Gabbie. Da cui cercare fuga oppure in cui rifugiarsi. Gabbie dei/nei sentimenti, simboli di relazioni nelle quali la dipendenza diviene atto fondante di storture emotive difficilmente gestibili. Prigioni del cuore, da cui evadere in cerca di una libertà che forse però in fondo nemmeno può esistere.
Punti salienti di uno dei film più interessanti selezionati quest’anno nel concorso internazionale del Festival di Locarno, ovvero Patagonia, esordio nel lungometraggio di Simone Bozzelli, autore che già si era fatto conoscere per la direzione di corti e video musicali (in particolare I Wanna Be Your Slave degli amatissimi Måneskin).
Al centro della vicenda Yuri, ragazzo ventenne che vive in un paesino abruzzese. Un quasi adulto con la mente di un bambino, molto più giovane nei pensieri e nelle azioni rispetto all’età di riferimento. Tanto che, ad esempio, lo vediamo fare il bagno nella vasca con una zia seduta accanto alla vasca stessa, ad assisterlo. Proprio come si farebbe con un bimbo. Eppure, nonostante il candore e l’ingenuità, Yuri cova desideri di allontanamento da una realtà che lo limita e annoia; sogni destinati forse a realizzarsi nel momento in cui incontra Agostino, irruente animatore di feste che si sposta con il camper da un luogo all’altro, a seconda di dove viene chiamato a lavorare, salvo poi, nei periodi di stasi, fermarsi per tempo variabile in una sorta di comunità a cielo aperto abitata da anime scapestrate e fuori dagli schemi.
Yuri (il bravissimo Andrea Fuorto) scappa di casa, segue Agostino, decide di restare con lui; i due sviluppano un rapporto che va al di là della semplice amicizia, anelano un viaggio in Patagonia, iniziano a risparmiare qualche soldo per dare corpo al progetto. La loro vicinanza assume presto contorni pericolosamente inclini a una palese diversità di livello: Agostino, più grande e molto più carismatico, diviene il soggetto dominante; Yuri, inesperto in tutto, ne subisce la personalità e gli si lega oltre i giusti limiti, sino a farsi sottomettere. Si introducono così parole taglienti, silenzi o gesti punitivi, reazioni radicali, ordini da rispettare; persino la pipì si trasforma in strumento di cocente umiliazione. La legge del desiderio non conosce misericordia. Eppure, dopo un po', i ruoli ben definiti trovano completo ribaltamento, giungendo infine (letteralmente) al fuoco e alla cenere, da cui (forse) azzerare e ripartire.
Patagonia è un film impetuoso, a tratti persino furioso, in cui un apparato cromatico da western si accompagna ai dettagli, ai primissimi piani, all’analisi approfondita di una relazione malata, dove peraltro la passione cerca di imporsi, nonostante tutto. Opera di gabbie, si diceva, ma non abbastanza serrate; facile scapparne, o rinchiudersi volontariamente. Storia di cuori allo sbando, cibi consumati alla bell'e meglio come e quando capita, piercing sui capezzoli, droghe, sporcizia, rave party che sembrano non finire mai. Raschiatura di un oggi che non pare prevedere molte possibilità di domani e va dunque consumato con voracità.
Il lavoro di Bozzelli mostra indubbio talento e lodevoli idee. Sconta un’estetica a volte sin troppo da videoclip e qualche buco narrativo. Però vibra, scuote, colpisce, tiene alta l’attenzione, cavalcando una dissestata giostra di idolatria ("a me piace quello che piace a te"), solitudini e maturazione.
Certi incontri cambiano davvero la vita. Come quello tra Maria, infermiera con un corpo a dir poco generoso, e Alex, uomo paraplegico reduce da un incidente che lo ha quasi totalmente privato del movimento. Figure preminenti in Touched, della tedesca Claudia Rorarius, già apprezzata fotografa qui al suo secondo lungometraggio per il cinema.
Lui, disperato, vorrebbe morire, porre fine a un’esistenza annegata nei miasmi dell’incubo. Lei, intimidita dalla difficoltà di relazionarsi con se stessa e con un paziente così complesso da gestire. Salvo poi rapidamente affezionarsi allo sfortunato interlocutore. Attaccamento prima dimostrato con momenti di tenerezza (una dolce ninna nanna per farlo addormentare), poi dirigendosi verso strade assai diverse, nel tentativo di ravvivare parti di Alex apparentemente ormai insensibili a ogni stimolo.
Il rapporto tra Maria e Alex supera il necessario distacco fisico e psicologico. La mente e la carne diventano quasi un tutt’uno. Il sesso si impone come mezzo di salvezza, guida, controllo e (ri)scoperta. Maria smette di vergognarsi della sua condizione estetica, assai lontana dai canoni normali della società. La vediamo masturbarsi, danzare con grazia, cantare, spogliarsi nuda di fronte ad Alex senza più pudori. L’uomo accoglie queste strane attenzioni, poi le rifiuta con sdegno, poi le richiede di nuovo. La procacità di lei e le impossibilità di lui rendono necessaria una forte creatività, per inventare situazioni erotiche. Ci si riesce, con ampia soddisfazione e di nascosto da tutti, poiché nessuno potrebbe capire e accettare.
