Kim Ki-duk scrive e produce, l’esordiente Lee Ju-hyoung dirige: il risultato non è una pallida imitazione del cinema del grande regista e produttore, ma fortunatamente si rivela una piccola, preziosa opera prima sul tema del conflitto insanabile tra le due Coree.
Red Family è la storia di un gruppo di persone che deve fingersi famiglia: dal momento che i loro cari sono infatti prigionieri del governo del Nord, si ritrovano costretti a svolgere il compito di agenti sotto copertura nella vicina Corea del Sud, effettuando atti di spionaggio e omicidi su commissione. I legami e le tensioni raggiungeranno il punto di non ritorno quando verranno a contatto con la disastrata famiglia dei loro vicini di casa, con conseguenze irreparabili per chiunque. Un argomento indubbiamente delicato, condotto con sapienza e mano leggera dal giovane regista esordiente: Red Family ricorda la freschezza della tradizione della grande commedia all’italiana, quando i drammi della Storia si incrociavano con le vite delle persone comuni scatenando un irresistibile attrito tra la drammaticità degli eventi e la leggerezza dello sguardo.
La chiave del successo del film è questa, in fondo: quello che interessa maggiormente a Lee Ju-hyoung è la componente umana della vicenda, realizzando così un piccolo gioiello poetico sulla ricerca della felicità in condizione assolutamente avverse. Ogni membro della sua famiglia improvvisata è infatti alla ricerca di un qualcosa che è andato perduto: una figlia, una moglie, una sorella, un nipote. Tutti troveranno nella bizzarra compagnia del vicinato un appiglio al quale reggersi per sopravvivere, anche se questo comporterà una drammatica inversione di rotta. Il giovane regista è bravo ad alternare i vari registri, e anche se in alcuni momenti non riesce ad evitare che faccia capolino la retorica (la canzone Arirang nel prefinale, vero e proprio marchio di fabbrica di Kim Ki-duk), il suo film si dimostra comunque in grado di emozionare in maniera sentita e sincera.
Al centro di tutto, ovviamente, c’è ancora la famiglia, tema quantomeno ricorrente all’interno di questa cinematografia; quella vera, reale, dei vicini è disastrata e sempre sul punto di collassare. Quella fittizia invece è apparentemente perfetta, in completa linea con l’ideologia di un regime che impone una disciplina irreprensibile come le pieghe della divisa militare, ma incapace di trasmettere emozioni vere. E da qui, ovviamente, il dualismo tra le due Coree e le rispettive visioni del mondo: pensieri diversi e contrapposti, capaci però di un piccolissimo, flebile punto di unione rappresentato dalle parole dei due ragazzi più giovani, durante la sequenza della cena.
Un film che predilige il cuore alla politica, che non vuole esaurire un argomento così vasto e complesso ma, al contrario, utilizza lo strumento del sorriso come arma rivolta contro la repressione e la mancanza di libertà: perché in Red Family si ride, ma è un divertimento di quelli che fanno male.
Giacomo Calzoni
Sezione di riferimento: Torino 31
Scheda tecnica
Titolo originale: Bulg-eun Gajog
Regia: Lee Ju-hyoung
Sceneggiatura: Kim Ki-duk
Fotografia: Lee Chun-hee
Attori: Kim Yumi, Jung Woo, Son Byeong-ho, Park So-young
Anno: 2013
Durata: 99’
Red Family è la storia di un gruppo di persone che deve fingersi famiglia: dal momento che i loro cari sono infatti prigionieri del governo del Nord, si ritrovano costretti a svolgere il compito di agenti sotto copertura nella vicina Corea del Sud, effettuando atti di spionaggio e omicidi su commissione. I legami e le tensioni raggiungeranno il punto di non ritorno quando verranno a contatto con la disastrata famiglia dei loro vicini di casa, con conseguenze irreparabili per chiunque. Un argomento indubbiamente delicato, condotto con sapienza e mano leggera dal giovane regista esordiente: Red Family ricorda la freschezza della tradizione della grande commedia all’italiana, quando i drammi della Storia si incrociavano con le vite delle persone comuni scatenando un irresistibile attrito tra la drammaticità degli eventi e la leggerezza dello sguardo.
La chiave del successo del film è questa, in fondo: quello che interessa maggiormente a Lee Ju-hyoung è la componente umana della vicenda, realizzando così un piccolo gioiello poetico sulla ricerca della felicità in condizione assolutamente avverse. Ogni membro della sua famiglia improvvisata è infatti alla ricerca di un qualcosa che è andato perduto: una figlia, una moglie, una sorella, un nipote. Tutti troveranno nella bizzarra compagnia del vicinato un appiglio al quale reggersi per sopravvivere, anche se questo comporterà una drammatica inversione di rotta. Il giovane regista è bravo ad alternare i vari registri, e anche se in alcuni momenti non riesce ad evitare che faccia capolino la retorica (la canzone Arirang nel prefinale, vero e proprio marchio di fabbrica di Kim Ki-duk), il suo film si dimostra comunque in grado di emozionare in maniera sentita e sincera.
Al centro di tutto, ovviamente, c’è ancora la famiglia, tema quantomeno ricorrente all’interno di questa cinematografia; quella vera, reale, dei vicini è disastrata e sempre sul punto di collassare. Quella fittizia invece è apparentemente perfetta, in completa linea con l’ideologia di un regime che impone una disciplina irreprensibile come le pieghe della divisa militare, ma incapace di trasmettere emozioni vere. E da qui, ovviamente, il dualismo tra le due Coree e le rispettive visioni del mondo: pensieri diversi e contrapposti, capaci però di un piccolissimo, flebile punto di unione rappresentato dalle parole dei due ragazzi più giovani, durante la sequenza della cena.
Un film che predilige il cuore alla politica, che non vuole esaurire un argomento così vasto e complesso ma, al contrario, utilizza lo strumento del sorriso come arma rivolta contro la repressione e la mancanza di libertà: perché in Red Family si ride, ma è un divertimento di quelli che fanno male.
Giacomo Calzoni
Sezione di riferimento: Torino 31
Scheda tecnica
Titolo originale: Bulg-eun Gajog
Regia: Lee Ju-hyoung
Sceneggiatura: Kim Ki-duk
Fotografia: Lee Chun-hee
Attori: Kim Yumi, Jung Woo, Son Byeong-ho, Park So-young
Anno: 2013
Durata: 99’