Nel momento in cui era stato annunciato il programma di Locarno 69, aveva destato una certa curiosità il fatto che nel concorso internazionale fossero state inserite ben due opere provenienti dalla Bulgaria, nazione la cui presenza nei grandi festival non è così usuale. A manifestazione ormai conclusa, diventa ancora più sorprendente notare come proprio i due film bulgari si siano rivelati, in assoluto, i titoli migliori della selezione.
Dopo il bellissimo Slava, della coppia Grozeva/Valchanov, ha infatti entusiasmato anche Godless, primo lungometraggio della regista Ralitza Petrova, supportato in fase produttiva da Torino Film Lab e in grado, con la stessa forza devastante dell'altra pellicola citata, di fotografare le macerie di un paese in cui l'amoralità e l'assenza di giustizia guidano le sorti di un popolo sfibrato e ormai quasi totalmente privo di sogni e speranze.
Gana è un'infermiera che si occupa dell'assistenza a domicilio ad anziani malati di demenza senile. Contemporaneamente, la ragazza partecipa a un losco traffico di carte d'identità per il mercato nero. Ogni avvenimento pare scorrerle addosso senza provocare alcuna evidente reazione, ivi compreso l'assassinio, da lei indirettamente causato, di una donna che rischiava di rivelare i suoi affari illeciti. La fitta nebbia che ricopre l'esistenza di Gana si dirada lievemente solo quando conosce Yoan, ex soldato che ora dirige un coro; il suo canto soave la distoglie per qualche momento dallo spleen della quotidianità, almeno fino a quando lo stesso Yoan, perseguitato dalla polizia per frode, viene trovato morto nel suo appartamento. Colpita dall'evento Gana decide di porre fine al lato oscuro della propria esistenza, scelta che porterà a conseguenze non certo accomodanti.
Girato in 4:3, per pedinare in modo più ravvicinato gli interpreti della vicenda, Godless ingabbia lo spettatore in una narrazione tetra e soffocante, acuita da toni cromatici grigi che ne sottolineano la durezza emotiva. Gana (Irena Ivanova, attrice non professionista, poetessa nella vita reale) transita lungo quasi tutti gli avvenimenti della vicenda in perenne stato semi-catatonico, lasciandosi scivolare sulla pelle ogni evento. A qualsiasi domanda, considerazione o rimostranza dei pazienti lei risponde sempre e solo “è il mio lavoro”, come fosse un dato di fatto inalienabile e immodificabile, e nell'abulia del suo sguardo si racchiude la condizione generale di una comunità che pare non avere più alcuna voglia di ribellarsi alla catalessi di una nazione incrostata da ruggine, povertà e dolore.
I personaggi di Godless sfidano a più riprese la legge senza sensi di colpa nell'infrangerla, si mettono al riparo dall'espiazione delle proprie colpe grazie a favori e connivenze, cenano con zuppe di verdure prive di sostanza e sapore, utilizzano il sesso come puro strumento di sfogo animale, lasciano andare in rovina lapidi dedicate alla memoria delle vittime del Comunismo; nel freddo eterno che li avviluppa essi deambulano senza mai alcuna voglia di sorridere: esemplificativo, a tal proposito, il passaggio in cui uno dei protagonisti afferma “quando mi sveglio la mattina, tengo gli occhi chiusi; non ho voglia di essere vivo”, o ancora la toccante scena in cui Gana, dipendente dalla morfina e infelice metà di un rapporto sentimentale privo di ardore, confida alla madre “vorrei amare, ma non posso. E tu neanche. Hai delle pillole per questo?”, salvo subito dopo abbracciarla, in una delle poche esternazioni di affetto ancora possibili.
Il mondo di Godless, fotografato con concretezza e stile maturo e compiuto, è tenebroso, irrespirabile, perfino strangolante, tanto che dopo i titoli di coda, all'uscita della sala, risulta sconcertante notare come possa ancora splendere un sole sopra le nostre teste. Un'opera rigorosa, cinematograficamente impeccabile, dove le inquadrature ravvicinate lasciano sovente fuori campo la visione d'insieme dei luoghi in cui si svolge il racconto, acuendo così la fusione tra la finzione scenica e la fruizione del pubblico, e dove l'ampio utilizzo di soavi canti tradizionali ci trasporta in una sofferta liturgia da cui bere, volenti o nolenti, l'amaro nettare della rassegnazione.
In conferenza stampa a Locarno, e nel successivo e frizzante incontro con gli spettatori, Ralitza Petrova ha dichiarato che l'estrema cupezza del film vorrebbe, per paradosso, porsi come possibile strumento con cui contribuire alla nascita di una nuova speranza per il suo paese. Possiamo solo auspicare che ciò accada davvero, perché la Bulgaria ben rappresentata da Slava e da Godless è oggi una nazione in cui tante vite altro non sono se non prolungati inni funebri, designati ad accompagnare una lenta e inesorabile processione lungo il cammino della notte infinita.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Locarno 69
Scheda tecnica
Regista: Ralitza Petrova
Attori: Irena Ivanova, Ivan Nalbantov, Ventzislav Konstantinov, Alexandr Triffonov, Dimitar Petkov
Fotografia: Krum Rodriguez, Chayse Irvin
Sceneggiatura: Ralitza Petrova
Montaggio: Donka Ivanova, Ralitza Petrova
Anno: 2016
Durata: 99'
Dopo il bellissimo Slava, della coppia Grozeva/Valchanov, ha infatti entusiasmato anche Godless, primo lungometraggio della regista Ralitza Petrova, supportato in fase produttiva da Torino Film Lab e in grado, con la stessa forza devastante dell'altra pellicola citata, di fotografare le macerie di un paese in cui l'amoralità e l'assenza di giustizia guidano le sorti di un popolo sfibrato e ormai quasi totalmente privo di sogni e speranze.
