Ottantuno anni, quasi ottantadue. Il corpo è ancora in ottima salute, la mente no. Il problema sta su, nella testa, dove la memoria inesorabilmente comincia a svanire. Ti ricordi cosa hai fatto trent'anni fa, ma ti dimentichi cosa è successo ieri. Non riesci a perdonare un ex grande amico che ti ha tradito molto tempo prima, sei attorniato da flashback di quando eri bambino, ma non ti ricordi più cosa ti è stato detto un'ora fa. Tua figlia Carole fa di tutto per occuparsi di te, trova badanti che puntualmente fai ammattire perché sei convinto di non aver bisogno di alcuna assistenza, sei cocciuto e testone e anche un po' cattivo e crudele con chi cerca solo di farti del bene.
Nel frattempo aspetti l'altra tua figlia, quella più amata, Alice; dalla Francia si è trasferita a vivere in Florida, ma sai che a breve ti verrà a trovare. Non vedi l'ora. Solo che Alice è morta in un incidente d'auto nove anni fa. Ma l'hai dimenticato. Cerchi la solitudine e in realtà ne sei terrorizzato, sprizzi orgoglio ma sei fragile, tratti a male parole Carole e aspetti la tua Alice. Perché lei verrà, presto. Ne sei talmente convinto che ordini una gigantesca palma da piantare nel tuo giardino, affinché al suo arrivo possa ritrovare in qualche modo il paesaggio della Florida. Quando alla fine sei stufo di aspettare tagli la testa al toro e fai un ultimo viaggio, un'ultima follia: sfuggi ai controlli dell'ottusa Carole e sali su un aereo. Destinazione Florida. Per riabbracciare quell'adorata figlia che in realtà non c'è più.
Philippe Le Guay da qualche anno a questa parte conferma un ottimo stato di forma, confluito in una maturità artistica definitiva e raggiante. Dopo due lavori riuscitissimi, il gradevole Les femmes du 6e étage (Le donne del sesto piano) e il delizioso Alceste à bicyclette (Molière in bicicletta), l'autore classe 1956 per la prima volta gira un film tratto da un'opera preesistente, la pièce teatrale Le Père di Florian Zeller, e porta sullo schermo la storia non originalissima ma senza dubbio toccante di un anziano uomo che gradualmente perde contatto con la realtà, afflitto da una forma di Alzheimer che poco alla volta ne spegne la memoria a breve termine trascinandolo in un sempre più evidente stato di alterazione e confusione.
Claude Lherminier, il protagonista, elegante e carismatico, ex proprietario di una fabbrica la cui gestione è stata poi presa in carico dalla figlia Carole, è in fondo un uomo come tanti, almeno in apparenza; un signore benestante che non accetta di aver bisogno di aiuto. I dispetti e le false accuse con cui fa scappare una dopo l'altra le sue badanti, lo spregio con cui rispedisce al mittente l'affetto di Carole, la scomoda mania di chiedere a tutti dettagliate descrizioni dei propri rapporti sessuali, la rabbia con cui ricorda il tradimento dell'ex amico appena defunto, l'assurdo rifiuto di accettare che quell'individuo sia sepolto nello stesso cimitero dove anche le sue ossa riposeranno: tratti parziali di una personalità che rompe gli argini del buon costume, accantona le inibizioni e crolla sotto i colpi inclementi della malattia, sino a disintegrarsi in improvvise azioni estreme come urinare senza motivo sul cofano di una macchina o tirare una martellata in testa a chi non ti ha fatto nulla di male.
Nella mente di Claude i pensieri e le emozioni si accavallano, si contorcono, si rincorrono senza più un ordine preciso. Quando Claude viene ritrovato in strada, di notte, vagante in pigiama, e quando poi regala tutti i suoi risparmi a una badante rumena che subito dopo sparisce nel nulla, Carole giunge alla piena consapevolezza di come l'unica soluzione sia metterlo in una struttura dove infermiere professioniste possano prendersi cura di lui 24 ore su 24. Ma è una decisione sofferta, straziante, inaccettabile. Perché in fondo si parla di un uomo spaventato, regredito a un fanciullesco stato di perenne stupore e in grado di comprendere la propria situazione nei sempre più rari momenti di lucidità; un uomo buono che ha rimosso la scomparsa di Alice per non morire di dolore e che ora, nell'attesa di lei, trova un senso a giornate in cui i fatti e gli eventi accadono e poi svaniscono come cenere nel vento.
Le Guay compie in Floride un'operazione rischiosa: fondere due generi, commedia e dramma, creando un impasto in cui le due diverse modalità stilistiche possano diventare un unico soggetto narrativo. La risata e il pianto, l'ironia e la desolazione, lo sberleffo e la tragedia si inseguono dall'inizio alla fine, in ogni scena, alternandosi e amalgamandosi perfino all'interno di ogni singola inquadratura; una scelta ambiziosa, di non semplice realizzazione, che non sempre trova il giusto equilibrio ma sa regalare tanti momenti vibranti, in cui l'empatia con il protagonista giunge senza alcuno sforzo e rimane ben salda anche durante i titoli di coda, accompagnati dalla canzone Puisque vour partez en voyage, di Jean Sablon (1), e dopo la visione.
