La decostruzione del concetto primario di narrazione cinematografica. La glorificazione dell'arte del linguaggio. L'approdo in un mondo parallelo a sua volta grembo di altri infiniti mondi. La raschiante risata promossa a strumento con cui ritrarre la mostruosità umana. La sconquassante sciarada di una realtà in cui perfino la parola "follia" risulta antiquata e insufficiente.
Tutto questo, e molto di più, è Cosmos, attesissimo ritorno (dopo 15 anni) di Andrzej Zulawski, presentato in anteprima mondiale a Locarno. Un film che parte da una base assai complessa, il romanzo di Witold Gombrowicz pubblicato nel 1965, traghettato sul grande schermo con il desiderio di “rispettarlo e al contempo reinventarlo”, per usare le parole pronunciate dal regista in occasione della conferenza stampa svizzera.
Qui, in un luogo senza luogo e in un tempo senza tempo, si sviluppa un racconto la cui trama risulta un orpello di difficile descrizione e di aleatoria importanza. In breve, la vicenda ruota intorno agli strani eventi che si sviluppano in una pensione di campagna nella quale per qualche giorno soggiornano come ospiti Witold, studente che non ha superato gli esami di diritto e Fuchs, giovane appena licenziatosi da una società di moda parigina. La bucolica tenuta è gestita da una bizzarra coppia di coniugi di mezza età e dalla loro affascinante figlia, sposata con un architetto. Witold si innamora della ragazza, mentre davanti ai suoi occhi accadono eventi misteriosi, con passerotti e polli impiccati e inspiegabili disegni che appaiono dal nulla sul soffitto. La ricerca del responsabile di questi inusuali accadimenti guida la messinscena.
Se si volesse in qualche modo incastonare Cosmos all'interno di un genere, lo si potrebbe forse definire una sorta di “giallo psicologico”. Ma sarebbe una forzatura, in quanto il lavoro zulawskiano rifugge qualsiasi schema e forma preconcetta, diluendosi invece in un meccanismo anarchico in cui nel mondo delle apparenze si annidano una quantità indefinita di altri universi paralleli, e dove la realtà fattuale smarrisce volutamente ogni confine logistico e filosofico.
Il poliedrico globo pulsante di Cosmos è un purgatorio terreno in cui la parola diviene divino contenitore di traiettorie oblique nelle quali ogni deviazione è permessa e ben accetta, in una ascensione linguistica che crea una nuova e sconvolgente forma di retorica. Allo stesso modo le classiche costrizioni comportamentali dei membri della società conosciuta si disperdono come polvere nel vento, lasciando strada ad atti strampalati che coinvolgono tutti i personaggi trasformandoli in danzatori dell'alienazione umorale.
Il non-luogo in cui si sviluppa la vicenda diventa così un humus fertile e godereccio in cui si impiccano passeri e gatti, si sbraita sopra e sotto i tavoli, ci si muove furtivi strisciando in una notte senza buio, si resta in momentaneo stato catatonico quando si è colti da eccessivi singulti emotivi, si citano a piè sospinto fonti letterarie che confluiscono nella tangibilità del quotidiano, si innalza sopra i cieli del benessere borghese la ferina crudeltà dell'uomo.
Il ritorno di Zulawski è un piatto in cui gli ingredienti si divorano tra loro, mischiando sapori e profumi, trovando infine un gusto mai assaggiato prima. È un frenetico ballo libertino che scatena le abilità attoriali di una splendida Sabine Azéma, di un inarrestabile Jean-François Balmer e dei promettenti Jonathan Genet e Victoria Guerra. È una sorta di teatro-cinema in cui trovano posto insulsi bastoni conservati per decenni, cameriere con un labbro sfigurato, insetti nelle cibarie, preti con sciami d'api sotto la tonaca, citazioni di Pasolini, Dante, Sartre e Chaplin, spazi chiusi di buñueliana memoria, urla sfinenti e coscienze morenti. È soprattutto, all'alba del 2015, un coraggioso e irresistibile e insopportabile atto di coraggio e sfida.
