
Locarno è esplorazione, curiosità, porte aperte a tutte le forme di cinema. Un festival in cui è abbastanza raro vedere grandi nomi inseriti nelle principali competizioni. O meglio, di nomi importanti talvolta ce ne sono, ma si tratta spesso di autori conosciuti soprattutto dagli addetti ai lavori, a cui si affiancano registi esordienti e/o in rampa di lancio.
Un quadro d’insieme eterogeneo e sempre interessante, privo di timori nel proporre al poliglotta pubblico ticinese opere in molti casi complesse, di non immediata fruizione, ma contraddistinte da inappuntabile qualità stilistica (esempi indimenticabili, in tal senso, i bellissimi Right Now, Wrong Then di Hong Sang-soo e Godless di Ralitza Petrova, vincitori rispettivamente delle edizioni 2015 e 2016).
L’edizione 72 di Locarno ha giustamente proseguito su questa linea, inserendo nel concorso internazionale 17 titoli, provenienti da diverse parti del mondo, che hanno raccontato storie di perdita e redenzione, condanna e riscatto, fuga o ritorno dalla/alla terra natia, focalizzando le loro narrazioni su personaggi in missione verso il rintracciamento della propria anima.
Non sorprende, dunque, che il Pardo d’Oro sia stato assegnato al portoghese Vitalina Varela, di Pedro Costa, autore amato dagli habitué festivalieri e qui più rigoroso che mai nel tratteggiare la storia di una (autentica) donna, originaria di Capo Verde, che torna nel popolare quartiere di Fontainhas, a Lisbona, per onorare la memoria del defunto marito. Il film di Costa è una discesa notturna e ieratica nelle viscere del barrio, tra tuguri e povertà, solidarietà collettiva e vite spente, in un non-luogo che assorbe i capricci estremi del clima tanto quanto il sudore delle ombre che lo affollano.
Lontananza o riavvicinamento dalle/alle proprie origini: tema centrale anche dell’ottimo film brasiliano A Febre, debutto nel lungometraggio di Maya Da-Rin, il cui fulcro si staglia sulla toccante figura di Justino, indigeno di 45 anni appartenente al popolo Desana, che da tanti anni lavora come guardiano al porto della città di Manaus, ma sogna, prima o poi, di poter tornare a casa, alle sue foreste, alle abitudini della sua gente, liberandosi dal fardello di una quotidianità che lo opprime. Un’opera di alto valore, impreziosita dall’emozionante volto del protagonista Regis Myrupu (nella foto sopra), premiato dalla giuria, attore non professionista (è realmente un indigeno) sulle cui misurate espressioni si svelano orgoglio, sofferenza ed enorme dignità; una di quelle interpretazioni sottotraccia che si stampano nella mente e nel cuore.
Fughe obbligate o impossibili, agognate o imposte, sono anche il punto di analisi del coreano Pa-go (Height of the Wave), di Park Jung-Bum, vincitore del premio speciale della giuria, ambientato in un’isola dove si sviluppano le storie parallele di una poliziotta mandata in esilio dai suoi superiori e di una ragazza, sfruttata dagli abitanti del posto, che vorrebbe andarsene ma non ci riesce, per paura di quell’oceano che anni prima ha travolto e divorato i suoi genitori. Un altro film che scruta attraverso le sensazioni impresse nei visi e nello spirito, implementando al contempo un racconto morale travestito da noir i cui misteri poco a poco si aprono, rivelando come tutti siano complici e responsabili.
Misteri al centro pure del giapponese Yokogao (A Girl Missing), dove un’infermiera si trova impigliata nelle maglie di una persecuzione mediatica nel momento in cui scompare la sorella minore della famiglia presso cui lavora; un evento che si ripercuote su tutta la sua vita, in un complesso coacervo di sbagli di difficile riparazione.
