Il Festival di Locarno torna a pieno regime, dopo due edizioni chiaramente difficoltose, e lo fa senza alcun tipo di restrizione (meglio evitare impietosi confronti con la realtà italiana), proponendo un programma come sempre stimolante, variegato e ricchissimo.
Nelle sezioni, competitive e non, grande spazio per il cinema francese, rappresentato da un folto numero di pellicole in anteprima mondiale. In Piazza Grande trovano posto tra le altre Annie Colère con Laure Calamy, Last Dance con François Berleand e Une femme de notre temps con Sophie Marceau. Senza tralasciare Paradise Highway, di produzione americana ma interpretato dalla meravigliosa Juliette Binoche, elegante e splendente anche durante la conferenza stampa svizzera.
Nel concorso internazionale ecco invece Stella est amoureuse, di Sylvie Verheyde, vero e proprio sequel di Stella, film diretto dalla stessa regista che nel 2008 si era posto come perfetto esempio della capacità unica del cinema d’Oltralpe di descrivere con naturalezza ed empatia le mille oscillazioni della giovinezza. La Verheyde torna dunque a quel personaggio, ne ripropone lo stesso tipo di radici e alcuni degli attori (in particolare Benjamin Biolay), spostando però l’attenzione verso una ragazza ormai cresciuta e alle prese con il passaggio dall’età adolescenziale agli albori dell’età adulta.
La Stella che vediamo oggi è reduce da una vacanza estiva in Italia e sta per affrontare il termine delle scuole superiori, con lo spettro del vicino esame di maturità e un futuro davanti al momento privo di idee consistenti. Siamo negli anni Ottanta, tempo di scoperte, eccitazioni e sollecitazioni palpitanti ma anche in grado di confondere e confondersi.
La protagonista trascorre ore con amiche vecchie e nuove, segue le lezioni in classe con poca voglia, scopre le notti trasgressive in discoteca e conosce un ballerino di colore di cui pare innamorarsi. In lei si assommano e accavallano sintomi di ribellione, desideri di affermazione della propria personalità, iniziazioni sessuali, sensi di inadeguatezza di fronte a ciò che la società chiede. Intorno invece scorrono con malcelato fallimento le frustrazioni di una madre abbandonata e indebitata e di un padre immaturo che cerca con scarsi risultati di creare una nuova famiglia.
Le riflessioni morali e ontologiche di Stella est amoureuse viaggiano in stretto contatto con il periodo di ambientazione della vicenda, appunto gli Ottanta, attraverso un’operazione che può ricordare il recente Eté 85, ma con esiti più felici. Laddove infatti la pellicola del solitamente sempre lucido Ozon soffriva di un certo schematismo, qui lo spettatore è catapultato in un mondo trascinante, dipinto con i ritmi delle bellissime canzoni dell’epoca, sparate a volume consistente nelle molteplici sequenze collocate all’interno del locale che la ragazza inizia a frequentare con assiduità.
Proprio in quel contesto il film apre le ali, grazie alla capacità di far percepire atmosfere, suoni, sudori e sapori intrisi di realismo, accompagnati dal ritmo forsennato della musica, dei suoni ipnotici, delle note di cui seguire la cadenza passo (di danza) dopo passo. Stella balla, noi con lei, in un vortice di movimento e luci stroboscopiche in fondo anch’esse ben raffigurative per ciò che concerne la sete di vita della ragazza, ma anche i tanti dubbi di un cuore ancora lontano da certezze e solidità.
La Verheyde padroneggia in modo invidiabile la notte, non perde di vista la sua ritrattistica nemmeno di giorno e veleggia su coordinate che la avvicinano allo straordinario Mektoub My Love di Kechiche, naturalmente senza volerne paragonare l’efficacia complessiva. Il suo lavoro è comunque attento, mai compiaciuto e incontra l’essenza della talentuosa attrice Flavie Delangle, le cui mutazioni improvvise di sguardo, gesti e reazioni forniscono il volto giusto a una donna in erba che in fondo alla fine può decidere una sola cosa, la migliore: cogliere l’esistenza così come viene, giorno dopo giorno. Domani si vedrà.