Se per un momento volessimo fare un giochino, confrontando i giudizi espressi a caldo da pubblico e addetti ai lavori dopo la proiezione locarnese, non ne verremmo a capo: si transita da “immenso” a “indecente”, da “straordinario” a “imbarazzante”. Al di là delle estremizzazioni, spesso frutto di passioni viscerali o contestazioni aprioristiche che in entrambi i casi poco hanno a che fare con l'attività critica, non si può negare come Zulawski abbia accolto su di sé un rischio enorme, scegliendo una materia già in partenza quasi infilmabile e decorandola con ulteriori scarti stilistici che ne rendono ancor più greve la fruizione. Ma va anche dato atto all'autore polacco (ormai naturalizzato francese), in passato capace di sconvolgere menti e cuori con pellicole devastanti come Diabel, Possession e Szamanka, di aver voluto gridare al cinema, ancora una volta, il proprio rifiuto a sottoporsi a qualsiasi normalizzazione, optando al contrario per un progetto che solo lui e pochissimi altri, in questi tempi di deprimente standardizzazione, avrebbero potuto affrontare.
Nelle sue catapulte lessicali, nei suoi stacchi di montaggio “sbagliati”, nei suoi doppi e tripli non-finali, nella sua stralunata bulimia, Cosmos è un viaggio ipnotico dentro uno spazio velenoso e sferzante dove si inciampa, si cade, ci si rialza, si cade di nuovo, fino a che davanti agli occhi si apre uno scenario invitante e respingente, angelico e perfido, lussurioso e laido. A ognuno di noi spetta il compito di decidere se raggiungerlo o andarsene, e se dare o meno una chance a un'opera-limite che in qualche modo, nel bene e nel male, lascerà comunque un segno.
Alessio Gradogna
Articoli correlati: Cosmos - Conferenza stampa Zulawski (con foto e video)
Sezione di riferimento: Festival Locarno
Scheda tecnica
Regia: Andrzej Zulawski
Attori: Sabine Azéma, Jean-François Balmer, Jonathan Genet, Johan Libéreau, Victoria Guerra, Clémentine Pons
Fotografia: André Szankowski
Musiche: Andrzej Korzynski
Montaggio: Julia Gregory
Anno: 2015
Durata: 103'
Tutto questo, e molto di più, è Cosmos, attesissimo ritorno (dopo 15 anni) di Andrzej Zulawski, presentato in anteprima mondiale a Locarno. Un film che parte da una base assai complessa, il romanzo di Witold Gombrowicz pubblicato nel 1965, traghettato sul grande schermo con il desiderio di “rispettarlo e al contempo reinventarlo”, per usare le parole pronunciate dal regista in occasione della conferenza stampa svizzera.
Qui, in un luogo senza luogo e in un tempo senza tempo, si sviluppa un racconto la cui trama risulta un orpello di difficile descrizione e di aleatoria importanza. In breve, la vicenda ruota intorno agli strani eventi che si sviluppano in una pensione di campagna nella quale per qualche giorno soggiornano come ospiti Witold, studente che non ha superato gli esami di diritto e Fuchs, giovane appena licenziatosi da una società di moda parigina. La bucolica tenuta è gestita da una bizzarra coppia di coniugi di mezza età e dalla loro affascinante figlia, sposata con un architetto. Witold si innamora della ragazza, mentre davanti ai suoi occhi accadono eventi misteriosi, con passerotti e polli impiccati e inspiegabili disegni che appaiono dal nulla sul soffitto. La ricerca del responsabile di questi inusuali accadimenti guida la messinscena.
Se si volesse in qualche modo incastonare Cosmos all'interno di un genere, lo si potrebbe forse definire una sorta di “giallo psicologico”. Ma sarebbe una forzatura, in quanto il lavoro zulawskiano rifugge qualsiasi schema e forma preconcetta, diluendosi invece in un meccanismo anarchico in cui nel mondo delle apparenze si annidano una quantità indefinita di altri universi paralleli, e dove la realtà fattuale smarrisce volutamente ogni confine logistico e filosofico.
