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WELCOME TO NEW YORK - Il buio della dipendenza

22/5/2014

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Navigare oltre il limite. Sempre. Tagliando i ponti con le benevolenze, in una sfida verso l'iconoclastia portata avanti a testa alta, senza compromessi. Questo è il cinema di Abel Ferrara; lo era e ancora lo è, per fortuna, nonostante gli anni che passano e le mode che cambiano. 
Ci sentiamo di pronunciare una verità incontrovertibile, se diciamo che da lustri l'autore americano è una luce potente e indispensabile in un panorama talvolta asfittico e frenato da una coazione a ripetere che spesso soffoca ambizioni e fantasie. Ferrara se ne frega, oggi come agli esordi, gira ciò che vuole e come vuole, anche con budget risicati. Se poi il pubblico si scandalizza o si getta in veementi conati di rifiuto, tanto meglio: la sfida infinita contro il voler piacere a tutti i costi consiste anche in questo.
Dal sudiciume incrostato di The Driller Killer ai baci canini di Asia Argento in Go Go Tales, dai sogni disfatti di King of New York alle crisi mistiche dello strepitoso Mary, dai disfacimenti de Il cattivo tenente alla desacralizzazione estrema di The Funeral, il cinema di Abel Ferrara ci ha regalato nel tempo una vasta serie di personaggi indimenticabili, in una furente corsa verso il peccato e l'impossibile redenzione, il dolore del fallimento e le ferite della colpa. Oggi, all'alba del 2014, il maestro nato nel Bronx si prende in carico un altro morbo, un'altra malattia, un ennesimo viaggio verso la dannazione eterna: lo fa a suo modo, sputando negli occhi dello spettatore la strafottenza che da sempre lo contraddistingue e riuscendo a ottenere un risultato di invidiabile secchezza e qualità.
In Welcome to New York, presentato a Cannes 67 fuori da ogni competizione e poi distribuito direttamente in streaming online, con una nuova tipologia di commercializzazione volta a combattere la pirateria, Ferrara racconta il caso Strauss-Khan, che nel 2011 scandalizzò la Francia: il capo del Fondo Monetario Internazionale, uomo potentissimo e futuro candidato alla Presidenza, subì un'accusa di stupro da parte di una cameriera, provocando lo shock da parte dell'opinione pubblica e il definitivo disfacimento del suo matrimonio, già provato da vent'anni di reiterati tradimenti dovuti a una vera e propria ossessione nei confronti del sesso. 
Per mettere in scena la sua personalissima verità, Ferrara inizia il film rompendo qualsiasi regola di costruzione narrativa, grazie a un incipit in cui il suo protagonista, un enorme (in senso fisico) Gérard Depardieu, racconta in una (falsa) intervista i motivi per cui ha accettato di interpretare questo ruolo. Dopodiché, per quasi 40 minuti, Welcome to New York è un'immersione tra gli odori animaleschi del sesso, racchiusi in una suite d'hotel in cui il personaggio principale, rinominato Devereaux, accoglie in stanza prostitute d'alto rango per una lunga notte di orge e perversioni. 
Tra i confini di pareti intrise di umori ad alto contenuto erotico, Ferrara porta in scena una rappresentazione che solletica i confini del porno, con rapporti a due e a tre, giochi bagnati e glutei schiaffeggiati, baci saffici e accoppiamenti furiosi. Una vera giostra del sesso e del dominio, in cui Depardieu mostra senza remore tutta la flaccida essenza del suo attuale corpo, lanciandosi in assalti frontali a donne diventate oggetti di piacere da consumare sino allo sfinimento, e accompagnandosi con disgustosi versi onomatopeici, mugugni, rauchi muggiti e grufolamenti che lo trasformano in una creatura di infima e rivoltante bestialità. 
Non sappiamo se questi respingenti “suoni” siano stati pensati dall'autore o siano stati una brillante invenzione di Depardieu durante le riprese: ciò che è certo è la profonda significazione che essi assumono nel disegno disperato di un uomo totalmente succube della sua dipendenza. Ed è proprio quest'ultimo termine che accomuna Welcome to New York a un altro, meraviglioso capitolo della carriera di Ferrara, l'inarrivabile The Addiction, sublime capolavoro in cui Lili Taylor si contorceva senza posa nelle viscere della sua ossessione vampirica, inseguendo il bisogno di sangue alla stregua di una droga di cui non poter (più) assolutamente fare a meno.
