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EVERYDAY - Il tempo della vita

12/5/2013

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Everyday significa ogni giorno, e Michael Winterbottom (Jude) ha preso il termine quasi alla lettera.
L’opera è tutta incentrata sul quotidiano vivere di una famiglia inglese: Ian (John Simm, Wonderland, Life on Mars) è in prigione, mentre la moglie Karen (Shirley Henderson, Perdona e dimentica, Il diario di Bridget Jones) porta avanti e mantiene i loro quattro figli (gli interpreti sono fratelli anche nella vita), in attesa che il tempo della detenzione si esaurisca e che il nucleo possa tornare a ricomporsi, anche se la frattura è insanabile e si può solo accettarne le conseguenze. Ogni giorno. È come un mantra da ricordare allo spettatore, perché l’ordinarietà della descrizione di vita è quella di tutti, in cui ciascuno di noi può ritrovare qualcosa di sé.
Ogni giorno: il trantran del lavoro meccanico, la solitudine della madre di famiglia che fa la giocoliera per tenere tutto insieme, e poi lo stretto legame con i figli, appendice essenziale della coppia forzatamente separata. I problemi a scuola, la prima cotta, il taglio di capelli, gli invisibili passi della crescita che raramente vengono ricordati come momenti cruciali della vita ma che ne fanno parte, che ne sono la componente più vasta. Dall’altra parte, dalla parte di Ian, c’è la prigione. Al di là del muro, c’è la sospensione della vita, il tempo in stand-by, la sopravvivenza nell’ambiente claustrofobico, implacabile e stretto del carcere. Ai lati opposti di quell’everyday, Ian e Karen lottano individualmente ma anche come coppia perché il loro mondo, ora diviso, possa finalmente ricostruirsi. Come un puzzle. Oggi. Domani. Un giorno.
Non c’è da aspettarsi un ‘evento’. C’è da osservare, partecipare, attendere. Everyday non solo nel titolo ma anche nell’impianto è legato al senso di tempo, fuori e dentro il film. Come i personaggi vivono una quotidianità inessenziale, così lo fanno gli attori. Parte del fascino del film risiede nell’idea alla base di Everyday. Questa pellicola, infatti, si può considerare come un vero e proprio progetto, maturato e scadenzato come un esperimento di cui si attendono i risultati. Michael Winterbottom lo ha concepito nel corso di cinque lunghi anni, durante i quali ha ripreso gli attori per poche settimane e a momenti alterni, seguendone l’evoluzione, i cambiamenti fisici, di espressione, di comportamento. Chiaro che questo progressivo passaggio – addirittura impercettibile a un primo sguardo, così come lo sono i mutamenti del nostro stesso quotidiano – si riscontri con maggiore efficacia e nitidezza nell’osservazione dei piccoli protagonisti, figure critiche ed empatiche dell’intera vicenda.
Tempo. Ancora una volta. Il tempo fuori dallo schermo, il tempo della costruzione, della produzione, della realizzazione, che non tiene conto del vissuto dell’attore e di come questo possa influenzarne gli stati d’animo o i comportamenti, di fatto cambiando anche la percezione e l’interpretazione del personaggio. Ogni dettaglio nella composizione di Everyday corrisponde a una scelta quasi naturalistica. Il tempo è dilatato in quello indefinibile della vita.
Tempo che si contrae nella finzione scenica, quando il montaggio, ora invisibile ora netto, ci ricorda che questo è ciò che accade ogni giorno in un’esistenza comune, comunemente descritta, con tanta perizia diretta. La riflessione sulla crasi dell’esistenza a cavallo del film, tra la finzione e la sua realizzazione, porterebbe a riconsiderare Everyday anche alla luce della filosofia di Deleuze sull’immagine-tempo, ma anche sull’illusione di realtà creata dal cineasta. Il film ritrae il reale ma ne segmenta gli spazi e i tempi per ricondurre tutto a ciò che è vero nello schermo. Non nella vita.
L’ossessione di Winterbottom verso il tempo è scandita anche dalla delicata, minimale colonna sonora composta da Michael Nyman, le cui note suonano solo nel tempo di Karen e dei figli, mentre nello spazio angusto e freddo della prigione non vi è posto che per il silenzio, i rumori, gli incontri tra i detenuti e le loro famiglie, insieme felici e malinconici, intensi e inevitabilmente troppo brevi. La scelta di attori non convenzionali - i volti segnati, profondi, reali - conferisce quella sensazione di verità che spesso manca a quei film che, pur nelle migliori intenzioni, si affidano a facce popolari per garantire quel minimo di visibilità in più. Tuttavia, Everyday è un film di regia, il risultato di un ambizioso e complesso esperimento computo da un autore che ha il quadro esatto di cosa vuole e come ottenerlo.
Lo sguardo di Winterbottom non smette di essere critico della società – con la sua abbozzata ma cruda descrizione delle privazioni personali subite da chi è già privato della libertà – ma sa essere dolce, toccante, patetico senza mai toccare le corde della retorica. Il suo occhio quasi antropologico sull’evoluzione coglie lo scorrere degli anni, ma di più fotografa la parabola degli affetti, della crescita personale e morale; la parabola dell’amore che perdona, salvifico, paziente.

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Everyday
Regia: Michael Winterbottom
Sceneggiatura: Michael Winterbottom, Laurence Coriat
Attori: John Simm, Shirley Henderson, Shaun Kirk, Katrina Kirk, Robert Kirk, Stephanie Kirk
Musica: Michael Nyman
Durata: 106 min.
Fotografia: Sean Bobbit
Anno: 2012
Uscita italiana: --

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