Immagini mostruose uscite dai peggiori incubi concepiti dall'inferno; paesaggi dagli scenari gotici e inquietanti, innaturali e misteriosi; creature deformate, macabre e irreali, in alcuni casi raffigurate con allusioni a sfondo sessuale sadomaso o comunque estremo, spesso sotto forma di entità scheletriche, a popolare mondi paralleli e spaventosi. Questa è l'opera di Zdzislaw Beksinski, dall'impatto a forte intensità emotiva su chiunque ne fruisca e si affacci con lo sguardo verso uno dei suoi circa 260 dipinti, lasciando aperta la propria immaginazione come su una finestra spalancata sull'Abisso. Quello dell'inconscio e dei mostri che abitano dentro di sé.
Beksinski nasce il 24 febbraio del 1929, a Sanok, piccola cittadina nel sud della Polonia. La sua vita viene fin da subito segnata da un destino avverso e ostile: durante l'occupazione tedesca è infatti costretto a diplomarsi in un liceo clandestino, e dopo la liberazione della Polonia avvenuta nel 1947 si iscrive alla facoltà di architettura presso l'Università di Cracovia, più per volere del padre che per reale vocazione. Dopo la laurea diventa supervisore di cantieri, mestiere che odia profondamente, e che infatti abbandona da lì a poco tempo dopo. Nello stesso anno, il 1951, sposa Zofia Stankiewicz, la donna che gli resterà accanto tutta la vita, e nel 1958 nasce Tomasz, suo unico figlio.
La vera vocazione di Beksinski è l'arte. A partire dal 1958 inizia a scattare fotografie, e già si contraddistingue per lo stile particolare e innovativo che si ritroverà poi nei suoi dipinti, cosa non semplice sopratutto nella rigida Polonia comunista. Fotografa bambole mutilate, paesaggi desolati, persone senza volto oppure con il viso bendato o deturpato, effetti ottenuti grazie alle tecniche del fotomontaggio. Negli stessi anni si dedica anche alla scultura, prediligendo come materiali la plastica e il metallo. Questo periodo viene definito da lui stesso come “Barocco”. In seguito si concentra sulla pittura ad olio su tavole di masonite. Mentre i suoi primi dipinti erano di arte astratta, presto la sua ispirazione surrealista diventa molto più visibile. Nei tardi anni '60 Beksinski entra nel suo periodo “Fantastico”, o “Gotico”, che durerà fino alla metà degli anni '80. È questa la fase più conosciuta, durante la quale crea immagini post-apocalittiche, scene di decadenza e di morte, paesaggi abitati da scheletri, deserti, figure deformate.
L'opera diretta da Jan P. Matuszynski, presentata in concorso a Locarno, crea un affresco sulla vita familiare dell'artista polacco (interpretato da Andrzej Seweryn, già attore anche per Spielberg e Wajda) proprio durante questo lasso di tempo, e porta lo spettatore all'interno della sua vita intima e privata, contornata da personaggi unici e singolari, ognuno per diverse peculiarità: il figlio Tomasz (Dawid Ogrodnik), la moglie Zofia (Aleksandra Konieczna), l'anziana mamma e la suocera, negli anni che trascorrono insieme prima che la famiglia vada in disgregazione.
Prendono così vita, ricalcando la realtà, protagonisti dai tratti distintivi forti e indimenticabili, a partire ovviamente da Zdzislaw, uomo dal forte senso dell'umorismo, legatissimo alla madre malata, grandissimo artista autodidatta che dipinge solo con un sottofondo di musica classica e che non dà mai titoli alle sue opere, perché “l'Arte basta a se stessa”. Un uomo con la fobia per i ragni e la mania di filmare continuamente scene di vita quotidiana, spinto da un'esigenza emotiva ed intellettuale/artistica a riprendere la Vita in ogni sua parte e debolezza, nei momenti di gioia, di normalità, fino a quelli di casi eccezionali e di doloroso passaggio e addio senza ritorno, come la morte della mamma prima, e della suocera poi. Accanto a lui la moglie Zofia, che attraverso la sua silenziosa, umile ma incrollabile e fondamentale forza e presenza lascia indelebile il ricordo di una donna che con la sua comprensione e dolcezza è riuscita a sorreggere e illuminare le sorti della famiglia, giocando un ruolo insostituibile nel tenerla insieme. E poi Tomasz, loro unico figlio, appassionato di musica e dall'indole nevrotica, con tendenze a sbalzi di umore, sfoghi improvvisi di rabbia e tendenze suicide, ma supportato in tutto e per tutto dai genitori preoccupati a evitare che si possa fare del male.