È invece colpevole solo di non voler cedere allo scorrere del tempo Luis Rovisco, protagonista di Technoboss, di Joao Nicolau, escluso dal palmarès anche se un riconoscimento lo avrebbe meritato; un addetto ai sistemi di sicurezza aziendali ormai vicino alla pensione, che cerca di mantenersi al passo con le nuove tecnologie professionali, rifiuta di lasciare strada a colleghi più giovani e insegue un forte anelito d’amore verso una ex fiamma incontrata nella hall di un hotel. Un lavoro stralunato e divertente, surreale e a tratti molto dolce, accompagnato da canzoni intonate dai personaggi e da stordite espressioni di kaurismakiana memoria.
Fermare il tempo, oppure ridargli corpo e attualità: Les enfants d’Isadora, del francese Damien Manivel, già apprezzato per opere come Un jeune poète e Le Parc e qui premiato per la miglior regia, si dedica al mondo della danza, mettendo in scena quattro donne che ripropongono una coreografia creata un secolo prima dalla famosa ballerina Isadora Duncan, con cui quest’ultima immaginava di cullare il suo bimbo prima di dirgli addio. Una pellicola poetica e armonica, con un finale struggente.
E poi c’è il tempo che perde le sue concezioni primarie, facendosi messaggio universale, come nell’ipnotico e sorprendente film indonesiano Hiruk-pikuk si al-kisah (The Science of Fictions), in cui un uomo buono di nome Siman assiste inavvertitamente a un allunaggio fasullo messo in atto da una troupe straniera; una volta scoperto, gli viene mozzata la lingua, affinché non possa rivelare a nessuno il segreto. Da quel momento in poi Siman perde i connotati con la realtà fattuale, costruisce una specie di astronave per poter un giorno andare sulla luna e soprattutto inizia a muoversi al ralenti, in ogni gesto, in ogni situazione, cucendosi addosso una sorta di modo alternativo per raccontare silenziosamente alla gente ciò che ha visto. Siman diventa così una specie di freak, una creatura altra, un’anima fuori fuoco che nel suo andamento lento fa sentire una muta voce di protesta contro le ingiustizie.
Il mondo crudele e spietato non fa mancare i propri artigli nemmeno nei francesi Terminal Sud e Douze Mille, entrambi interessanti ma frenati da un eccessivo schematismo. Nel primo un medico coraggioso tenta di continuare a espletare il suo dovere, a proprio rischio e pericolo, in un paese in guerra. Nel secondo un uomo lascia temporaneamente la compagna e parte, all’inseguimento di un lavoro che gli possa permettere di guadagnare abbastanza soldi per assicurare a entrambi un presente migliore.
Infine, una citazione per l’italo-argentino Maternal, collocato in una casa d’accoglienza a Buenos Aires dove trovano asilo giovane ragazze incinte, e per l’islandese Bergmál (Echo), serie di piccoli quadretti volti a formare una mordace immagine dell’Islanda contemporanea, tra solitudini e generosità.
Tutto questo (e ancora di più) è stato il concorso internazionale di Locarno 72: un bel contenitore di suggestioni e riflessioni, per un festival che una volta di più ha confermato ampio fascino e intoccabile forza.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Locarno 72
Palmarès Concorso Internazionale
- Pardo d’oro (Gran Premio del Festival) – Città di Locarno
VITALINA VARELA di Pedro Costa, Portogallo
- Premio speciale della giuria – Comuni di Ascona e Locarno
PA-GO (Height of the Wave) di PARK Jung-bum, Corea del Sud
- Pardo per la migliore regia – Città e Regione di Locarno
Damien Manivel per LES ENFANTS D’ISADORA, Francia/Corea del Sud
- Pardo per la migliore interpretazione femminile
Vitalina Varela per VITALINA VARELA di Pedro Costa, Portogallo
- Pardo per la migliore interpretazione maschile
Regis Myrupu per A FEBRE di Maya Da-Rin, Brasile/Francia/Gremania
- Menzioni speciali
HIRUK-PIKUK SI AL-KISAH (The Science of Fictions) di Yosep Anggi Noen, Indonesia/Malesia/Francia
MATERNAL di Maura Delpero, Italia/Argentina
Un quadro d’insieme eterogeneo e sempre interessante, privo di timori nel proporre al poliglotta pubblico ticinese opere in molti casi complesse, di non immediata fruizione, ma contraddistinte da inappuntabile qualità stilistica (esempi indimenticabili, in tal senso, i bellissimi Right Now, Wrong Then di Hong Sang-soo e Godless di Ralitza Petrova, vincitori rispettivamente delle edizioni 2015 e 2016).
