Francia, 1914. La guerra colpisce, miete vittime e rende difficile la vita di giovani donne prive di adeguati mezzi di sostentamento. Nelie lavora come domestica, viene messa alla porta per demeriti altrui e come tante altre si ritrova in strada, a mendicare un pezzo di pane e vendere il suo corpo. Salvata da una responsabile della Croix-Rouge parte per il fronte in qualità di infermiera. In un ospedale militare conosce Rose, donna di buona famiglia in transito dalla Svizzera e diretta a Nancy, con il prospetto di diventare la dama di compagnia della ricca Madame de Lengwil.
Durante un attacco tedesco Rose resta gravemente ferita, in punto di morte. Nelie coglie al volo la macabra occasione, le ruba i vestiti e perfino il nome, si reca in sua vece a Nancy, con identità fasulla, e riesce subito a conquistare le grazie della signora che, ignara di tutto, la assume credendola realmente Rose. La vita di Nelie cambia totalmente aspetto, in meglio, ma da lì comincia un complesso viaggio tra menzogne, sospetti, inganni, fiducia mal riposta, rivendicazioni, tentativi di vendetta e sensi di colpa.
Presentato in anteprima mondiale e in concorso al Festival di Locarno, La place d’une autre è un racconto in costume che si appoggia all’epoca di riferimento per rappresentare, in via peraltro universale, un tentativo di emancipazione apparentemente mancante di qualsiasi ordine morale. Nelie è una delle molte ragazze che sognano di cambiare esistenza, abbandonare la strada e trovare un rifugio solido e sicuro; per dare sostanza al suo obiettivo sfrutta appieno l’inattesa chance del destino, recitando il ruolo di colei a cui ha sottratto realmente tutto. La sua abilità in tal senso svia gli ipotetici iniziali dubbi di Madame de Lengwil, figura ambivalente per come pretende rispetto e verità ad ogni costo, salvo poi però affezionarsi profondamente alla finta Rose e difenderla anche quando il meschino segreto perde di consistenza.
In questi contrasti si dipana il senso di un’opera che non giudica e non condanna, cerca parziali giustificazioni anche agli atti più impuri e scivola tra luci e ombre, mantenendo sempre in primo piano la consapevolezza di quanto, in certi periodi storici, sia difficile biasimare una ragazza che nell’inganno trova l’unica opzione con cui combattere paura, disperazione, abbandono, fame e miseria.
La messinscena che guida la pellicola di Aurélia Georges, al terzo lungometraggio dopo L’homme qui marche (2008) e La fille et le fleuve (2014), fa dell’eleganza un marchio stilistico irrinunciabile, anch’esso in antitesi con l’atavico e concretissimo orrore della guerra. I colori, i libri e l’opulenza della tenuta di Madame de Lengwil schiacciano, perlomeno a tratti, la devastazione di tutto ciò che ha a che fare con bombardamenti, ferite, lacrime e follia, accompagnando lo spettatore in un mondo ovattato in cui però il germe del conflitto penetra seguendo traiettorie subdole e improvvise. In fondo ogni personaggio della vicenda ha un solo reale scopo: sopravvivere, come meglio può, e ciò, tornando al discorso di cui sopra, scagiona in qualche maniera anche chi si rende responsabile di atti vili compiuti nel nome di una residua speranza di riscatto individuale e sociale. Il tutto, comunque, sino a un certo limite, oltrepassato il quale il cuore torna per fortuna a dettare legge.
La place d’une autre, tratto da un’opera scritta nel 1873 da Wilkie Collins (collaboratore di Charles Dickens), è un lavoro accurato e impeccabile dal lato formale. Qualche pecca si nota invece in fase di sceneggiatura, sia per una parte iniziale esaurita troppo in fretta, sia per alcuni successivi sviluppi un po’ troppo “semplici” e dunque non del tutto credibili. Restano in ogni caso i (tanti) pregi di un film sviluppato con notevolissima cura e impreziosito da volti semplicemente perfetti. A partire da quello di Lyna Khoudri, lieta conferma dopo la strepitosa interpretazione in Papicha pur qui in panni e contesti molto differenti e giocoforza trattenuti, per giungere a Sabine Azéma, regina del cinema francese capace una volta ancora di irradiare lo schermo con la sua immensa classe.