Nell'insieme The Last Family, lontano dalla forma classica del documentario ma al contempo non catalogabile nella pura fiction, risulta diretto con mano ferma, appassionante e ben riuscito, anche se vi si denota qualche mancanza, come quella di aver scarsamente sviluppato le ragioni per le quali Beksinski è approdato a concepire una simile arte, e attraverso quale processo di formazione interiore è arrivato a dipingere nella sua peculiare e personalissima maniera.
Qui bisogna far presente che le ragioni ufficiali riportate biograficamente sul pittore, a motivazione della maturazione della sua arte macabra, sconfinano nell'ufficioso e nella leggenda. Nel 1970 Beksinski ebbe infatti uno spaventoso incidente con la sua auto, investita in pieno da un treno in un passaggio a livello incustodito. Dopo tre settimane di coma e lunghi mesi di riabilitazione, Zdzislaw ritornò a essere quello di prima, anche grazie all'affetto e al sostegno della famiglia. Ma raccontò di aver visto l'inferno durante le settimane di incoscienza, e di doverlo rappresentare per trovare un modo di esorcizzarlo.
Da quel momento la sua arte cambiò radicalmente. Anche se a prima vista le immagini dei suoi dipinti sembrano avere semplicemente un significato intrinseco cupo e tenebroso, in realtà si tratta di combattere la morte e i mostri personali dell'inconscio, trasformandoli in luce attraverso il processo artistico, visto come una terapia. La rappresentazione della morte nasconde una ricerca assetata di vita, il metter su tela e dar forma e immagini agli incubi è per avere pace, forse solo temporaneamente, e per occuparsi dell'essere vivi.
In Beksinski emergono forti come non mai le dicotomie Arte/Morte, Luce/Buio, Amore/Morte, anche se quest'ultima scandita dalle sfumature a tinte eccentriche e spinte del sesso estremo e sadomaso.
La sua vita è stata segnata dalla sfortuna fino all'ultimo. Per comprendere quanto oltretutto l'artista polacco sia stato incompreso e poco considerato anche in patria, basti pensare che solo nel 2016 le sue opere hanno trovato casa in un museo a Cracovia, dopo che una parte del jet-set locale si era rifiutato di esporle valutandole kitsch e non apprezzandole come i capolavori che sono.
Nel 1998 si spegne Zofia, stroncata da un aneurisma. Mancando la figura legante e portante della famiglia, il nucleo si sfalda, seguendo il corso fatale e funereo del destino. La vigilia di Natale dell'anno successivo il figlio Tomasz, celebre conduttore radiofonico di Polskie Radio e traduttore in polacco dei film dei Monty Python, si toglie la vita dopo l'ennesimo tentativo, l'ultimo. In seguito a questi lutti, già segnato nell'anima dalla sua tragica esistenza, Beksinski cade in una profonda depressione e si chiude in se stesso, nonostante riesca ancora a trovare espressione dedicandosi alla computer grafica e dipingendo alcune copertine degli album dei Legendary Pink Dots, gruppo musicale di cui il figlio era appassionato.
In antitesi e simultaneamente a questo devastante periodo nero, comincia ad arrivare il successo nel mondo dell'arte contemporanea, in paesi come gli Stati Uniti e soprattutto in Giappone, dove le sue opere vengono inserite nelle prestigiose collezioni dell'Osaka Art Museum. Viene trovato morto nel suo appartamento il 21 febbraio del 2005, assassinato dal figlio del suo maggiordomo a cui aveva rifiutato un prestito di un centinaio di zloty, l'equivalente di circa cento dollari. Diciassette coltellate portano a termine la parabola di uno dei più grandi artisti surrealisti, innovatori e visionari del Novecento, immeritatamente poco conosciuto e per troppo tempo sottovalutato.
“Vorrei dipingere come se fotografassi sogni”, affermò Beksinski durante il quindicennio più fecondo e creativo della sua produzione, il periodo Gotico. E i sogni, con le sembianze di incubi di morte, ma pur sempre anche pregni di vita (i rimandi all'immaginario di sesso estremo e sadomaso che incarnano una spinta vitale), hanno preso forma sulla tela come uno spaccato dell'Inferno, realistico e fantastico al tempo stesso: incombente di un orrore cupo e funesto da un lato, ma meraviglioso e sublime, mai comune, dall'altro, descritto e raffigurato nella sua essenza con immediatezza visiva come solo pochi altri, o forse nessuno, ha saputo afferrare e cogliere nel panorama artistico mondiale.
La sua opera continua a rimanere carica di quell'enigmaticità indissolubilmente legata a una visione propria e irripetibile dell'animo umano, come lui stesso l'aveva concepita: continuando a bastare a se stessa. Un Inferno soggettivo e personale, quello di Beksinski. E forse simbolico di quello che ognuno di noi cerca di esorcizzare, portandolo in sé e rinvenendo Luce dentro alle Tenebre.
