“Eccoci”. Esordisce così, Nanni Moretti, nel presentare il suo ultimo film, Mia madre, alla numerosissima stampa riunita in quella che è di fatto la sua casa cinematografica, il trasteverino cinema Nuovo Sacher. Dopodiché introduce i suoi collaboratori e attori uno per uno, allegando due parole di presentazione per ognuno di loro.
Fa da gran cerimoniere, insomma, com’è giusto che sia per una trascinante icona del nostro cinema. Manca solo John Turturro, impegnato in delle riprese (“Un film o una serie, non ricordo”). In compenso c’è Margherita Buy, fedelissima al suo fianco. “Margherita c’è in tutte le scene, ne avevo girata una sola senza di lei, che ho tagliato”. E c’è Giulia Lazzarini, strepitosa interprete della madre del titolo, che mostra tutta la sua scrupolosa e dedita attenzione per il lavoro di Moretti e per i sottili equilibri del suo cinema, una novità per lei. “Ognuno dà un suo senso alle cose, io ho provato a dare il mio in questo caso, senza prevaricare. Purtroppo ho avuto modo di fare poco cinema, perché recito soprattutto a teatro e i tempi delle due cose non collimano mai, si può fare o l’una o l’altra, sennò si rischia di soffrire molto. Però ironia della sorte vuole che fossi molto amica di Luisa Rossi, che era la mamma di Michele Apicella in Ecce bombo. Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto fare qualcosa con Nanni. L’ho incontrato nel suo ufficio, abbiamo bevuto del tè verde e scoperto che piace molto, a entrambi, il tè caldo. Poi abbiamo girato in macchina, sul Lungotevere, nei pressi dell’Isola Tiberina, e siamo passati davanti all’Ospedale Fatebenefratelli, dove se non sbaglio è nato il figlio di Nanni, Pietro, oggi diciannovenne. In questo modo sono stata messa a parte di qualcosa che riguardava il suo mondo. L’impatto sul set però non è stato particolarmente fortunato, il primo giorno di riprese era un freddissimo giorno di fine gennaio, al 3° o 4° ciak mi sono bloccata. Per l’emozione, la tensione, l’ansia di non deludere Nanni, ma anche per il freddo, è stato un po’ tutto insieme. Sono tornata a casa e sono stata ferma a letto otto giorni. Ma poi ho ripreso, dopo questo avvio traumatico, ed è andata benissimo. La cosa bella di Nanni è che non ti dà mai indicazioni troppo nette all’inizio o prima di girare una scena, ma corregge durante, aggiunge, mette a fuoco le sfumature strada facendo. Ho cercato di dare una presenza tangibile a qualcosa che lui aveva molto chiaro in testa”.
“Giulia – interviene Moretti – temeva la ripetizione. Temeva che la reiterazione delle battute nei vari ciak togliesse freschezza, ma questo è il mio metodo, trovo che la verità di una scena si colga decisamente ciak dopo ciak, non per forza subito, al primo tentativo”. Molti giornalisti muniti di bilancino gli chiedono quanto ci sia di autobiografico nel suo film, ma Moretti, che comunque è molto più tollerante di una volta dinanzi alle domande involute, imprecise e sciatte che gli vengono rivolte, anziché infastidirsi glissa, educatamente (“C’è, c’è…”).
Qualche curiosità, però, la rivela volentieri. Conferma, ad esempio, che il rapporto sul set con Michel Piccoli in Habemus Papam ha influenzato da vicino la caratterizzazione di Turturro in Mia madre. “Con Piccoli giravamo spesso la notte e mentre io recupero tranquillamente, perché poi dormo senza problemi di giorno se passo la notte in bianco, Piccoli non recuperava affatto. Molto spesso non ricordava le battute. Nella litigata che c’è nel film tra la regista Margherita e il personaggio di Turturro abbiamo messo in bocca ai personaggi delle parole realmente pronunciate sul mio precedente set, mettiamola così. Turturro poi ha improvvisato molto, il che mi ha fatto molto piacere, avendo tra le mani un attore come lui. Alcune cose le abbiamo tenute al montaggio, altre no, ma è stato bellissimo in ogni caso”. A chi gli chiede il perché dell’accanimento contro “il povero Brecht”, per una battuta del film che richiama a mo’ di tormentone “l’attore accanto al personaggio”, Moretti risponde tagliente e preciso: “Ma io non ce l’ho con Brecht, ce l’ho con me stesso. E’ molto più faticoso avercela con se stessi che con gli altri, credetemi. Si fa molto più sforzo”. Sulla Buy i toni sono invece molto più distesi, colloquiali e amichevoli. “Le piaceva da matti fare la regista e sul set me lo confessava spesso. Le piaceva soprattutto sgridare gli attori, vero?”. “E dire stop! – chiosa la Buy - che ha sempre un potere incredibile!”.