Non pago della sua notte di bagordi, il mattino seguente Devereux aggredisce una cameriera di colore entrata nella sua stanza per fare le pulizie. Le chiede di fargli un pompino, lei rifiuta, lui insiste, lei urla e si dibatte; infine scappa, senza che le immagini ci diano la certezza o meno di uno stupro effettivamente avvenuto. Da quel momento il film cambia faccia, e assume connotazioni più schematiche (termine in questo caso tutt'altro che limitativo), dividendosi in una serie di capitoli impostati in maniera piuttosto equa e netta: le scene all'aeroporto JFK in cui Devereux viene fermato dalla polizia poco prima di lasciare il paese e tornare in Francia, il suo arresto, le successive ore passate dietro le sbarre, il rilascio sotto cauzione in libertà vigilata, e soprattutto la casa presa in affitto in cui trascorre gli arresti domiciliari. 
Tra quelle mura il banchiere vive con la moglie, trascorrendo noiose ore tra discussioni, bicchieri di vino, sigari e film di Truffaut. Giunta dalla Francia per mettere in moto tutte le possibili alternative utili per scagionare il marito dal rischio di una condanna, la compagna cerca di salvare ciò che ancora si può salvare, soffocando il ribrezzo provocatole da un uomo che non ha fatto altro che tradirla in mille occasioni adducendo come scusa la sua “malattia” verso la sessualità.
Nonostante il caos mediatico dovuto alla denuncia da parte della cameriera (unito a una precedente denuncia di aggressione da parte di una giovane giornalista), lo scandalo reale che il caso provocò in Francia fu la conseguenza di una realtà di cui tutti già sapevano. Gli stravizi di Strauss-Khan erano cosa assai nota, il processo venne alla fine archiviato in sede penale (ma con un risarcimento per la vittima in sede civile), e oggi il sessuomane è un importante consigliere e conferenziere, con tanto di nuova e attraente compagna e attivissima vita mondana, giusto per confermare come il potere possa spazzare via qualsiasi vero o presunto crimine. 
A Ferrara però il racconto cronachistico interessa fino a un certo punto: se infatti il film all'inizio pare descrivere con precisione e correttezza gli eventi, nella seconda parte l'autore devia verso un'accentuata rielaborazione che scivola nella proposizione di un'altra storia, incentrata sulla sopracitata dipendenza di Devereaux e sul rapporto con la moglie (una bravissima Jacqueline Bisset), donna sfibrata dall'amore verso un uomo che non ha alcuna intenzione di essere salvato, e in ogni caso tentata dall'opportunità di restargli accanto per difendere i propri interessi e i sogni di un futuro come première dame. Nessuno è dunque del tutto innocente, e la mostruosità non appartiene a un'unica parte in causa. 
Lontano dalle banalissime accuse di misoginia che qualcuno ha già insinuato, Ferrara descrive con impeccabile pulizia stilistica le paludi infernali di una lacerazione cosciente e consenziente, inoltrando nella messinscena una forte componente di autobiografismo, nel momento in cui lascia declamare al novello alter-ego Depardieu un tagliente e splendido monologo circondato dalla penombra della notte, nel quale Devereux conferma la sua dannazione sostenendo che dopo la morte andrà a “baciare il culo di Dio”; il tutto a poca distanza da un'altra sequenza topica, in cui infastidito dai richiami dei giornalisti assediati fuori dall'abitazione, il protagonista urla un chiaro “andatevene tutti affanculo” guardando direttamente dentro alla macchina da presa. In questi passaggi, se mai ce ne fosse stato bisogno, la carica autarchica di Ferrara trionfa in tutta la sua forza, girovagando intorno al senso ultimo di una redenzione impossibile confermata dall'ultima immagine, rivolta ancora in faccia alla cinepresa, in cui capiamo senza possibilità di errore come nulla è cambiato e nulla mai cambierà.
L'uomo vive nel regno del peccato, consapevole di commettere errori eppure schiavo del suo stesso bisogno di ripeterli; non c'è respiro in questo cupo viaggio verso l'auto-annientamento, né pentimento, né rimpianto. Siamo soldatini senza spina dorsale, in marcia sulla strada della distruzione. Abel Ferrara ce l'ha spiegato una volta di più, con lucidità ed efficacia, sbeffeggiando la morale comune come quasi nessuno ha più il coraggio di fare. E per questo gli siamo grati.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Extra


Scheda tecnica

Titolo originale: Welcome to New York
Regia: Abel Ferrara
Sceneggiatura: Abel Ferrara e Christ Zois
Montaggio: Anthony Redman
Fotografia: Ken Kelsch
Anno: 2014
Durata: 120'
Attori: Gérard Depardieu, Jacqueline Bisset, Marie Mouté, Pamela Afesi, Ronald Guttman

Disponibile in Video on demand dal 22 maggio su alcune delle principali piattaforme streaming italiane, tra cui Chili, Infinity, iTunes e Premium Play.

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