Sentimenti uguali e contrari per Camille, sedicenne punto focale di Petites, opera prima di Julie Lerat-Gersant, in concorso nella sezione Cineasti del presente. Incinta senza averlo voluto, l’anti-eroina del film cerca di sbarazzarsi in autonomia del fardello, fallisce il tentativo e viene mandata dal giudice minorile in una casa famiglia, dove fino a parto concluso dovrà coabitare con altre ragazze in condizioni più o meno simili alle sue. Strappata dalle pareti domestiche, costretta in un luogo che lei vede come ingiusta prigione, Camille sfoga rabbia e frustrazione, salvo poi poco alla volta stringere amicizia con qualcuna delle sue forzate coinquiline. Il bimbo che porta nel ventre continua a essere un peso; la decisione è liberarsene appena sarà nato, darlo in affidamento. I mesi che mancano al parto riusciranno a modificare questa dura scelta?
Petites è un disegno filmico che racchiude storie di madri obbligate, mancate, sbagliate. Camille, innanzitutto, ma anche la di lei genitrice, amorevole però totalmente incapace di assistere la figlia con un minimo di costanza e lucidità. Insieme a loro le altre ragazze che attraversano l’opera, tra sofferenze, distrazioni, pentimenti, cocenti e reiterati errori. I maschi restano in disparte, quasi sempre volatili o dannosi, salvo un fidanzato che in fondo il bimbo forse lo terrebbe ma non ha alcuna idea di cosa significhi assumere una tale responsabilità, né può comprendere il travaglio interiore che incombe in chi ha il compito di mettere al mondo un figlio, voluto o meno.
L’esordio di Julie Lerat-Gersant all’inizio pare incanalarsi su sentieri già battuti, senza aggiungere connotazioni significative. Con lo scorrere dei minuti i toni però si alzano e approfondiscono, regalando al film maggiore intensità e freschezza, sino a toccare nodi narrativi ed emotivi che sanno condurre a una sincera commozione.
Stella e Camilla: anime forti e insieme fragili, in cerca di comprensione, verità e felicità, nel percorso a ostacoli lungo l’impervia scalata verso l’avvenire.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno
Schede tecniche
Titolo originale: Stella est amoureuse
Anno: 2022
Regia: Sylvie Verheyde
Durata: 110'
Sceneggiatura: William Wayolle
Cast: Flavie Delangle, Marina Foïs, Benjamin Biolay
Fotografia: Léo Hinstin
Montaggio: William Wayolle
Musica: NousDeux The Band
Titolo originale: Petites
Anno: 2022
Regia e sceneggiatura: Julie Lerat-Gersant
Durata: 90'
Cast: Pili Groyne, Romane Bohringer, Victoire Du Bois, Lucie Charles-Alfred
Fotografia: Virginie Saint-Martin
Montaggio: Mathilde Van de Moortel
Nelle sezioni, competitive e non, grande spazio per il cinema francese, rappresentato da un folto numero di pellicole in anteprima mondiale. In Piazza Grande trovano posto tra le altre Annie Colère con Laure Calamy, Last Dance con François Berleand e Une femme de notre temps con Sophie Marceau. Senza tralasciare Paradise Highway, di produzione americana ma interpretato dalla meravigliosa Juliette Binoche, elegante e splendente anche durante la conferenza stampa svizzera.
Nel concorso internazionale ecco invece Stella est amoureuse, di Sylvie Verheyde, vero e proprio sequel di Stella, film diretto dalla stessa regista che nel 2008 si era posto come perfetto esempio della capacità unica del cinema d’Oltralpe di descrivere con naturalezza ed empatia le mille oscillazioni della giovinezza. La Verheyde torna dunque a quel personaggio, ne ripropone lo stesso tipo di radici e alcuni degli attori (in particolare Benjamin Biolay), spostando però l’attenzione verso una ragazza ormai cresciuta e alle prese con il passaggio dall’età adolescenziale agli albori dell’età adulta.
La Stella che vediamo oggi è reduce da una vacanza estiva in Italia e sta per affrontare il termine delle scuole superiori, con lo spettro del vicino esame di maturità e un futuro davanti al momento privo di idee consistenti. Siamo negli anni Ottanta, tempo di scoperte, eccitazioni e sollecitazioni palpitanti ma anche in grado di confondere e confondersi.
La protagonista trascorre ore con amiche vecchie e nuove, segue le lezioni in classe con poca voglia, scopre le notti trasgressive in discoteca e conosce un ballerino di colore di cui pare innamorarsi. In lei si assommano e accavallano sintomi di ribellione, desideri di affermazione della propria personalità, iniziazioni sessuali, sensi di inadeguatezza di fronte a ciò che la società chiede. Intorno invece scorrono con malcelato fallimento le frustrazioni di una madre abbandonata e indebitata e di un padre immaturo che cerca con scarsi risultati di creare una nuova famiglia.
