Inside Llewyn Davis, che è valso ai fratelli Coen il Grand Prix della giuria al Festival di Cannes 2013, prende il via in primo luogo dalla loro personale passione per la musica folk, dunque una nicchia delimitata in modo specifico. La figura di Llewyn Davis (ottima l’interpretazione di Oscar Isaac, qui di nuovo al fianco di Carey Mulligan dopo il ruolo di Standard, il marito di Irene, in Drive) è ispirata a quella del cantautore Dave Van Ronk, scomparso nel 2002, e alla sua autobiografia, pubblicata dopo la sua morte; il titolo del film si rifà a quello di un album dell’artista, Inside Dave Van Ronk.
Il ritratto di Davis va di pari passo con quello della scena musicale folk del Greenwich Village newyorkese all’inizio degli anni ’60, lo stesso humus culturale che ha visto l’ascesa di Bob Dylan, a cui si fa riferimento nella figura di un cantautore che sale sul palco subito dopo il protagonista. Il destino di Davis però è stato ben diverso: già parte di un duo insieme all’amico Mike, galleggiando sempre nella mediocrità di una fama minuscola, tenta la carriera solista dopo il suicidio dell’ex partner, evento che lo segna irrimediabilmente.
Llewyn incide per la piccola etichetta gestita dall’anziano Mel (Jerry Grayson, qui alla sua ultima interpretazione prima della scomparsa), discografico caotico e un po’ cialtrone; il personaggio del cantautore è spigoloso, irascibile, sarcastico, estremamente idealista e non disposto al compromesso. Ogni cosa pare andare nel verso sbagliato ma, in realtà, è lui stesso l’artefice dei propri fallimenti: sostanzialmente immaturo, perennemente ospitato sul divano di qualcuno e sempre squattrinato, Davis incarna lo stereotipo dell’artista bohemien a tutto tondo, con un eccesso di retorica che finisce per sconfinare in una vena moralistica che risulta fastidiosa.
La presenza felina del film, Ulisse, il micio dei Gorfein, coppia di facoltosi intellettuali del Village che ospita Llewyn probabilmente più per moda (dopotutto, è un artista) che per reale affetto, ha un ruolo diverso rispetto alle precedenti pellicole dei due registi: il gatto è spesso centrale nelle produzioni dei Coen, quasi una figura chiave, mentre qui appare più un pretesto narrativo che un filo conduttore. Davis ha non pochi problemi anche nei rapporti interpersonali, in primis con le donne, ad esempio Jean (Carey Mulligan) sposata con un suo amico, Jim (Justin Timberlake), il che però non ha impedito ai due di finire a letto insieme con una conseguenza che potrebbe essere ingombrante.
L’audizione improvvisata al cospetto di Bud Grossmann (vedere recitare F. Murray Abraham fa sempre piacere) che potrebbe lanciarlo definitivamente, si rivela anch’essa fallimentare: “ciò che canti, ormai, è vecchio”. Un sorta di epitaffio psicologico per Llewyn, non uno sprone al cambiamento bensì un’ulteriore spinta verso il basso.
Inside Llewyn Davis, nonostante stia ricevendo molte critiche entusiastiche, è per lo più un esercizio di stile, impeccabile nella tecnica e nella confezione, ma privo di una vera anima, di quel cuore pulsante che caratterizzava le pellicole più riuscite degli autori; è come se il narrato rimbalzasse su un muro prima di arrivare allo spettatore, non giungendo così in maniera diretta. In tutto questo però, ci sarebbe un solo, unico motivo per vedere il film: il ritorno di John Goodman davanti alla macchina da presa dei Coen. Il lasso di tempo, pur se relativamente breve, occupato dall’ingombrante e istrionica presenza dell’attore sullo schermo, col suo accento impastato, le battute caustiche, la fisicità unica, vale probabilmente l’intera pellicola, e ne rappresenta il lato più autentico e viscerale.
Un lavoro egregiamente eseguito, che ha i suoi buoni momenti ma con una freddezza di fondo che non può convincere e, soprattutto, non è in grado di coinvolgere.
