Un attore lo è per sempre. Anche quando gli anni migliori sembrano ormai passati. Anche quando sei costretto a rincominciare dalla gavetta, partecipando a banali audizioni per spot pubblicitari, dopo che non molto tempo prima eri stato una star televisiva di primo livello. Ma l'arte resta nel cuore e nell'anima, nonostante tutto, e se il sogno di riportare in onda la trasmissione che ti ha reso celebre si presenta come un miraggio di improbabile riuscita, rimane comunque la voglia di provarci ancora.
Allo stesso modo, anche la tua patria è per sempre. Nonostante tu l'abbia dovuta lasciare vent'anni prima, per sfuggire all'orrore della guerra e darti una possibilità di futuro. Il progetto è quello di tornare, in un modo o nell'altro, per ritrovare quel concetto di “casa” che altrove non potrai mai percepire, nonostante l'integrazione sia ormai stata ampiamente completata. Perché di casa ce n'è una sola.
The Waiting Room si è imposto come uno dei migliori film presentati nella ricca selezione Cineasti del Presente a Locarno 68, per poi approdare in concorso a Torino 33. Diretta da Igor Drlijaca, al suo secondo lungometraggio dopo Krivina (2012), la pellicola fonde in modo evidente finzione ed elementi autobiografici: il regista, nato a Sarajevo, si è infatti trasferito in Canada nel 1993, quando era bambino, a causa della guerra, e una strada molto simile è stata percorsa dall'attore protagonista, Jasmin Geljo, anch'egli uscito dalla ex Jugoslavia diversi anni fa per approdare in America in cerca di fortuna.
L'opera seconda di Drljaca contiene al suo interno almeno un paio di sentieri narrativi che sanno intersecarsi con buona fluidità: il racconto di un attore che non riesce ad accettare i dettami del tempo che passa e le tristi conseguenze di una carriera in declino, e la riflessione sui bisogni intimi di un uomo tanto rude nell'aspetto quanto fragile nella sostanza. Il protagonista Jasmin, nato in Bosnia ma da diverso tempo residente a Toronto, assume su di sé le caratteristiche comuni a tanti soggetti originari dell'Est Europa, fierezza, orgoglio, attaccamento alla propria patria, ma al contempo si fa piccolo e tremolante nel mostrare allo spettatore le insicurezze di chi non ha mai trovato la pace con se stesso.
Gli spiragli di gloria si sono ormai esauriti. Jasmin deve ripartire dalla gavetta. Prende parte a ogni possibile audizione rivolta a interpretazioni di poco conto, trova un lavoro parallelo completamente avulso dal mondo dell'arte ma necessario per non morire di fame, cerca di tenere in piedi la famiglia senza peraltro riuscire a evitare saltuari tradimenti. Al contempo ripete con il vecchio amico e collega gli sketch della trasmissione Tv che lo aveva reso popolare, progetta una tournée teatrale, conta i giorni che mancano al possibile ritorno a Sarajevo, sprona il figlio a intraprendere egli stesso la carriera d'attore, cerca un modo per far rivivere il passato e cancellare così l'abulia del presente.
Gli ambiziosi progetti di Jasmin vanno a cozzare con le incrostazioni della quotidianità, con i problemi da risolvere, con le delusioni e le disillusioni. Eppure, in lui, la speranza non muore, in quanto necessario ossigeno vitale da mantenere forte e pulsante con ogni mezzo.
Nelle sue connotazioni meta-cinematografiche, pur in un contesto geografico assai differente, The Waiting Room trova alcuni punti in comune con il meraviglioso Sils Maria di Assayas, per come cerca di accorpare finzione e realtà, rappresentazione scenica e concreto intimismo, non-accettazione del tempo che passa e difficoltà ad adeguarsi a una nuova condizione in cui reinventarsi quasi da zero. Lo fa con intelligenza ed efficacia, grazie a una regia mai invasiva che alterna i piani di sviluppo della narrazione e si attacca alle mutazioni del volto del bravissimo Jasmine Geljo, attore che davvero ha vissuto ciò che interpreta sullo schermo, subendo anche fastidiose discriminazioni: “quando sono arrivato in America all'inizio mi proponevano sempre la parte del killer, del maniaco o dello stupratore; nella loro visione delle cose chiunque venga dai paesi dell'Est Europa può fare solo questo tipo di ruoli”, ha raccontato il protagonista in sala al termine della proiezione.
