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CANNES 2013 - La vie d'Adèle, il trionfo di Kechiche

26/5/2013

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Un trionfo annunciato, una vittoria che una volta tanto ha messo d'accordo (quasi) tutti. Questa mattina gli articoli degli inviati a Cannes decantavano il plebiscito che ha accompagnato La vie d'Adèle, di Abdellatif Kechiche, toccante storia d'amore lunga tre ore ed ebbra di fascino e lirismo drammaturgico: un coro unanime di consensi, al quale Spielberg e gli altri membri della giuria non hanno potuto e voluto sottrarsi. 
Una Palma d'Oro probabilmente sacrosanta, accompagnata da una standing ovation di tutta la sala al momento dell'annuncio, e dalle parole dello stesso autore, che ha voluto ricordare l'importanza del concetto di libertà, con riferimento anche e soprattutto alla sua Tunisia. Sul palco, insieme a lui, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos, delicate Muse e assolute protagoniste di un film che, con ogni probabilità, si conquisterà un posto tra i capolavori del 2013. 
In Francia uscirà nei cinema a ottobre, in Italia lo vedremo (si spera) subito dopo, distribuito da Lucky Red. Intanto, per il regista dei bellissimi La schivata, Cous Cous e Venere Nera, un successo netto e forse, per una volta, indiscutibile.

Alessio Gradogna

E Kechiche fu. A coronamento della sessantaseiesima edizione del festival di Cannes la Palma d’Oro va proprio al regista tunisino di Cous Cous e al suo La vie d’Adèle , uno tra i maggiori favoriti della vigilia e di sicuro uno dei film più apprezzati in assoluto della kermesse. Una scelta ottimale da parte di una giuria eccellente, che ha dato vita a uno di quei palmarès che alla fine di un festival si vorrebbero leggere sempre, praticamente senza sbavature e contraddistinto da un auspicabile equilibrio generale, dalle caselle giuste riempite nel modo giusto. “Un omaggio ai modi diversi di intendere il cinema”, per il presidente di giuria Steven Spielberg, un capoclasse sicuro e con le redini salde. "Su noi alcuna pressione, per dieci giorni non ho neppure aperto l'iPad. Tutti concordi sui tre premi maggiori". 
Un premio che riempie il cuore di gioia anche per la natura del titolo premiato, che rischia di incappare in una censura non indifferente per via delle molte scene di amore lesbico presenti. Una carnalità che però chi ha visto il film asserisce essere pudica, lieve, accorata, così vera e sentita da risultare solo sacrale e amorevole e mai volgare e accanita nonostante la lunghezza sconfinata di certe scene d’amore. "Questo film vorrei lo vedessero ovunque" , ha sentenziato Spielberg. Un riconoscimento che è anche delle due interpreti, belle e commoventi da star male. Il film è anche una loro creatura, plasmata direttamente sui loro corpi, sull’unione fortissima di due attrici ancor prima che di due personaggi
Il premio di miglior attrice è andato a Berenice Bejo per The Past di Asghar Farhadi. La Bejo, commossa e spiazzata e con accanto il compagno e regista premio Oscar Michel Hazanavicius, ha poi chiamato sul palco anche il suo regista tributandogli platealmente la dovuta gratitudine. Una scelta condivisibile anch’essa, visto che le due interpreti de La vie d’Adele non potevano essere premiate data la parallela vittoria della Palma d’Oro da parte del film. Miglior attore è il Bruce Dern di Nebraska, gran vecchia colonna: una Palma senz’altro nelle corde di Spielberg date le corde nostalgiche del film e del personaggio e la sua voglia candida e inattaccabile di continuare a seguire la sua personale fetta di sogno americano, anche se è un sogno rabberciato. 
Il premio della giuria va a Like father, like son di Kore-Eda, anch’esso film apprezzatissimo, e non può che suscitare un'immane gioia cinefila il Grand Prix ai fratelli Coen, una scelta deliziosa, che regala ai fratelli di Minneapolis un ulteriore riconoscimento in quel di Cannes che va ad impreziosire il loro già sconfinato bottino di premi internazionali. Jia Zhangke trionfa per la sceneggiatura, mentre è un po’ a sorpresa il messicano Heli ad aggiudicarsi il premio per la miglior regia. Del film, passato il primo giorno, si era parlato poco o nulla, più per la scena dei genitali dati alle fiamme che per altro. Un altro lavoro messicano a vincere lo stesso premio dopo il Post Tenebras Lux di Reygadas l’anno scorso. Un’altra opera presumibilmente eremitica ed estrema per stile registico anche se molto diversa dalla visione metafisica dell’autore di Battaglia nel cielo, per un premio che sta diventando sempre più un riconoscimento al radicale e rupestre coraggio di chi osa e forza i limiti di una regia classica e composta.
La sensazione è comunque quella di un palmarès oculato e calibrato, sicuramente più meritevole di lode rispetto a quello morettiano dell’anno scorso che aveva distillato qua e là qualche scelta discutibile. Molta stampa generalista si concentrerà ovviamente solo sull’assenza dal palmarès de La Grande Bellezza di Sorrentino, perché in fondo che importanza può mai avere parlare e promuovere il bel cinema deponendo l’ascia delle polemiche inutili, partitiche e pseudopatriottiche? Figuriamoci, fare autentica e appassionata promozione culturale sui film non interessa più a nessuno, quindi meglio rintanarsi nella solita litania dell’Italia a bocca asciutta. In quell’Italia che poi i premi li vince anche, con (il Grand Prix a Garrone l’anno scorso)  o senza (Cesare non deve morire dei Taviani a Berlino) personalità italiane in giuria, non è in fondo lecito aspettarsi che si dica poi molto altro. Dopotutto, parliamo sempre di un paese che a Venezia dà puntualmente addosso al film italiano malcapitato di turno in modo greve e discutibile, in cui se non si riduce tutto alla contesa tra tifoserie e al campanilismo becero che non è in grado di guardare oltre il proprio naso non si è contenti. Se un grandissimo regista come Sorrentino, uno dei migliori del nostro panorama nazionale e uno dei più grandi in Europa, non viene premiato per quello che tra l’altro non è neanche il suo film migliore né tantomeno un capolavoro irreprensibile, insomma, non è una tragedia.
In chiusura, chapeau a una cerimonia di chiusura tosta, rapida, secca, di gran classe e stringatezza. Da prendere ad esempio anche altrove. Vive Cannes, vive Kechiche.

Davide Eustachio Stanzione

Sezione di riferimento: News


PALMARES COMPLETO

Palma d’Oro al miglior film: La vie d’Adele, di Abdellatif Kechiche
Grand Prix Speciale della Giuria: Inside Llewyn Davis, di Joel & Ethan Coen
Prix d’interprétation féminine (migliore attrice): Berenice Bejo, per The Past
Prix d’interprétation masculine (miglior attore): Bruce Dern, per Nebraska 
Prix de la mise en scène (miglior regista): Amat Escalante, per Heli
Prix du scénario (miglior sceneggiatore): Jia Zhang-ke, per Touch of Sin
Premio della giuria: Like father, like Son, di Kore-Eda Hirokazu 
Camera d’Or (miglior opera prima di tutte le sezioni): Ilo Ilo, di Anthony Chen
Palma d’oro al miglior cortometraggio: Safe di Moon Byoung-Gon

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