Nel momento in cui qualcuno, inevitabilmente, tira in ballo la sua vera madre, Agata Apicella, Moretti glissa, svia, ostenta riservatezza e imbarazzo, come se non accettasse di mettersi a nudo al di là del perimetro del film. “In realtà il ruolo dei miei genitori nella mia formazione cinematografica non è stato molto attivo. Quando a diciannove anni ho detto loro che volevo provare a fare il regista, questa cosa molto vaga, si sono limitati a sostenermi, che non è poco, con discrezione e con affetto. In silenzio, senza far molto. Ma, ripeto, non è poco affatto”.
A proposito di formazione e maturazione, Moretti ha poi le idee chiarissime. “Se considero questo film un punto d’arrivo della mia carriera? L’unico punto d’arrivo, per me, è la semplicità con cui è possibile raccontare certe cose. Quello sì che è un traguardo vero. In passato mi sono divertito a dare delle costanti al mio personaggio che mi piaceva ripresentare di film in film, ma oggi non avverto più quest’esigenza”.
Moretti ovviamente catalizza l’attenzione, ma c’è spazio anche per qualche intervento aggiuntivo, ad esempio da parte della sceneggiatrice Valia Santella, amica di Moretti da tanti anni, che si esprime a proposito delle fasi di scrittura e riferisce di come il regista si prenda tutto il tempo necessario. “Il trattamento con Nanni dura molto. In quell’arco di tempo che va dal soggetto alla stesura della sceneggiatura vera e propria, lui è uno che si prende più tempo degli altri registi, mediamente. Pochi registi lo fanno, in realtà, ma è fondamentale, perché si tratta di delineare tutto il percorso emotivo della storia”. Un’emotività che Moretti ha sottolineato anche attraverso musiche già esistenti, una scelta non comune e non abituale per lui in colonna sonora, visto che di solito si affida a composizioni originali di musicisti fidati. “Però l’ho fatto già in Aprile. E anche nel primo episodio di Caro Diario, quello della Vespa. Ho sentito l’esigenza che qui servisse lo stesso tipo di approccio. La canzone di Jarvis Cocker, Baby’s coming back to me, me l’ha suggerita Valia Santella”.
Qualcuno, in chiusura, ha l’ardire di chiedere a Nanni se alla fine è riuscito a romperne almeno uno, dei suoi duecento schemi. “Questo sono gli altri che devono dirmelo, coloro che guardano i miei film. Io da solo non posso farlo”. Infine un saluto per i giornalisti che seguivano la conferenza in streaming da Milano e il tentativo di verificare se il collegamento funzionasse o meno. Qualcuno lo rassicura in proposito dicendo di stare twittando con alcuni colleghi di Milano, e Moretti chiude il cerchio con una battuta che più morettiana non si può, anche per il modo unico in cui la scandisce lui: “Ma come, io parlo, e lei twitta con i colleghi di Milano?”.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Interviste
Articoli correlati: Recensione Mia Madre
Fa da gran cerimoniere, insomma, com’è giusto che sia per una trascinante icona del nostro cinema. Manca solo John Turturro, impegnato in delle riprese (“Un film o una serie, non ricordo”). In compenso c’è Margherita Buy, fedelissima al suo fianco. “Margherita c’è in tutte le scene, ne avevo girata una sola senza di lei, che ho tagliato”. E c’è Giulia Lazzarini, strepitosa interprete della madre del titolo, che mostra tutta la sua scrupolosa e dedita attenzione per il lavoro di Moretti e per i sottili equilibri del suo cinema, una novità per lei. “Ognuno dà un suo senso alle cose, io ho provato a dare il mio in questo caso, senza prevaricare. Purtroppo ho avuto modo di fare poco cinema, perché recito soprattutto a teatro e i tempi delle due cose non collimano mai, si può fare o l’una o l’altra, sennò si rischia di soffrire molto. Però ironia della sorte vuole che fossi molto amica di Luisa Rossi, che era la mamma di Michele Apicella in Ecce bombo. Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto fare qualcosa con Nanni. L’ho incontrato nel suo ufficio, abbiamo bevuto del tè verde e scoperto che piace molto, a entrambi, il tè caldo. Poi abbiamo girato in macchina, sul Lungotevere, nei pressi dell’Isola Tiberina, e siamo passati davanti all’Ospedale Fatebenefratelli, dove se non sbaglio è nato il figlio di Nanni, Pietro, oggi diciannovenne. In questo modo sono stata messa a parte di qualcosa che riguardava il suo mondo. L’impatto sul set però non è stato particolarmente fortunato, il primo giorno di riprese era un freddissimo giorno di fine gennaio, al 3° o 4° ciak mi sono bloccata. Per l’emozione, la tensione, l’ansia di non deludere Nanni, ma anche per il freddo, è stato un po’ tutto insieme. Sono tornata a casa e sono stata ferma a letto otto giorni. Ma poi ho ripreso, dopo questo avvio traumatico, ed è andata benissimo. La cosa bella di Nanni è che non ti dà mai indicazioni troppo nette all’inizio o prima di girare una scena, ma corregge durante, aggiunge, mette a fuoco le sfumature strada facendo. Ho cercato di dare una presenza tangibile a qualcosa che lui aveva molto chiaro in testa”.
