Essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte; la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali.
(L’immortale, Jorge Luis Borges)
L’eterna meraviglia del creato, l’innocenza delle sue creature, che vivono nell’inconsapevolezza della mortalità della vita, della sua finitezza, e per questo, forse, hanno un’esistenza più serena. Al contrario, l’uomo ha il dono della ragione, sin dalla sua nascita ha coscienza della morte, probabilmente unica certezza. Eppure, l’affanno e lo spasmo della ricerca verso l’immortalità è una tensione che l’umanità rincorre, sin dai suoi albori, in un modo o nell’altro; la spinta ad andare oltre la compiutezza di un percorso segnato è il sogno dell’uomo. Una spirale che, con movimenti elicoidali, gira su stessa alla ricerca di un centro senza mai trovarlo; eppure continua il suo movimento, ora lento, ora più frenetico; così la vita segna il ritmo di questa ossessione verso l’immortalità.
Spira Mirabilis, di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, giunta alla sua settantatreesima edizione. Lo spazio filmico è quello della spirale e prende ispirazione per il suo titolo dalla spirale meravigliosa del matematico Jakob Bernoulli, una curva logaritmica che, seppur crescendo, non cambia mai la propria forma e non raggiunge mai il suo polo, rimanendo, pertanto, senza fine e senza origine.
La natura è piena di curve spiraliformi, basti pensare alle galassie o ad alcune conchiglie, curve in continua evoluzione ma senza contrasti, che scorrono fluide nel loro divenire, nel loro prendere forma. La struttura narrativa di quest’ultima opera del duo D’Anolfi/Parenti è suddivisa in quattro capitoli, ognuno dei quali rappresenta uno degli elementi naturali, terra, acqua, fuoco e aria, che si sovrappongono, in una lenta evoluzione della materia e della sua creazione. Sullo sfondo il lavoro dell’uomo, che assembla, costruisce, crea, forgia la materia e ad essa unisce la spiritualità.
Dalle rocce di marmo prendono forma le statue angelicate che dalla terra sembrano levarsi verso il cielo, avvolte di luce, esse stesse parte di una natura matrigna buona e consolatoria, immerse tra gli alberi. Il biologo giapponese Shin Kubota racconta delle meduse, in grado di rigenerarsi, immortali per loro natura, sottratte alle leggi della natura nel loro ambiente, l’acqua. Il fuoco è invece rappresentato dalla lotta della tribù dei Lakota per la sopravvivenza, minacciati, sterminati e massacrati nel continuo conflitto con l’uomo bianco.
La fabbricazione di alcuni strumenti musicali accompagna tutto lo scorrere del film: modellati da mani esperte, compongono una sinfonia che raggiunge il suo lirismo più alto quando la musicalità culla il sonno e la veglia dei bambini, nati prematuramente, nelle incubatrici, perché forse la meraviglia della vita, seppur finita e mortale, risiede proprio nel miracolo della sua continua rinnovazione, nel vagito di una nuova creatura venuta al mondo. L’opera di D’Anolfi e Parenti è un battito d’ali in cui la poetica di fondo si rivolge direttamente al cuore dello spettatore, ricercando l’oltre, attraverso un complesso incastro narrativo e il concatenarsi dei quattro momenti, nel suo continuo divenire.
Il film è la messa in scena di un poema che è elogio della vita, della sua capacità di rigenerarsi nel tentativo di raggiungere l’immortalità, dove l’infinito assume diverse forme, spirituali e materiche, vincendo l’erosione del tempo, creando lirismi nella quotidianità, plasmando materie che sono cibo per l’anima, smarrendo lo sguardo dietro la corsa di un cavallo, tra i tentacoli di esseri minuscoli e fluttuanti, confondendosi nella voce di Marina Vlady che recita Borges e il suo Immortale, in un teatro che è ovunque, allo stesso tempo realtà e assenza di essa, perché così “accettiamo facilmente la realtà, forse perché intuiamo che nulla è reale” (Jorge Luis Borges).
Mariangela Sansone
Sezione di riferimento: Festival Venezia
Scheda tecnica
Regia: Massimo D'Anolfi, Martina Parenti
Cast: Marina Vlady, Leola One Feather, Felix Rohner & Sabina Schärer, Shin Kubota.
