polvere e pistole ci sarà sempre una storia da raccontare, nel tempo e fuori dal tempo.
E allora eccoci, stavolta in una piccola città nelle colline del New Mexico, alla fine del diciannovesimo secolo. Lì, tra terra e stivali, coltelli e bordelli, campi da coltivare e ruoli da conservare, c'è un predicatore che da un lato invoca il nome di Dio e dall'altro opera costantemente nell'abominio, copulando regolarmente con le donne assoggettate al suo potere e macchiandosi di tre delitti; c'è uno sceriffo squinternato e impavido che sospetta di lui e porta avanti le sue indagini sino ad accertare l'amara verità; c'è una giovane vedova, moglie di uno dei tre uomini assassinati, che indossa il suo vestito più bello, abbandona le sementi e si tramuta in una spietata killer colorata di viola e mossa da un odio incontrollabile. Uno contro tutti, tutti contro uno; i proiettili volano, il sangue si sparge, la resa dei conti si avvicina e si consuma; nessuno però uscirà realmente vittorioso, perché le cicatrici del dolore talvolta non hanno più speranza di essere rimarginate.
Potente, arguto, spassoso, solidissimo: Sweetwater è cinema che guarda al passato desacralizzando il presente, soffiando nel vento il residuo senso della perduta moralità a (s)vantaggio di un racconto ebbro di malinconia nella sostanza e ricco di ironia nella forma, dove tutti loro malgrado devono subire gli eventi, impossibilitati a nascondersi o fuggire, condannati a nuotare tra le viscere del peccato e dell'oscenità.
Diretto con mano ferma, rispettoso della tradizione di riferimento e mai autocompiaciuto, l'ottimo lavoro dei Miller (possibili eredi dei Coen? Chissà...) consegna agli annali un capelluto e mai così gigioneggiante Ed Harris, alle prese con un personaggio delirante e irresistibile, capace di dar vita a sequenze memorabili (il pestaggio dello sceriffo abusivo, la rovina del tavolo pregiato) con irrisoria facilità. Accanto a lui la bella e decisa January Jones e un mistico e luciferino Jason Isaacs, convinti e convincenti.
Peraltro, attori a parte, è tutto l'insieme a funzionare: tra inquadrature in controluce volte a creare effetti fotografici d'indubbio fascino e soluzioni scenografiche azzeccatissime (il confronto finale nel recinto delle pecore), ogni dettaglio della messinscena contribuisce infatti a sottolineare la magniloquente scorrevolezza e precisione di un film lineare, certo non originale, ma capace di essere esemplare e perfetto nella sua essenzialità. Un pregio che in pochi si possono permettere.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Torino 31
Scheda tecnica
Regia: Logan Miller
Sceneggiatura: Logan Miller, Noah Miller
Fotografia: Brad Shield
Montaggio: Robert Dalva
Musiche: Martin Davich
Attori: January Jones, Jason Isaacs, Ed Harris, Eduardo Noriega, Jason Aldean, Stephen Root
Anno: 2013
Durata: 95'