Gana è un'infermiera che si occupa dell'assistenza a domicilio ad anziani malati di demenza senile. Contemporaneamente, la ragazza partecipa a un losco traffico di carte d'identità per il mercato nero. Ogni avvenimento pare scorrerle addosso senza provocare alcuna evidente reazione, ivi compreso l'assassinio, da lei indirettamente causato, di una donna che rischiava di rivelare i suoi affari illeciti. La fitta nebbia che ricopre l'esistenza di Gana si dirada lievemente solo quando conosce Yoan, ex soldato che ora dirige un coro; il suo canto soave la distoglie per qualche momento dallo spleen della quotidianità, almeno fino a quando lo stesso Yoan, perseguitato dalla polizia per frode, viene trovato morto nel suo appartamento. Colpita dall'evento Gana decide di porre fine al lato oscuro della propria esistenza, scelta che porterà a conseguenze non certo accomodanti.
Girato in 4:3, per pedinare in modo più ravvicinato gli interpreti della vicenda, Godless ingabbia lo spettatore in una narrazione tetra e soffocante, acuita da toni cromatici grigi che ne sottolineano la durezza emotiva. Gana (Irena Ivanova, attrice non professionista, poetessa nella vita reale) transita lungo quasi tutti gli avvenimenti della vicenda in perenne stato semi-catatonico, lasciandosi scivolare sulla pelle ogni evento. A qualsiasi domanda, considerazione o rimostranza dei pazienti lei risponde sempre e solo “è il mio lavoro”, come fosse un dato di fatto inalienabile e immodificabile, e nell'abulia del suo sguardo si racchiude la condizione generale di una comunità che pare non avere più alcuna voglia di ribellarsi alla catalessi di una nazione incrostata da ruggine, povertà e dolore.
I personaggi di Godless sfidano a più riprese la legge senza sensi di colpa nell'infrangerla, si mettono al riparo dall'espiazione delle proprie colpe grazie a favori e connivenze, cenano con zuppe di verdure prive di sostanza e sapore, utilizzano il sesso come puro strumento di sfogo animale, lasciano andare in rovina lapidi dedicate alla memoria delle vittime del Comunismo; nel freddo eterno che li avviluppa essi deambulano senza mai alcuna voglia di sorridere: esemplificativo, a tal proposito, il passaggio in cui uno dei protagonisti afferma “quando mi sveglio la mattina, tengo gli occhi chiusi; non ho voglia di essere vivo”, o ancora la toccante scena in cui Gana, dipendente dalla morfina e infelice metà di un rapporto sentimentale privo di ardore, confida alla madre “vorrei amare, ma non posso. E tu neanche. Hai delle pillole per questo?”, salvo subito dopo abbracciarla, in una delle poche esternazioni di affetto ancora possibili.
Il mondo di Godless, fotografato con concretezza e stile maturo e compiuto, è tenebroso, irrespirabile, perfino strangolante, tanto che dopo i titoli di coda, all'uscita della sala, risulta sconcertante notare come possa ancora splendere un sole sopra le nostre teste. Un'opera rigorosa, cinematograficamente impeccabile, dove le inquadrature ravvicinate lasciano sovente fuori campo la visione d'insieme dei luoghi in cui si svolge il racconto, acuendo così la fusione tra la finzione scenica e la fruizione del pubblico, e dove l'ampio utilizzo di soavi canti tradizionali ci trasporta in una sofferta liturgia da cui bere, volenti o nolenti, l'amaro nettare della rassegnazione.
In conferenza stampa a Locarno, e nel successivo e frizzante incontro con gli spettatori, Ralitza Petrova ha dichiarato che l'estrema cupezza del film vorrebbe, per paradosso, porsi come possibile strumento con cui contribuire alla nascita di una nuova speranza per il suo paese. Possiamo solo auspicare che ciò accada davvero, perché la Bulgaria ben rappresentata da Slava e da Godless è oggi una nazione in cui tante vite altro non sono se non prolungati inni funebri, designati ad accompagnare una lenta e inesorabile processione lungo il cammino della notte infinita.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Locarno 69
Scheda tecnica
Regista: Ralitza Petrova
Attori: Irena Ivanova, Ivan Nalbantov, Ventzislav Konstantinov, Alexandr Triffonov, Dimitar Petkov
Fotografia: Krum Rodriguez, Chayse Irvin
Sceneggiatura: Ralitza Petrova
Montaggio: Donka Ivanova, Ralitza Petrova
Anno: 2016
Durata: 99'