Nelle loro espressioni, nelle loro lievi sfumature espressive, si alternano attimi di pace e sofferenza, misteri e perplessità, gioie e delusioni, sino a un epilogo, prevedibile eppure adeguato, in cui è l’amore a decretare il possibile sentiero verso l’avvenire.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose, Locarno 72-74
Scheda tecnica
Regia: Aurélia Georges
Sceneggiatura: Aurélia Georges, Maud Ameline (da un'opera di Wilkie Collins)
Attori: Lyna Khoudri, Sabine Azéma, Maud Wyler, Laurent Poitrenaux, Didier Brice
Fotografia: Jacques Girault
Montaggio: Martial Salomon
Anno: 2021
Durata: 112’
Durante un attacco tedesco Rose resta gravemente ferita, in punto di morte. Nelie coglie al volo la macabra occasione, le ruba i vestiti e perfino il nome, si reca in sua vece a Nancy, con identità fasulla, e riesce subito a conquistare le grazie della signora che, ignara di tutto, la assume credendola realmente Rose. La vita di Nelie cambia totalmente aspetto, in meglio, ma da lì comincia un complesso viaggio tra menzogne, sospetti, inganni, fiducia mal riposta, rivendicazioni, tentativi di vendetta e sensi di colpa.
Presentato in anteprima mondiale e in concorso al Festival di Locarno, La place d’une autre è un racconto in costume che si appoggia all’epoca di riferimento per rappresentare, in via peraltro universale, un tentativo di emancipazione apparentemente mancante di qualsiasi ordine morale. Nelie è una delle molte ragazze che sognano di cambiare esistenza, abbandonare la strada e trovare un rifugio solido e sicuro; per dare sostanza al suo obiettivo sfrutta appieno l’inattesa chance del destino, recitando il ruolo di colei a cui ha sottratto realmente tutto. La sua abilità in tal senso svia gli ipotetici iniziali dubbi di Madame de Lengwil, figura ambivalente per come pretende rispetto e verità ad ogni costo, salvo poi però affezionarsi profondamente alla finta Rose e difenderla anche quando il meschino segreto perde di consistenza.
In questi contrasti si dipana il senso di un’opera che non giudica e non condanna, cerca parziali giustificazioni anche agli atti più impuri e scivola tra luci e ombre, mantenendo sempre in primo piano la consapevolezza di quanto, in certi periodi storici, sia difficile biasimare una ragazza che nell’inganno trova l’unica opzione con cui combattere paura, disperazione, abbandono, fame e miseria.
La messinscena che guida la pellicola di Aurélia Georges, al terzo lungometraggio dopo L’homme qui marche (2008) e La fille et le fleuve (2014), fa dell’eleganza un marchio stilistico irrinunciabile, anch’esso in antitesi con l’atavico e concretissimo orrore della guerra. I colori, i libri e l’opulenza della tenuta di Madame de Lengwil schiacciano, perlomeno a tratti, la devastazione di tutto ciò che ha a che fare con bombardamenti, ferite, lacrime e follia, accompagnando lo spettatore in un mondo ovattato in cui però il germe del conflitto penetra seguendo traiettorie subdole e improvvise. In fondo ogni personaggio della vicenda ha un solo reale scopo: sopravvivere, come meglio può, e ciò, tornando al discorso di cui sopra, scagiona in qualche maniera anche chi si rende responsabile di atti vili compiuti nel nome di una residua speranza di riscatto individuale e sociale. Il tutto, comunque, sino a un certo limite, oltrepassato il quale il cuore torna per fortuna a dettare legge.
La place d’une autre, tratto da un’opera scritta nel 1873 da Wilkie Collins (collaboratore di Charles Dickens), è un lavoro accurato e impeccabile dal lato formale. Qualche pecca si nota invece in fase di sceneggiatura, sia per una parte iniziale esaurita troppo in fretta, sia per alcuni successivi sviluppi un po’ troppo “semplici” e dunque non del tutto credibili. Restano in ogni caso i (tanti) pregi di un film sviluppato con notevolissima cura e impreziosito da volti semplicemente perfetti. A partire da quello di Lyna Khoudri, lieta conferma dopo la strepitosa interpretazione in Papicha pur qui in panni e contesti molto differenti e giocoforza trattenuti, per giungere a Sabine Azéma, regina del cinema francese capace una volta ancora di irradiare lo schermo con la sua immensa classe.
Nelle loro espressioni, nelle loro lievi sfumature espressive, si alternano attimi di pace e sofferenza, misteri e perplessità, gioie e delusioni, sino a un epilogo, prevedibile eppure adeguato, in cui è l’amore a decretare il possibile sentiero verso l’avvenire.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose, Locarno 72-74
Scheda tecnica
Regia: Aurélia Georges
Sceneggiatura: Aurélia Georges, Maud Ameline (da un'opera di Wilkie Collins)
Attori: Lyna Khoudri, Sabine Azéma, Maud Wyler, Laurent Poitrenaux, Didier Brice
Fotografia: Jacques Girault
Montaggio: Martial Salomon
Anno: 2021
Durata: 112’