Amanda Crevola
Sezione di riferimento: Locarno 69
Scheda tecnica
Titolo originale: Ostatnia rodzina
Regista: Jan P. Matuszyński
Attori: Andrzej Seweryn, Dawid Ogrodnik, Aleksandra Konieczna, Andrzej Chyra
Fotografia: Kacper Fertacz
Sceneggiatura: Robert Bolesto
Montaggio: Przemysław Chruścielewski
Anno: 2016
Durata: 124'
Beksinski nasce il 24 febbraio del 1929, a Sanok, piccola cittadina nel sud della Polonia. La sua vita viene fin da subito segnata da un destino avverso e ostile: durante l'occupazione tedesca è infatti costretto a diplomarsi in un liceo clandestino, e dopo la liberazione della Polonia avvenuta nel 1947 si iscrive alla facoltà di architettura presso l'Università di Cracovia, più per volere del padre che per reale vocazione. Dopo la laurea diventa supervisore di cantieri, mestiere che odia profondamente, e che infatti abbandona da lì a poco tempo dopo. Nello stesso anno, il 1951, sposa Zofia Stankiewicz, la donna che gli resterà accanto tutta la vita, e nel 1958 nasce Tomasz, suo unico figlio.
La vera vocazione di Beksinski è l'arte. A partire dal 1958 inizia a scattare fotografie, e già si contraddistingue per lo stile particolare e innovativo che si ritroverà poi nei suoi dipinti, cosa non semplice sopratutto nella rigida Polonia comunista. Fotografa bambole mutilate, paesaggi desolati, persone senza volto oppure con il viso bendato o deturpato, effetti ottenuti grazie alle tecniche del fotomontaggio. Negli stessi anni si dedica anche alla scultura, prediligendo come materiali la plastica e il metallo. Questo periodo viene definito da lui stesso come “Barocco”. In seguito si concentra sulla pittura ad olio su tavole di masonite. Mentre i suoi primi dipinti erano di arte astratta, presto la sua ispirazione surrealista diventa molto più visibile. Nei tardi anni '60 Beksinski entra nel suo periodo “Fantastico”, o “Gotico”, che durerà fino alla metà degli anni '80. È questa la fase più conosciuta, durante la quale crea immagini post-apocalittiche, scene di decadenza e di morte, paesaggi abitati da scheletri, deserti, figure deformate.
L'opera diretta da Jan P. Matuszynski, presentata in concorso a Locarno, crea un affresco sulla vita familiare dell'artista polacco (interpretato da Andrzej Seweryn, già attore anche per Spielberg e Wajda) proprio durante questo lasso di tempo, e porta lo spettatore all'interno della sua vita intima e privata, contornata da personaggi unici e singolari, ognuno per diverse peculiarità: il figlio Tomasz (Dawid Ogrodnik), la moglie Zofia (Aleksandra Konieczna), l'anziana mamma e la suocera, negli anni che trascorrono insieme prima che la famiglia vada in disgregazione.
Prendono così vita, ricalcando la realtà, protagonisti dai tratti distintivi forti e indimenticabili, a partire ovviamente da Zdzislaw, uomo dal forte senso dell'umorismo, legatissimo alla madre malata, grandissimo artista autodidatta che dipinge solo con un sottofondo di musica classica e che non dà mai titoli alle sue opere, perché “l'Arte basta a se stessa”. Un uomo con la fobia per i ragni e la mania di filmare continuamente scene di vita quotidiana, spinto da un'esigenza emotiva ed intellettuale/artistica a riprendere la Vita in ogni sua parte e debolezza, nei momenti di gioia, di normalità, fino a quelli di casi eccezionali e di doloroso passaggio e addio senza ritorno, come la morte della mamma prima, e della suocera poi. Accanto a lui la moglie Zofia, che attraverso la sua silenziosa, umile ma incrollabile e fondamentale forza e presenza lascia indelebile il ricordo di una donna che con la sua comprensione e dolcezza è riuscita a sorreggere e illuminare le sorti della famiglia, giocando un ruolo insostituibile nel tenerla insieme. E poi Tomasz, loro unico figlio, appassionato di musica e dall'indole nevrotica, con tendenze a sbalzi di umore, sfoghi improvvisi di rabbia e tendenze suicide, ma supportato in tutto e per tutto dai genitori preoccupati a evitare che si possa fare del male.
Nell'insieme The Last Family, lontano dalla forma classica del documentario ma al contempo non catalogabile nella pura fiction, risulta diretto con mano ferma, appassionante e ben riuscito, anche se vi si denota qualche mancanza, come quella di aver scarsamente sviluppato le ragioni per le quali Beksinski è approdato a concepire una simile arte, e attraverso quale processo di formazione interiore è arrivato a dipingere nella sua peculiare e personalissima maniera.