Peccato che, come in Patagonia, anche qui la poesia del sentimento sfumi, per lasciare spazio alla dipendenza, in un gioco (al massacro) in cui le posizioni di dominazione e sottomissione si accavallano e ribaltano in più occasioni. Assistiamo a una guerra di potere, come avviene in tante coppie. Una guerra che si estende tra allontanamenti, riavvicinamenti, preghiere, insulti, vendette, approdando a un epilogo a doppio strato.
Touched, inserito nella sezione Cineasti del presente, non è affatto il primo film che prova a raccontare la sessualità delle persone disabili. È sufficiente ricordare Guardami di Davide Ferrario, uscito oltre vent’anni fa. Ma in pochi finora lo avevano fatto così, superando parecchi tabù in modo anche esplicito.
Il lavoro della berlinese Rorarius si giova dell’eccellente interpretazione di Isold Halldórudóttir, modella islandese scoperta dalla regista per caso: una non attrice che recita con molta più naturalezza di quanto avrebbero fatto tante professioniste navigate. In lei, nei suoi occhi pieni di paura e volontà, nelle sue forme, Touched respira e sospira. A volte i tempi narrativi sono errati, tra progressi introdotti con troppa enfasi e scene successive allungate oltre misura. Ciò non impedisce di restare avvinti, oscillando davanti e dentro allo schermo tra delicatezza e morbosità, sincera partecipazione emotiva e trasporto voyeuristico.
Patagonia e Touched: sfumature di rapporti affettivi che squagliano le consuetudini, gettano a mare le convenienze, riflettono sul senso di bisogno. Sempre nel nome dell’amore, anche quello sbagliato o impossibile.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno
Schede tecniche
Patagonia
Regia: Simone Bozzelli
Sceneggiatura: Tommaso Favagrossa, Simone Bozzelli
Attori: Andrea Fuorto, Augusto Mario Russi, Elettra Dallimore Mallaby, Alexander Benigni
Fotografia: Leonardo Mirabilia
Montaggio: Christian Marsiglia
Anno: 2023
Durata: 112’
Touched
Regia e sceneggiatura: Claudia Rorarius
Attori: Isold Halldórudóttir, Stavros Zafeiris, Angeliki Papoulia, Yousef Sweid, Dimitra Vlagopoulou
Montaggio: Laura Lauzemis, Andreas Wodraschke
Musiche: Donna Regina, Nils Frahm, Federico Albanese & Tara Nome Doyle
Anno: 2023
Durata: 135’
Punti salienti di uno dei film più interessanti selezionati quest’anno nel concorso internazionale del Festival di Locarno, ovvero Patagonia, esordio nel lungometraggio di Simone Bozzelli, autore che già si era fatto conoscere per la direzione di corti e video musicali (in particolare I Wanna Be Your Slave degli amatissimi Måneskin).
Al centro della vicenda Yuri, ragazzo ventenne che vive in un paesino abruzzese. Un quasi adulto con la mente di un bambino, molto più giovane nei pensieri e nelle azioni rispetto all’età di riferimento. Tanto che, ad esempio, lo vediamo fare il bagno nella vasca con una zia seduta accanto alla vasca stessa, ad assisterlo. Proprio come si farebbe con un bimbo. Eppure, nonostante il candore e l’ingenuità, Yuri cova desideri di allontanamento da una realtà che lo limita e annoia; sogni destinati forse a realizzarsi nel momento in cui incontra Agostino, irruente animatore di feste che si sposta con il camper da un luogo all’altro, a seconda di dove viene chiamato a lavorare, salvo poi, nei periodi di stasi, fermarsi per tempo variabile in una sorta di comunità a cielo aperto abitata da anime scapestrate e fuori dagli schemi.
Yuri (il bravissimo Andrea Fuorto) scappa di casa, segue Agostino, decide di restare con lui; i due sviluppano un rapporto che va al di là della semplice amicizia, anelano un viaggio in Patagonia, iniziano a risparmiare qualche soldo per dare corpo al progetto. La loro vicinanza assume presto contorni pericolosamente inclini a una palese diversità di livello: Agostino, più grande e molto più carismatico, diviene il soggetto dominante; Yuri, inesperto in tutto, ne subisce la personalità e gli si lega oltre i giusti limiti, sino a farsi sottomettere. Si introducono così parole taglienti, silenzi o gesti punitivi, reazioni radicali, ordini da rispettare; persino la pipì si trasforma in strumento di cocente umiliazione. La legge del desiderio non conosce misericordia. Eppure, dopo un po', i ruoli ben definiti trovano completo ribaltamento, giungendo infine (letteralmente) al fuoco e alla cenere, da cui (forse) azzerare e ripartire.