Fotografia: Massimo D'Anolfi
Montaggio: Massimo D'Anolfi, Martina Parenti
Musica: Massimo Mariani
Anno: 2016
Durata: 121'
(L’immortale, Jorge Luis Borges)
L’eterna meraviglia del creato, l’innocenza delle sue creature, che vivono nell’inconsapevolezza della mortalità della vita, della sua finitezza, e per questo, forse, hanno un’esistenza più serena. Al contrario, l’uomo ha il dono della ragione, sin dalla sua nascita ha coscienza della morte, probabilmente unica certezza. Eppure, l’affanno e lo spasmo della ricerca verso l’immortalità è una tensione che l’umanità rincorre, sin dai suoi albori, in un modo o nell’altro; la spinta ad andare oltre la compiutezza di un percorso segnato è il sogno dell’uomo. Una spirale che, con movimenti elicoidali, gira su stessa alla ricerca di un centro senza mai trovarlo; eppure continua il suo movimento, ora lento, ora più frenetico; così la vita segna il ritmo di questa ossessione verso l’immortalità.
Spira Mirabilis, di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, giunta alla sua settantatreesima edizione. Lo spazio filmico è quello della spirale e prende ispirazione per il suo titolo dalla spirale meravigliosa del matematico Jakob Bernoulli, una curva logaritmica che, seppur crescendo, non cambia mai la propria forma e non raggiunge mai il suo polo, rimanendo, pertanto, senza fine e senza origine.
La natura è piena di curve spiraliformi, basti pensare alle galassie o ad alcune conchiglie, curve in continua evoluzione ma senza contrasti, che scorrono fluide nel loro divenire, nel loro prendere forma. La struttura narrativa di quest’ultima opera del duo D’Anolfi/Parenti è suddivisa in quattro capitoli, ognuno dei quali rappresenta uno degli elementi naturali, terra, acqua, fuoco e aria, che si sovrappongono, in una lenta evoluzione della materia e della sua creazione. Sullo sfondo il lavoro dell’uomo, che assembla, costruisce, crea, forgia la materia e ad essa unisce la spiritualità.
Dalle rocce di marmo prendono forma le statue angelicate che dalla terra sembrano levarsi verso il cielo, avvolte di luce, esse stesse parte di una natura matrigna buona e consolatoria, immerse tra gli alberi. Il biologo giapponese Shin Kubota racconta delle meduse, in grado di rigenerarsi, immortali per loro natura, sottratte alle leggi della natura nel loro ambiente, l’acqua. Il fuoco è invece rappresentato dalla lotta della tribù dei Lakota per la sopravvivenza, minacciati, sterminati e massacrati nel continuo conflitto con l’uomo bianco.
La fabbricazione di alcuni strumenti musicali accompagna tutto lo scorrere del film: modellati da mani esperte, compongono una sinfonia che raggiunge il suo lirismo più alto quando la musicalità culla il sonno e la veglia dei bambini, nati prematuramente, nelle incubatrici, perché forse la meraviglia della vita, seppur finita e mortale, risiede proprio nel miracolo della sua continua rinnovazione, nel vagito di una nuova creatura venuta al mondo. L’opera di D’Anolfi e Parenti è un battito d’ali in cui la poetica di fondo si rivolge direttamente al cuore dello spettatore, ricercando l’oltre, attraverso un complesso incastro narrativo e il concatenarsi dei quattro momenti, nel suo continuo divenire.
Il film è la messa in scena di un poema che è elogio della vita, della sua capacità di rigenerarsi nel tentativo di raggiungere l’immortalità, dove l’infinito assume diverse forme, spirituali e materiche, vincendo l’erosione del tempo, creando lirismi nella quotidianità, plasmando materie che sono cibo per l’anima, smarrendo lo sguardo dietro la corsa di un cavallo, tra i tentacoli di esseri minuscoli e fluttuanti, confondendosi nella voce di Marina Vlady che recita Borges e il suo Immortale, in un teatro che è ovunque, allo stesso tempo realtà e assenza di essa, perché così “accettiamo facilmente la realtà, forse perché intuiamo che nulla è reale” (Jorge Luis Borges).
Mariangela Sansone
Sezione di riferimento: Festival Venezia
Scheda tecnica
Regia: Massimo D'Anolfi, Martina Parenti
Cast: Marina Vlady, Leola One Feather, Felix Rohner & Sabina Schärer, Shin Kubota.
Fotografia: Massimo D'Anolfi
Montaggio: Massimo D'Anolfi, Martina Parenti
Musica: Massimo Mariani
Anno: 2016
Durata: 121'