Chiara Pani
Sezione di riferimento: Torino 31
Scheda tecnica
Titolo originale: Inside Llewyn Davis
Anno: 2013
Regia: Joel e Ethan Coen
Sceneggiatura: Joel e Ethan Coen
Fotografia: Bruno Delbonnel
Musiche: T-Bone Burnett
Durata: 105’
Uscita in Italia: 20 Febbraio 2014
Interpreti principali: Oscar Isaac, Carey Mulligan, Justin Timberlake, Max Casella, Ethan Phillips, John Goodman
Il ritratto di Davis va di pari passo con quello della scena musicale folk del Greenwich Village newyorkese all’inizio degli anni ’60, lo stesso humus culturale che ha visto l’ascesa di Bob Dylan, a cui si fa riferimento nella figura di un cantautore che sale sul palco subito dopo il protagonista. Il destino di Davis però è stato ben diverso: già parte di un duo insieme all’amico Mike, galleggiando sempre nella mediocrità di una fama minuscola, tenta la carriera solista dopo il suicidio dell’ex partner, evento che lo segna irrimediabilmente.
Llewyn incide per la piccola etichetta gestita dall’anziano Mel (Jerry Grayson, qui alla sua ultima interpretazione prima della scomparsa), discografico caotico e un po’ cialtrone; il personaggio del cantautore è spigoloso, irascibile, sarcastico, estremamente idealista e non disposto al compromesso. Ogni cosa pare andare nel verso sbagliato ma, in realtà, è lui stesso l’artefice dei propri fallimenti: sostanzialmente immaturo, perennemente ospitato sul divano di qualcuno e sempre squattrinato, Davis incarna lo stereotipo dell’artista bohemien a tutto tondo, con un eccesso di retorica che finisce per sconfinare in una vena moralistica che risulta fastidiosa.
La presenza felina del film, Ulisse, il micio dei Gorfein, coppia di facoltosi intellettuali del Village che ospita Llewyn probabilmente più per moda (dopotutto, è un artista) che per reale affetto, ha un ruolo diverso rispetto alle precedenti pellicole dei due registi: il gatto è spesso centrale nelle produzioni dei Coen, quasi una figura chiave, mentre qui appare più un pretesto narrativo che un filo conduttore. Davis ha non pochi problemi anche nei rapporti interpersonali, in primis con le donne, ad esempio Jean (Carey Mulligan) sposata con un suo amico, Jim (Justin Timberlake), il che però non ha impedito ai due di finire a letto insieme con una conseguenza che potrebbe essere ingombrante.
L’audizione improvvisata al cospetto di Bud Grossmann (vedere recitare F. Murray Abraham fa sempre piacere) che potrebbe lanciarlo definitivamente, si rivela anch’essa fallimentare: “ciò che canti, ormai, è vecchio”. Un sorta di epitaffio psicologico per Llewyn, non uno sprone al cambiamento bensì un’ulteriore spinta verso il basso.
Inside Llewyn Davis, nonostante stia ricevendo molte critiche entusiastiche, è per lo più un esercizio di stile, impeccabile nella tecnica e nella confezione, ma privo di una vera anima, di quel cuore pulsante che caratterizzava le pellicole più riuscite degli autori; è come se il narrato rimbalzasse su un muro prima di arrivare allo spettatore, non giungendo così in maniera diretta. In tutto questo però, ci sarebbe un solo, unico motivo per vedere il film: il ritorno di John Goodman davanti alla macchina da presa dei Coen. Il lasso di tempo, pur se relativamente breve, occupato dall’ingombrante e istrionica presenza dell’attore sullo schermo, col suo accento impastato, le battute caustiche, la fisicità unica, vale probabilmente l’intera pellicola, e ne rappresenta il lato più autentico e viscerale.
Un lavoro egregiamente eseguito, che ha i suoi buoni momenti ma con una freddezza di fondo che non può convincere e, soprattutto, non è in grado di coinvolgere.
Chiara Pani
Sezione di riferimento: Torino 31
Scheda tecnica
Titolo originale: Inside Llewyn Davis
Anno: 2013
Regia: Joel e Ethan Coen
Sceneggiatura: Joel e Ethan Coen
Fotografia: Bruno Delbonnel
Musiche: T-Bone Burnett
Durata: 105’
Uscita in Italia: 20 Febbraio 2014
Interpreti principali: Oscar Isaac, Carey Mulligan, Justin Timberlake, Max Casella, Ethan Phillips, John Goodman