Patagonia è un film impetuoso, a tratti persino furioso, in cui un apparato cromatico da western si accompagna ai dettagli, ai primissimi piani, all’analisi approfondita di una relazione malata, dove peraltro la passione cerca di imporsi, nonostante tutto. Opera di gabbie, si diceva, ma non abbastanza serrate; facile scapparne, o rinchiudersi volontariamente. Storia di cuori allo sbando, cibi consumati alla bell'e meglio come e quando capita, piercing sui capezzoli, droghe, sporcizia, rave party che sembrano non finire mai. Raschiatura di un oggi che non pare prevedere molte possibilità di domani e va dunque consumato con voracità.
Il lavoro di Bozzelli mostra indubbio talento e lodevoli idee. Sconta un’estetica a volte sin troppo da videoclip e qualche buco narrativo. Però vibra, scuote, colpisce, tiene alta l’attenzione, cavalcando una dissestata giostra di idolatria ("a me piace quello che piace a te"), solitudini e maturazione.
Certi incontri cambiano davvero la vita. Come quello tra Maria, infermiera con un corpo a dir poco generoso, e Alex, uomo paraplegico reduce da un incidente che lo ha quasi totalmente privato del movimento. Figure preminenti in Touched, della tedesca Claudia Rorarius, già apprezzata fotografa qui al suo secondo lungometraggio per il cinema.
Lui, disperato, vorrebbe morire, porre fine a un’esistenza annegata nei miasmi dell’incubo. Lei, intimidita dalla difficoltà di relazionarsi con se stessa e con un paziente così complesso da gestire. Salvo poi rapidamente affezionarsi allo sfortunato interlocutore. Attaccamento prima dimostrato con momenti di tenerezza (una dolce ninna nanna per farlo addormentare), poi dirigendosi verso strade assai diverse, nel tentativo di ravvivare parti di Alex apparentemente ormai insensibili a ogni stimolo.
Il rapporto tra Maria e Alex supera il necessario distacco fisico e psicologico. La mente e la carne diventano quasi un tutt’uno. Il sesso si impone come mezzo di salvezza, guida, controllo e (ri)scoperta. Maria smette di vergognarsi della sua condizione estetica, assai lontana dai canoni normali della società. La vediamo masturbarsi, danzare con grazia, cantare, spogliarsi nuda di fronte ad Alex senza più pudori. L’uomo accoglie queste strane attenzioni, poi le rifiuta con sdegno, poi le richiede di nuovo. La procacità di lei e le impossibilità di lui rendono necessaria una forte creatività, per inventare situazioni erotiche. Ci si riesce, con ampia soddisfazione e di nascosto da tutti, poiché nessuno potrebbe capire e accettare.
Peccato che, come in Patagonia, anche qui la poesia del sentimento sfumi, per lasciare spazio alla dipendenza, in un gioco (al massacro) in cui le posizioni di dominazione e sottomissione si accavallano e ribaltano in più occasioni. Assistiamo a una guerra di potere, come avviene in tante coppie. Una guerra che si estende tra allontanamenti, riavvicinamenti, preghiere, insulti, vendette, approdando a un epilogo a doppio strato.
Touched, inserito nella sezione Cineasti del presente, non è affatto il primo film che prova a raccontare la sessualità delle persone disabili. È sufficiente ricordare Guardami di Davide Ferrario, uscito oltre vent’anni fa. Ma in pochi finora lo avevano fatto così, superando parecchi tabù in modo anche esplicito.
Il lavoro della berlinese Rorarius si giova dell’eccellente interpretazione di Isold Halldórudóttir, modella islandese scoperta dalla regista per caso: una non attrice che recita con molta più naturalezza di quanto avrebbero fatto tante professioniste navigate. In lei, nei suoi occhi pieni di paura e volontà, nelle sue forme, Touched respira e sospira. A volte i tempi narrativi sono errati, tra progressi introdotti con troppa enfasi e scene successive allungate oltre misura. Ciò non impedisce di restare avvinti, oscillando davanti e dentro allo schermo tra delicatezza e morbosità, sincera partecipazione emotiva e trasporto voyeuristico.
Patagonia e Touched: sfumature di rapporti affettivi che squagliano le consuetudini, gettano a mare le convenienze, riflettono sul senso di bisogno. Sempre nel nome dell’amore, anche quello sbagliato o impossibile.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno
Schede tecniche
Patagonia
Regia: Simone Bozzelli
Sceneggiatura: Tommaso Favagrossa, Simone Bozzelli
Attori: Andrea Fuorto, Augusto Mario Russi, Elettra Dallimore Mallaby, Alexander Benigni
Fotografia: Leonardo Mirabilia
Montaggio: Christian Marsiglia
Anno: 2023
Durata: 112’
Touched
Regia e sceneggiatura: Claudia Rorarius
Attori: Isold Halldórudóttir, Stavros Zafeiris, Angeliki Papoulia, Yousef Sweid, Dimitra Vlagopoulou
Montaggio: Laura Lauzemis, Andreas Wodraschke
Musiche: Donna Regina, Nils Frahm, Federico Albanese & Tara Nome Doyle
Anno: 2023
Durata: 135’