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OSLO, 31 AGOSTO - Game Over

24/2/2014

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Phillip (Anders Danielsen Lie), giovane e dotato scrittore in procinto di ottenere una pubblicazione importante, si avvicina a una portafinestra e allunga il braccio fino ad appoggiare energicamente il palmo della mano sul vetro; l'impronta, fatta di calore e condensa, resiste per pochissimi secondi prima di scomparire per sempre. In questa breve sequenza – tratta dal suo primo lungometraggio Reprise –, composta da tre veloci inquadrature, risiede l'anima del cinema fin qui portato in vita dall'interessantissimo Joachim Trier, la cui poetica si basa su un'instabile “gioventù bruciata” che pur tentando di lasciare impronta di sé si riduce a sprecare e dissipare le proprie energie. Questa incapacità a (soprav)vivere è resa tramite personaggi appartenenti alla piccola e media borghesia, membri di una classe sociale che avrebbe tutti gli strumenti per potersi affermare o, quanto meno, per vivere in un agio privo di timori.
In Oslo, 31 agosto, del 2011, Trier si affida nuovamente all'attore Danielsen Lie per dare vita a una pellicola dal grande impatto emotivo, che si ispira liberamente a Fuoco fatuo di Pierre Drieu La Rochelle e al successivo adattamento cinematografico realizzato da Louis Malle.
Anders, attualmente in un centro riabilitazione per tossicodipendenti, sta per concludere il suo percorso di guarigione; per questo motivo gli è concessa la possibilità di avere una giornata di libertà ad Oslo, in modo da incontrare vecchi amici e affrontare un colloquio lavorativo. Sui trentaquattro anni, bello, intelligente e con una famiglia benestante alla spalle, Anders è cosciente di aver sprecato buona parte della propria vita per colpa di uno stile di vita insostenibile e di avere deluso molte persone attorno a lui. Nonostante sia ancora giovane, sente che ha ormai perduto il suo posto nella società. Nelle ventiquattro ore che ha a disposizione, tra il trenta e il trentun agosto, cerca di fare un bilancio dei propri insuccessi e delle proprie speranze.
Joachim Trier situa il suo film nella capitale norvegese; Oslo diventa uno spazio in cui luoghi, rumori e distanze diventano fattori di una semiotica che tende a dividere e isolare l'individuo. Anders, anche se immerso nel magma pulsante della grande città, è solo e circondato da un silenzio metafisico che ricorda gli spazi urbani presenti nell'opera di Michelangelo Antonioni. Oslo, 31 agosto sembra infatti omaggiare un cinema europeo d'autore che, per quanto riguarda più precisamente lo stile, si approccia a registi come Bresson, Resnais e Godard; Trier afferma di «non copiare dai vecchi film, ma di sottoscriverne lo spirito, ovvero una forma libera di cinema che sappia lavorare sul linguaggio precipuo in modo da essere intellettuale ed emozionante».
Oslo, 31 agosto è un lavoro fatto di lunghi silenzi e grandi spazi in cui la macchina da presa si muove libera e segue il suo personaggio principale con ostinazione, fino a rivelarne ogni tratto somatico, ogni risata, ma anche i momenti d'abbandono. Lo stile asciutto e l'ottimo montaggio riescono davvero ad avvicinare l'opera di Trier a quel cinema la cui ricerca linguistica è tesa a produrre significato e non, contrariamente, un solipsistico compiacimento.
Il protagonista non è in precario equilibrio tra il crollo di vecchie sicurezze e l'avanzare di nuovi modelli non riconoscibili o accettati; Anders è piuttosto simbolo di una generazione cresciuta senza dover lottare per conquistare i propri spazi. Possiede certamente del talento (sa scrivere e anche molto bene), ma a causa della totale perdita di fiducia in se stesso fa di tutto per sprecarlo. L'opera del regista danese inizia con Anders che dopo aver passato la notte con una ragazza, al suo ritorno alla clinica, tenta un suicidio alquanto goffo, con cui comprendiamo quali siano le sue reali intenzioni una volta ritrovati i vecchi amici. Complice anche la totale assenza della famiglia – i genitori non sono intenzionati a incontrarlo e la sorella lo evita, facendogli però avere le chiavi di casa – Anders è solo e deve comprendere da sé il valore delle persone, degli oggetti e dei luoghi che lo circondano.
Siamo dalle parti di una generazione che, divisa tra l'accettazione e il rifiuto di una collocazione intelligibile all'interno del tessuto sociale, trova una terza via tutta imperniata sulla dissipazione delle proprie energie e capacità.
Non vi è chance di lasciare impronta di sé per chi perde fiducia nei propri mezzi. Il bravo Danielsen Lie, sul finire della splendida opera di Joachim Trier, “accompagna” il personaggio interpretato nella solitaria casa di famiglia e inizia a suonare un pezzo al pianoforte. A un tratto si interrompe e compie un gesto risolutore. Silenzio. A ritroso ci vengono poi mostrati i luoghi frequentati da Anders lungo tutto il film: non vi è alcuna traccia del suo passaggio. Solo il vuoto e, ancora una volta, silenzio.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Oslo, 31. august
Anno: 2011
Regia: Joachim Trier
Sceneggiatura: Joachim Trier, Eskil Vogt, Pierre Drieu La Rochelle
Fotografia: Jakob Ihre
Musiche: Torgny Amdam, Ola Fløttum
Durata: 95’
Attori principali: Anders Danielsen Lie, Hans Olav Brenner, Ingrid Olava

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