L’edizione 72 di Locarno ha giustamente proseguito su questa linea, inserendo nel concorso internazionale 17 titoli, provenienti da diverse parti del mondo, che hanno raccontato storie di perdita e redenzione, condanna e riscatto, fuga o ritorno dalla/alla terra natia, focalizzando le loro narrazioni su personaggi in missione verso il rintracciamento della propria anima.
Non sorprende, dunque, che il Pardo d’Oro sia stato assegnato al portoghese Vitalina Varela, di Pedro Costa, autore amato dagli habitué festivalieri e qui più rigoroso che mai nel tratteggiare la storia di una (autentica) donna, originaria di Capo Verde, che torna nel popolare quartiere di Fontainhas, a Lisbona, per onorare la memoria del defunto marito. Il film di Costa è una discesa notturna e ieratica nelle viscere del barrio, tra tuguri e povertà, solidarietà collettiva e vite spente, in un non-luogo che assorbe i capricci estremi del clima tanto quanto il sudore delle ombre che lo affollano.
Lontananza o riavvicinamento dalle/alle proprie origini: tema centrale anche dell’ottimo film brasiliano A Febre, debutto nel lungometraggio di Maya Da-Rin, il cui fulcro si staglia sulla toccante figura di Justino, indigeno di 45 anni appartenente al popolo Desana, che da tanti anni lavora come guardiano al porto della città di Manaus, ma sogna, prima o poi, di poter tornare a casa, alle sue foreste, alle abitudini della sua gente, liberandosi dal fardello di una quotidianità che lo opprime. Un’opera di alto valore, impreziosita dall’emozionante volto del protagonista Regis Myrupu (nella foto sopra), premiato dalla giuria, attore non professionista (è realmente un indigeno) sulle cui misurate espressioni si svelano orgoglio, sofferenza ed enorme dignità; una di quelle interpretazioni sottotraccia che si stampano nella mente e nel cuore.
Fughe obbligate o impossibili, agognate o imposte, sono anche il punto di analisi del coreano Pa-go (Height of the Wave), di Park Jung-Bum, vincitore del premio speciale della giuria, ambientato in un’isola dove si sviluppano le storie parallele di una poliziotta mandata in esilio dai suoi superiori e di una ragazza, sfruttata dagli abitanti del posto, che vorrebbe andarsene ma non ci riesce, per paura di quell’oceano che anni prima ha travolto e divorato i suoi genitori. Un altro film che scruta attraverso le sensazioni impresse nei visi e nello spirito, implementando al contempo un racconto morale travestito da noir i cui misteri poco a poco si aprono, rivelando come tutti siano complici e responsabili.
Misteri al centro pure del giapponese Yokogao (A Girl Missing), dove un’infermiera si trova impigliata nelle maglie di una persecuzione mediatica nel momento in cui scompare la sorella minore della famiglia presso cui lavora; un evento che si ripercuote su tutta la sua vita, in un complesso coacervo di sbagli di difficile riparazione.