Il poliedrico globo pulsante di Cosmos è un purgatorio terreno in cui la parola diviene divino contenitore di traiettorie oblique nelle quali ogni deviazione è permessa e ben accetta, in una ascensione linguistica che crea una nuova e sconvolgente forma di retorica. Allo stesso modo le classiche costrizioni comportamentali dei membri della società conosciuta si disperdono come polvere nel vento, lasciando strada ad atti strampalati che coinvolgono tutti i personaggi trasformandoli in danzatori dell'alienazione umorale.
Il non-luogo in cui si sviluppa la vicenda diventa così un humus fertile e godereccio in cui si impiccano passeri e gatti, si sbraita sopra e sotto i tavoli, ci si muove furtivi strisciando in una notte senza buio, si resta in momentaneo stato catatonico quando si è colti da eccessivi singulti emotivi, si citano a piè sospinto fonti letterarie che confluiscono nella tangibilità del quotidiano, si innalza sopra i cieli del benessere borghese la ferina crudeltà dell'uomo.
Il ritorno di Zulawski è un piatto in cui gli ingredienti si divorano tra loro, mischiando sapori e profumi, trovando infine un gusto mai assaggiato prima. È un frenetico ballo libertino che scatena le abilità attoriali di una splendida Sabine Azéma, di un inarrestabile Jean-François Balmer e dei promettenti Jonathan Genet e Victoria Guerra. È una sorta di teatro-cinema in cui trovano posto insulsi bastoni conservati per decenni, cameriere con un labbro sfigurato, insetti nelle cibarie, preti con sciami d'api sotto la tonaca, citazioni di Pasolini, Dante, Sartre e Chaplin, spazi chiusi di buñueliana memoria, urla sfinenti e coscienze morenti. È soprattutto, all'alba del 2015, un coraggioso e irresistibile e insopportabile atto di coraggio e sfida.
Se per un momento volessimo fare un giochino, confrontando i giudizi espressi a caldo da pubblico e addetti ai lavori dopo la proiezione locarnese, non ne verremmo a capo: si transita da “immenso” a “indecente”, da “straordinario” a “imbarazzante”. Al di là delle estremizzazioni, spesso frutto di passioni viscerali o contestazioni aprioristiche che in entrambi i casi poco hanno a che fare con l'attività critica, non si può negare come Zulawski abbia accolto su di sé un rischio enorme, scegliendo una materia già in partenza quasi infilmabile e decorandola con ulteriori scarti stilistici che ne rendono ancor più greve la fruizione. Ma va anche dato atto all'autore polacco (ormai naturalizzato francese), in passato capace di sconvolgere menti e cuori con pellicole devastanti come Diabel, Possession e Szamanka, di aver voluto gridare al cinema, ancora una volta, il proprio rifiuto a sottoporsi a qualsiasi normalizzazione, optando al contrario per un progetto che solo lui e pochissimi altri, in questi tempi di deprimente standardizzazione, avrebbero potuto affrontare.
Nelle sue catapulte lessicali, nei suoi stacchi di montaggio “sbagliati”, nei suoi doppi e tripli non-finali, nella sua stralunata bulimia, Cosmos è un viaggio ipnotico dentro uno spazio velenoso e sferzante dove si inciampa, si cade, ci si rialza, si cade di nuovo, fino a che davanti agli occhi si apre uno scenario invitante e respingente, angelico e perfido, lussurioso e laido. A ognuno di noi spetta il compito di decidere se raggiungerlo o andarsene, e se dare o meno una chance a un'opera-limite che in qualche modo, nel bene e nel male, lascerà comunque un segno.
Alessio Gradogna
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Scheda tecnica
Regia: Andrzej Zulawski
Attori: Sabine Azéma, Jean-François Balmer, Jonathan Genet, Johan Libéreau, Victoria Guerra, Clémentine Pons
Fotografia: André Szankowski
Musiche: Andrzej Korzynski
Montaggio: Julia Gregory
Anno: 2015
Durata: 103'