Per portare a termine il suo scopo Le Guay si affida a Jean Rochefort. Ne ottiene in cambio un'interpretazione gigantesca, in cui il grande attore crea un arcobaleno espressivo intriso di infinite sfumature di tono e colore, spingendo il proprio personaggio sino ai limiti di una personalità controversa che si reinventa sequenza dopo sequenza, acuendo volutamente i lati più ruvidi e mettendo in scena molto di sé, anche dal punto di vista materiale (2), per un possibile canto del cigno di straordinario impatto (3). Accanto a lui si muove con consumata abilità Sandrine Kiberlain, ormai da qualche anno nell'Olimpo delle migliori attrici francesi, scelta anche perché amica di Rochefort da molti anni e capace di reggere il peso del confronto in scena con un monumento vivente. Con loro si segnalano le presenze di Anamaria Marinca (4 mesi, 3 settimane e 2 giorni) e Laurent Lucas, spesso scelto per ruoli ombrosi (Alleluia di Du Welz, la seconda stagione di Les Revenants) ma qui chiamato a vestire i panni del rassicurante compagno che consola Carole nei tanti momenti di sconforto vissuti di fronte al crollo mentale del padre.
1) Il brano è cantato da Sandrine Kiberlain e Jean Rochefort. È stato proprio l'attore a consigliarne a Le Guay l'utilizzo.
2) La maggior parte degli estrosi vestiti indossati dal personaggio provengono dal guardaroba di Rochefort.
3) L'attore, ormai ottantacinquenne, ha dichiarato che questo dovrebbe essere il suo ultimo film. Se così fosse, sarebbe uno splendido saluto alle scene.
Trascinato dalla forza interpretativa di Rochefort, Floride destruttura la continuità temporale, alternando le immagini di Claude sull'aereo diretto a Miami e i fatti basilari accaduti nelle settimane precedenti. Noi spettatori lo accompagniamo in questo ultimo viaggio, tenendolo per mano, divertiti e commossi.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno, Film al cinema
Scheda tecnica
Regia: Philippe Le Guay
Attori: Jean Rochefort, Sandrine Kiberlain, Laurent Lucas, Anamaria Marinca, Clement Metayer
Fotografia: Jean-Claude Larrieu
Musiche: Jorge Arriagada
Sceneggiatura: Jérôme Tonnerre, Philippe Le Guay
Montaggio: Monica Coleman
Anno: 2015
Durata: 110'
Uscita in Italia: 5 maggio 2016
Nel frattempo aspetti l'altra tua figlia, quella più amata, Alice; dalla Francia si è trasferita a vivere in Florida, ma sai che a breve ti verrà a trovare. Non vedi l'ora. Solo che Alice è morta in un incidente d'auto nove anni fa. Ma l'hai dimenticato. Cerchi la solitudine e in realtà ne sei terrorizzato, sprizzi orgoglio ma sei fragile, tratti a male parole Carole e aspetti la tua Alice. Perché lei verrà, presto. Ne sei talmente convinto che ordini una gigantesca palma da piantare nel tuo giardino, affinché al suo arrivo possa ritrovare in qualche modo il paesaggio della Florida. Quando alla fine sei stufo di aspettare tagli la testa al toro e fai un ultimo viaggio, un'ultima follia: sfuggi ai controlli dell'ottusa Carole e sali su un aereo. Destinazione Florida. Per riabbracciare quell'adorata figlia che in realtà non c'è più.
Philippe Le Guay da qualche anno a questa parte conferma un ottimo stato di forma, confluito in una maturità artistica definitiva e raggiante. Dopo due lavori riuscitissimi, il gradevole Les femmes du 6e étage (Le donne del sesto piano) e il delizioso Alceste à bicyclette (Molière in bicicletta), l'autore classe 1956 per la prima volta gira un film tratto da un'opera preesistente, la pièce teatrale Le Père di Florian Zeller, e porta sullo schermo la storia non originalissima ma senza dubbio toccante di un anziano uomo che gradualmente perde contatto con la realtà, afflitto da una forma di Alzheimer che poco alla volta ne spegne la memoria a breve termine trascinandolo in un sempre più evidente stato di alterazione e confusione.