Le riflessioni morali e ontologiche di Stella est amoureuse viaggiano in stretto contatto con il periodo di ambientazione della vicenda, appunto gli Ottanta, attraverso un’operazione che può ricordare il recente Eté 85, ma con esiti più felici. Laddove infatti la pellicola del solitamente sempre lucido Ozon soffriva di un certo schematismo, qui lo spettatore è catapultato in un mondo trascinante, dipinto con i ritmi delle bellissime canzoni dell’epoca, sparate a volume consistente nelle molteplici sequenze collocate all’interno del locale che la ragazza inizia a frequentare con assiduità.
Proprio in quel contesto il film apre le ali, grazie alla capacità di far percepire atmosfere, suoni, sudori e sapori intrisi di realismo, accompagnati dal ritmo forsennato della musica, dei suoni ipnotici, delle note di cui seguire la cadenza passo (di danza) dopo passo. Stella balla, noi con lei, in un vortice di movimento e luci stroboscopiche in fondo anch’esse ben raffigurative per ciò che concerne la sete di vita della ragazza, ma anche i tanti dubbi di un cuore ancora lontano da certezze e solidità.
La Verheyde padroneggia in modo invidiabile la notte, non perde di vista la sua ritrattistica nemmeno di giorno e veleggia su coordinate che la avvicinano allo straordinario Mektoub My Love di Kechiche, naturalmente senza volerne paragonare l’efficacia complessiva. Il suo lavoro è comunque attento, mai compiaciuto e incontra l’essenza della talentuosa attrice Flavie Delangle, le cui mutazioni improvvise di sguardo, gesti e reazioni forniscono il volto giusto a una donna in erba che in fondo alla fine può decidere una sola cosa, la migliore: cogliere l’esistenza così come viene, giorno dopo giorno. Domani si vedrà.
Sentimenti uguali e contrari per Camille, sedicenne punto focale di Petites, opera prima di Julie Lerat-Gersant, in concorso nella sezione Cineasti del presente. Incinta senza averlo voluto, l’anti-eroina del film cerca di sbarazzarsi in autonomia del fardello, fallisce il tentativo e viene mandata dal giudice minorile in una casa famiglia, dove fino a parto concluso dovrà coabitare con altre ragazze in condizioni più o meno simili alle sue. Strappata dalle pareti domestiche, costretta in un luogo che lei vede come ingiusta prigione, Camille sfoga rabbia e frustrazione, salvo poi poco alla volta stringere amicizia con qualcuna delle sue forzate coinquiline. Il bimbo che porta nel ventre continua a essere un peso; la decisione è liberarsene appena sarà nato, darlo in affidamento. I mesi che mancano al parto riusciranno a modificare questa dura scelta?
Petites è un disegno filmico che racchiude storie di madri obbligate, mancate, sbagliate. Camille, innanzitutto, ma anche la di lei genitrice, amorevole però totalmente incapace di assistere la figlia con un minimo di costanza e lucidità. Insieme a loro le altre ragazze che attraversano l’opera, tra sofferenze, distrazioni, pentimenti, cocenti e reiterati errori. I maschi restano in disparte, quasi sempre volatili o dannosi, salvo un fidanzato che in fondo il bimbo forse lo terrebbe ma non ha alcuna idea di cosa significhi assumere una tale responsabilità, né può comprendere il travaglio interiore che incombe in chi ha il compito di mettere al mondo un figlio, voluto o meno.
L’esordio di Julie Lerat-Gersant all’inizio pare incanalarsi su sentieri già battuti, senza aggiungere connotazioni significative. Con lo scorrere dei minuti i toni però si alzano e approfondiscono, regalando al film maggiore intensità e freschezza, sino a toccare nodi narrativi ed emotivi che sanno condurre a una sincera commozione.
Stella e Camilla: anime forti e insieme fragili, in cerca di comprensione, verità e felicità, nel percorso a ostacoli lungo l’impervia scalata verso l’avvenire.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno
Schede tecniche
Titolo originale: Stella est amoureuse
Anno: 2022
Regia: Sylvie Verheyde
Durata: 110'
Sceneggiatura: William Wayolle
Cast: Flavie Delangle, Marina Foïs, Benjamin Biolay
Fotografia: Léo Hinstin
Montaggio: William Wayolle
Musica: NousDeux The Band
Titolo originale: Petites
Anno: 2022
Regia e sceneggiatura: Julie Lerat-Gersant
Durata: 90'
Cast: Pili Groyne, Romane Bohringer, Victoire Du Bois, Lucie Charles-Alfred
Fotografia: Virginie Saint-Martin
Montaggio: Mathilde Van de Moortel