Con pazienza Geljo ha saputo sconfiggere i pregiudizi e costruire una bella carriera che nel film di Igor Drljaca trova forse per ora il miglior compimento; il suo alter-ego sullo schermo invece dovrà ancora lottare per avverare i propri sogni, ma non smetterà di inseguire l'arte e tutto ciò che essa contiene e rappresenta. Un amore che nessuna stupida guerra potrà mai del tutto uccidere.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno, Torino 33
Scheda tecnica
Regia e sceneggiatura: Igor Drljaca
Attori: Jasmin Geljo, Maša Lizdek, Filip Geljo, Cynthia Ashperger, Ma-Anne Dionisio
Fotografia: Roland Echavarria
Montaggio: Ajla Odobašić
Musiche: Mitchell Akiyama
Anno: 2015
Durata: 93'
Allo stesso modo, anche la tua patria è per sempre. Nonostante tu l'abbia dovuta lasciare vent'anni prima, per sfuggire all'orrore della guerra e darti una possibilità di futuro. Il progetto è quello di tornare, in un modo o nell'altro, per ritrovare quel concetto di “casa” che altrove non potrai mai percepire, nonostante l'integrazione sia ormai stata ampiamente completata. Perché di casa ce n'è una sola.
The Waiting Room si è imposto come uno dei migliori film presentati nella ricca selezione Cineasti del Presente a Locarno 68, per poi approdare in concorso a Torino 33. Diretta da Igor Drlijaca, al suo secondo lungometraggio dopo Krivina (2012), la pellicola fonde in modo evidente finzione ed elementi autobiografici: il regista, nato a Sarajevo, si è infatti trasferito in Canada nel 1993, quando era bambino, a causa della guerra, e una strada molto simile è stata percorsa dall'attore protagonista, Jasmin Geljo, anch'egli uscito dalla ex Jugoslavia diversi anni fa per approdare in America in cerca di fortuna.
L'opera seconda di Drljaca contiene al suo interno almeno un paio di sentieri narrativi che sanno intersecarsi con buona fluidità: il racconto di un attore che non riesce ad accettare i dettami del tempo che passa e le tristi conseguenze di una carriera in declino, e la riflessione sui bisogni intimi di un uomo tanto rude nell'aspetto quanto fragile nella sostanza. Il protagonista Jasmin, nato in Bosnia ma da diverso tempo residente a Toronto, assume su di sé le caratteristiche comuni a tanti soggetti originari dell'Est Europa, fierezza, orgoglio, attaccamento alla propria patria, ma al contempo si fa piccolo e tremolante nel mostrare allo spettatore le insicurezze di chi non ha mai trovato la pace con se stesso.
Gli spiragli di gloria si sono ormai esauriti. Jasmin deve ripartire dalla gavetta. Prende parte a ogni possibile audizione rivolta a interpretazioni di poco conto, trova un lavoro parallelo completamente avulso dal mondo dell'arte ma necessario per non morire di fame, cerca di tenere in piedi la famiglia senza peraltro riuscire a evitare saltuari tradimenti. Al contempo ripete con il vecchio amico e collega gli sketch della trasmissione Tv che lo aveva reso popolare, progetta una tournée teatrale, conta i giorni che mancano al possibile ritorno a Sarajevo, sprona il figlio a intraprendere egli stesso la carriera d'attore, cerca un modo per far rivivere il passato e cancellare così l'abulia del presente.
Gli ambiziosi progetti di Jasmin vanno a cozzare con le incrostazioni della quotidianità, con i problemi da risolvere, con le delusioni e le disillusioni. Eppure, in lui, la speranza non muore, in quanto necessario ossigeno vitale da mantenere forte e pulsante con ogni mezzo.
Nelle sue connotazioni meta-cinematografiche, pur in un contesto geografico assai differente, The Waiting Room trova alcuni punti in comune con il meraviglioso Sils Maria di Assayas, per come cerca di accorpare finzione e realtà, rappresentazione scenica e concreto intimismo, non-accettazione del tempo che passa e difficoltà ad adeguarsi a una nuova condizione in cui reinventarsi quasi da zero. Lo fa con intelligenza ed efficacia, grazie a una regia mai invasiva che alterna i piani di sviluppo della narrazione e si attacca alle mutazioni del volto del bravissimo Jasmine Geljo, attore che davvero ha vissuto ciò che interpreta sullo schermo, subendo anche fastidiose discriminazioni: “quando sono arrivato in America all'inizio mi proponevano sempre la parte del killer, del maniaco o dello stupratore; nella loro visione delle cose chiunque venga dai paesi dell'Est Europa può fare solo questo tipo di ruoli”, ha raccontato il protagonista in sala al termine della proiezione.
Con pazienza Geljo ha saputo sconfiggere i pregiudizi e costruire una bella carriera che nel film di Igor Drljaca trova forse per ora il miglior compimento; il suo alter-ego sullo schermo invece dovrà ancora lottare per avverare i propri sogni, ma non smetterà di inseguire l'arte e tutto ciò che essa contiene e rappresenta. Un amore che nessuna stupida guerra potrà mai del tutto uccidere.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno, Torino 33
Scheda tecnica
Regia e sceneggiatura: Igor Drljaca
Attori: Jasmin Geljo, Maša Lizdek, Filip Geljo, Cynthia Ashperger, Ma-Anne Dionisio
Fotografia: Roland Echavarria
Montaggio: Ajla Odobašić
Musiche: Mitchell Akiyama
Anno: 2015
Durata: 93'