Claude Lherminier, il protagonista, elegante e carismatico, ex proprietario di una fabbrica la cui gestione è stata poi presa in carico dalla figlia Carole, è in fondo un uomo come tanti, almeno in apparenza; un signore benestante che non accetta di aver bisogno di aiuto. I dispetti e le false accuse con cui fa scappare una dopo l'altra le sue badanti, lo spregio con cui rispedisce al mittente l'affetto di Carole, la scomoda mania di chiedere a tutti dettagliate descrizioni dei propri rapporti sessuali, la rabbia con cui ricorda il tradimento dell'ex amico appena defunto, l'assurdo rifiuto di accettare che quell'individuo sia sepolto nello stesso cimitero dove anche le sue ossa riposeranno: tratti parziali di una personalità che rompe gli argini del buon costume, accantona le inibizioni e crolla sotto i colpi inclementi della malattia, sino a disintegrarsi in improvvise azioni estreme come urinare senza motivo sul cofano di una macchina o tirare una martellata in testa a chi non ti ha fatto nulla di male.
Nella mente di Claude i pensieri e le emozioni si accavallano, si contorcono, si rincorrono senza più un ordine preciso. Quando Claude viene ritrovato in strada, di notte, vagante in pigiama, e quando poi regala tutti i suoi risparmi a una badante rumena che subito dopo sparisce nel nulla, Carole giunge alla piena consapevolezza di come l'unica soluzione sia metterlo in una struttura dove infermiere professioniste possano prendersi cura di lui 24 ore su 24. Ma è una decisione sofferta, straziante, inaccettabile. Perché in fondo si parla di un uomo spaventato, regredito a un fanciullesco stato di perenne stupore e in grado di comprendere la propria situazione nei sempre più rari momenti di lucidità; un uomo buono che ha rimosso la scomparsa di Alice per non morire di dolore e che ora, nell'attesa di lei, trova un senso a giornate in cui i fatti e gli eventi accadono e poi svaniscono come cenere nel vento.
Le Guay compie in Floride un'operazione rischiosa: fondere due generi, commedia e dramma, creando un impasto in cui le due diverse modalità stilistiche possano diventare un unico soggetto narrativo. La risata e il pianto, l'ironia e la desolazione, lo sberleffo e la tragedia si inseguono dall'inizio alla fine, in ogni scena, alternandosi e amalgamandosi perfino all'interno di ogni singola inquadratura; una scelta ambiziosa, di non semplice realizzazione, che non sempre trova il giusto equilibrio ma sa regalare tanti momenti vibranti, in cui l'empatia con il protagonista giunge senza alcuno sforzo e rimane ben salda anche durante i titoli di coda, accompagnati dalla canzone Puisque vour partez en voyage, di Jean Sablon (1), e dopo la visione.
Per portare a termine il suo scopo Le Guay si affida a Jean Rochefort. Ne ottiene in cambio un'interpretazione gigantesca, in cui il grande attore crea un arcobaleno espressivo intriso di infinite sfumature di tono e colore, spingendo il proprio personaggio sino ai limiti di una personalità controversa che si reinventa sequenza dopo sequenza, acuendo volutamente i lati più ruvidi e mettendo in scena molto di sé, anche dal punto di vista materiale (2), per un possibile canto del cigno di straordinario impatto (3). Accanto a lui si muove con consumata abilità Sandrine Kiberlain, ormai da qualche anno nell'Olimpo delle migliori attrici francesi, scelta anche perché amica di Rochefort da molti anni e capace di reggere il peso del confronto in scena con un monumento vivente. Con loro si segnalano le presenze di Anamaria Marinca (4 mesi, 3 settimane e 2 giorni) e Laurent Lucas, spesso scelto per ruoli ombrosi (Alleluia di Du Welz, la seconda stagione di Les Revenants) ma qui chiamato a vestire i panni del rassicurante compagno che consola Carole nei tanti momenti di sconforto vissuti di fronte al crollo mentale del padre.
1) Il brano è cantato da Sandrine Kiberlain e Jean Rochefort. È stato proprio l'attore a consigliarne a Le Guay l'utilizzo.
2) La maggior parte degli estrosi vestiti indossati dal personaggio provengono dal guardaroba di Rochefort.
3) L'attore, ormai ottantacinquenne, ha dichiarato che questo dovrebbe essere il suo ultimo film. Se così fosse, sarebbe uno splendido saluto alle scene.
Trascinato dalla forza interpretativa di Rochefort, Floride destruttura la continuità temporale, alternando le immagini di Claude sull'aereo diretto a Miami e i fatti basilari accaduti nelle settimane precedenti. Noi spettatori lo accompagniamo in questo ultimo viaggio, tenendolo per mano, divertiti e commossi.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Locarno, Film al cinema
Scheda tecnica
Regia: Philippe Le Guay
Attori: Jean Rochefort, Sandrine Kiberlain, Laurent Lucas, Anamaria Marinca, Clement Metayer
Fotografia: Jean-Claude Larrieu
Musiche: Jorge Arriagada
Sceneggiatura: Jérôme Tonnerre, Philippe Le Guay
Montaggio: Monica Coleman
Anno: 2015
Durata: 110'
Uscita in Italia: 5 maggio 2016