Qui bisogna far presente che le ragioni ufficiali riportate biograficamente sul pittore, a motivazione della maturazione della sua arte macabra, sconfinano nell'ufficioso e nella leggenda. Nel 1970 Beksinski ebbe infatti uno spaventoso incidente con la sua auto, investita in pieno da un treno in un passaggio a livello incustodito. Dopo tre settimane di coma e lunghi mesi di riabilitazione, Zdzislaw ritornò a essere quello di prima, anche grazie all'affetto e al sostegno della famiglia. Ma raccontò di aver visto l'inferno durante le settimane di incoscienza, e di doverlo rappresentare per trovare un modo di esorcizzarlo.
Da quel momento la sua arte cambiò radicalmente. Anche se a prima vista le immagini dei suoi dipinti sembrano avere semplicemente un significato intrinseco cupo e tenebroso, in realtà si tratta di combattere la morte e i mostri personali dell'inconscio, trasformandoli in luce attraverso il processo artistico, visto come una terapia. La rappresentazione della morte nasconde una ricerca assetata di vita, il metter su tela e dar forma e immagini agli incubi è per avere pace, forse solo temporaneamente, e per occuparsi dell'essere vivi.
In Beksinski emergono forti come non mai le dicotomie Arte/Morte, Luce/Buio, Amore/Morte, anche se quest'ultima scandita dalle sfumature a tinte eccentriche e spinte del sesso estremo e sadomaso.
La sua vita è stata segnata dalla sfortuna fino all'ultimo. Per comprendere quanto oltretutto l'artista polacco sia stato incompreso e poco considerato anche in patria, basti pensare che solo nel 2016 le sue opere hanno trovato casa in un museo a Cracovia, dopo che una parte del jet-set locale si era rifiutato di esporle valutandole kitsch e non apprezzandole come i capolavori che sono.
Nel 1998 si spegne Zofia, stroncata da un aneurisma. Mancando la figura legante e portante della famiglia, il nucleo si sfalda, seguendo il corso fatale e funereo del destino. La vigilia di Natale dell'anno successivo il figlio Tomasz, celebre conduttore radiofonico di Polskie Radio e traduttore in polacco dei film dei Monty Python, si toglie la vita dopo l'ennesimo tentativo, l'ultimo. In seguito a questi lutti, già segnato nell'anima dalla sua tragica esistenza, Beksinski cade in una profonda depressione e si chiude in se stesso, nonostante riesca ancora a trovare espressione dedicandosi alla computer grafica e dipingendo alcune copertine degli album dei Legendary Pink Dots, gruppo musicale di cui il figlio era appassionato.
In antitesi e simultaneamente a questo devastante periodo nero, comincia ad arrivare il successo nel mondo dell'arte contemporanea, in paesi come gli Stati Uniti e soprattutto in Giappone, dove le sue opere vengono inserite nelle prestigiose collezioni dell'Osaka Art Museum. Viene trovato morto nel suo appartamento il 21 febbraio del 2005, assassinato dal figlio del suo maggiordomo a cui aveva rifiutato un prestito di un centinaio di zloty, l'equivalente di circa cento dollari. Diciassette coltellate portano a termine la parabola di uno dei più grandi artisti surrealisti, innovatori e visionari del Novecento, immeritatamente poco conosciuto e per troppo tempo sottovalutato.
“Vorrei dipingere come se fotografassi sogni”, affermò Beksinski durante il quindicennio più fecondo e creativo della sua produzione, il periodo Gotico. E i sogni, con le sembianze di incubi di morte, ma pur sempre anche pregni di vita (i rimandi all'immaginario di sesso estremo e sadomaso che incarnano una spinta vitale), hanno preso forma sulla tela come uno spaccato dell'Inferno, realistico e fantastico al tempo stesso: incombente di un orrore cupo e funesto da un lato, ma meraviglioso e sublime, mai comune, dall'altro, descritto e raffigurato nella sua essenza con immediatezza visiva come solo pochi altri, o forse nessuno, ha saputo afferrare e cogliere nel panorama artistico mondiale.
La sua opera continua a rimanere carica di quell'enigmaticità indissolubilmente legata a una visione propria e irripetibile dell'animo umano, come lui stesso l'aveva concepita: continuando a bastare a se stessa. Un Inferno soggettivo e personale, quello di Beksinski. E forse simbolico di quello che ognuno di noi cerca di esorcizzare, portandolo in sé e rinvenendo Luce dentro alle Tenebre.
Amanda Crevola
Sezione di riferimento: Locarno 69
Scheda tecnica
Titolo originale: Ostatnia rodzina
Regista: Jan P. Matuszyński
Attori: Andrzej Seweryn, Dawid Ogrodnik, Aleksandra Konieczna, Andrzej Chyra
Fotografia: Kacper Fertacz
Sceneggiatura: Robert Bolesto
Montaggio: Przemysław Chruścielewski
Anno: 2016
Durata: 124'