È invece colpevole solo di non voler cedere allo scorrere del tempo Luis Rovisco, protagonista di Technoboss, di Joao Nicolau, escluso dal palmarès anche se un riconoscimento lo avrebbe meritato; un addetto ai sistemi di sicurezza aziendali ormai vicino alla pensione, che cerca di mantenersi al passo con le nuove tecnologie professionali, rifiuta di lasciare strada a colleghi più giovani e insegue un forte anelito d’amore verso una ex fiamma incontrata nella hall di un hotel. Un lavoro stralunato e divertente, surreale e a tratti molto dolce, accompagnato da canzoni intonate dai personaggi e da stordite espressioni di kaurismakiana memoria.
Fermare il tempo, oppure ridargli corpo e attualità: Les enfants d’Isadora, del francese Damien Manivel, già apprezzato per opere come Un jeune poète e Le Parc e qui premiato per la miglior regia, si dedica al mondo della danza, mettendo in scena quattro donne che ripropongono una coreografia creata un secolo prima dalla famosa ballerina Isadora Duncan, con cui quest’ultima immaginava di cullare il suo bimbo prima di dirgli addio. Una pellicola poetica e armonica, con un finale struggente.
E poi c’è il tempo che perde le sue concezioni primarie, facendosi messaggio universale, come nell’ipnotico e sorprendente film indonesiano Hiruk-pikuk si al-kisah (The Science of Fictions), in cui un uomo buono di nome Siman assiste inavvertitamente a un allunaggio fasullo messo in atto da una troupe straniera; una volta scoperto, gli viene mozzata la lingua, affinché non possa rivelare a nessuno il segreto. Da quel momento in poi Siman perde i connotati con la realtà fattuale, costruisce una specie di astronave per poter un giorno andare sulla luna e soprattutto inizia a muoversi al ralenti, in ogni gesto, in ogni situazione, cucendosi addosso una sorta di modo alternativo per raccontare silenziosamente alla gente ciò che ha visto. Siman diventa così una specie di freak, una creatura altra, un’anima fuori fuoco che nel suo andamento lento fa sentire una muta voce di protesta contro le ingiustizie.
Il mondo crudele e spietato non fa mancare i propri artigli nemmeno nei francesi Terminal Sud e Douze Mille, entrambi interessanti ma frenati da un eccessivo schematismo. Nel primo un medico coraggioso tenta di continuare a espletare il suo dovere, a proprio rischio e pericolo, in un paese in guerra. Nel secondo un uomo lascia temporaneamente la compagna e parte, all’inseguimento di un lavoro che gli possa permettere di guadagnare abbastanza soldi per assicurare a entrambi un presente migliore.
Infine, una citazione per l’italo-argentino Maternal, collocato in una casa d’accoglienza a Buenos Aires dove trovano asilo giovane ragazze incinte, e per l’islandese Bergmál (Echo), serie di piccoli quadretti volti a formare una mordace immagine dell’Islanda contemporanea, tra solitudini e generosità.
Tutto questo (e ancora di più) è stato il concorso internazionale di Locarno 72: un bel contenitore di suggestioni e riflessioni, per un festival che una volta di più ha confermato ampio fascino e intoccabile forza.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Locarno 72
Palmarès Concorso Internazionale
- Pardo d’oro (Gran Premio del Festival) – Città di Locarno
VITALINA VARELA di Pedro Costa, Portogallo
- Premio speciale della giuria – Comuni di Ascona e Locarno
PA-GO (Height of the Wave) di PARK Jung-bum, Corea del Sud
- Pardo per la migliore regia – Città e Regione di Locarno
Damien Manivel per LES ENFANTS D’ISADORA, Francia/Corea del Sud
- Pardo per la migliore interpretazione femminile
Vitalina Varela per VITALINA VARELA di Pedro Costa, Portogallo
- Pardo per la migliore interpretazione maschile
Regis Myrupu per A FEBRE di Maya Da-Rin, Brasile/Francia/Gremania
- Menzioni speciali
HIRUK-PIKUK SI AL-KISAH (The Science of Fictions) di Yosep Anggi Noen, Indonesia/Malesia/Francia
MATERNAL di Maura Delpero, Italia/Argentina
| |
| |