“Giulia – interviene Moretti – temeva la ripetizione. Temeva che la reiterazione delle battute nei vari ciak togliesse freschezza, ma questo è il mio metodo, trovo che la verità di una scena si colga decisamente ciak dopo ciak, non per forza subito, al primo tentativo”. Molti giornalisti muniti di bilancino gli chiedono quanto ci sia di autobiografico nel suo film, ma Moretti, che comunque è molto più tollerante di una volta dinanzi alle domande involute, imprecise e sciatte che gli vengono rivolte, anziché infastidirsi glissa, educatamente (“C’è, c’è…”).
Qualche curiosità, però, la rivela volentieri. Conferma, ad esempio, che il rapporto sul set con Michel Piccoli in Habemus Papam ha influenzato da vicino la caratterizzazione di Turturro in Mia madre. “Con Piccoli giravamo spesso la notte e mentre io recupero tranquillamente, perché poi dormo senza problemi di giorno se passo la notte in bianco, Piccoli non recuperava affatto. Molto spesso non ricordava le battute. Nella litigata che c’è nel film tra la regista Margherita e il personaggio di Turturro abbiamo messo in bocca ai personaggi delle parole realmente pronunciate sul mio precedente set, mettiamola così. Turturro poi ha improvvisato molto, il che mi ha fatto molto piacere, avendo tra le mani un attore come lui. Alcune cose le abbiamo tenute al montaggio, altre no, ma è stato bellissimo in ogni caso”. A chi gli chiede il perché dell’accanimento contro “il povero Brecht”, per una battuta del film che richiama a mo’ di tormentone “l’attore accanto al personaggio”, Moretti risponde tagliente e preciso: “Ma io non ce l’ho con Brecht, ce l’ho con me stesso. E’ molto più faticoso avercela con se stessi che con gli altri, credetemi. Si fa molto più sforzo”. Sulla Buy i toni sono invece molto più distesi, colloquiali e amichevoli. “Le piaceva da matti fare la regista e sul set me lo confessava spesso. Le piaceva soprattutto sgridare gli attori, vero?”. “E dire stop! – chiosa la Buy - che ha sempre un potere incredibile!”.
Nel momento in cui qualcuno, inevitabilmente, tira in ballo la sua vera madre, Agata Apicella, Moretti glissa, svia, ostenta riservatezza e imbarazzo, come se non accettasse di mettersi a nudo al di là del perimetro del film. “In realtà il ruolo dei miei genitori nella mia formazione cinematografica non è stato molto attivo. Quando a diciannove anni ho detto loro che volevo provare a fare il regista, questa cosa molto vaga, si sono limitati a sostenermi, che non è poco, con discrezione e con affetto. In silenzio, senza far molto. Ma, ripeto, non è poco affatto”.
A proposito di formazione e maturazione, Moretti ha poi le idee chiarissime. “Se considero questo film un punto d’arrivo della mia carriera? L’unico punto d’arrivo, per me, è la semplicità con cui è possibile raccontare certe cose. Quello sì che è un traguardo vero. In passato mi sono divertito a dare delle costanti al mio personaggio che mi piaceva ripresentare di film in film, ma oggi non avverto più quest’esigenza”.
Moretti ovviamente catalizza l’attenzione, ma c’è spazio anche per qualche intervento aggiuntivo, ad esempio da parte della sceneggiatrice Valia Santella, amica di Moretti da tanti anni, che si esprime a proposito delle fasi di scrittura e riferisce di come il regista si prenda tutto il tempo necessario. “Il trattamento con Nanni dura molto. In quell’arco di tempo che va dal soggetto alla stesura della sceneggiatura vera e propria, lui è uno che si prende più tempo degli altri registi, mediamente. Pochi registi lo fanno, in realtà, ma è fondamentale, perché si tratta di delineare tutto il percorso emotivo della storia”. Un’emotività che Moretti ha sottolineato anche attraverso musiche già esistenti, una scelta non comune e non abituale per lui in colonna sonora, visto che di solito si affida a composizioni originali di musicisti fidati. “Però l’ho fatto già in Aprile. E anche nel primo episodio di Caro Diario, quello della Vespa. Ho sentito l’esigenza che qui servisse lo stesso tipo di approccio. La canzone di Jarvis Cocker, Baby’s coming back to me, me l’ha suggerita Valia Santella”.
Qualcuno, in chiusura, ha l’ardire di chiedere a Nanni se alla fine è riuscito a romperne almeno uno, dei suoi duecento schemi. “Questo sono gli altri che devono dirmelo, coloro che guardano i miei film. Io da solo non posso farlo”. Infine un saluto per i giornalisti che seguivano la conferenza in streaming da Milano e il tentativo di verificare se il collegamento funzionasse o meno. Qualcuno lo rassicura in proposito dicendo di stare twittando con alcuni colleghi di Milano, e Moretti chiude il cerchio con una battuta che più morettiana non si può, anche per il modo unico in cui la scandisce lui: “Ma come, io parlo, e lei twitta con i colleghi di Milano?”.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Interviste
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