ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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TORINO 31 - Frances Ha, di Noah Baumbach

27/11/2013

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Frances è ventisettenne e vive a New York. La sua vita è segnata da un senso di incompiutezza e precarietà: aspirante ballerina, è per ora solo consulente in una compagnia e si sposta da un appartamento e relativa zona cittadina a un altro, con brevi viaggi a fare da parentesi (a Sacramento dai genitori, a Parigi in solitaria). Esce da una relazione e il rapporto con la sua migliore amica di nome Sophie rischia di allentarsi quando questa parte per il Giappone col fidanzato Patch. Con pochi soldi in tasca (tant'è che un rimborso di tasse si trasforma in un piccolo evento), ma con uno spirito vitale, un modo di essere al mondo difficilmente incrinabili, Frances vive bene le sue giornate, in attesa di uno scatto in avanti verso una realizzazione. 
Transitato, con riscontri positivi, in numerosi festival mondiali (Berlino compreso) prima di essere meritoriamente scelto anche a Torino, Frances Ha (il perché del titolo si scopre alla fine) potrebbe diventare un cult movie. Scritto dal regista insieme alla protagonista Greta Gerwig, è anche e soprattutto un veicolo attoriale o, se la si vuole porre in modo più poetico, un film costruito da Baumbach con e per la sua musa artistica. Ma non è un male, perché è difficile non rimanere almeno un po' conquistati dal personaggio e dall'attrice che lo incarna, così come ci va uno sforzo di lucidità per non tramutarsi in cinefili che confondono troppo realtà e schermo: la Gerwig ha infatti dichiarato che c'è molto di lei in Frances, pur trattandosi di pura fiction. 
Anima indipendente ma con una visione della vita come un'esperienza resa ricca dagli affetti, aggraziata nel suo essere un po' sgraziata, estroversa con stile, Frances balla, corre a modo suo per le strade newyorchesi, ci fa ridere, compie gesti e dice cose goffe, in un film (dovrebbe arrivare anche in Italia a inizio 2014 per la neonata Whale Pictures, ma il consiglio di cercarlo in originale è inevitabile) composto di molte parole, anche se il personaggio non ha veri e propri monologhi. Nonostante venga definita più volte, da se stessa e da un amico-coinquilino-possibile compagno “undatable”, per il suo essere eccentrica, svagata, non inquadrata e lievemente imbarazzante, è un personaggio (limitiamoci a dire personaggio...) per il quale non si può non provare una notevole empatia.
Ma al di là della protagonista, si tratta di un film che merita un giudizio positivo anche per quanto riguarda le scelte realizzative e stilistiche. Nel filmare, in bianco e nero, l'esistenza dei suoi giovani personaggi “wannabe” artisti, Baumbach, in controtendenza, non cerca l'effetto “rubato”. Niente camera a mano tremolante ma inquadrature perlopiù semplici, aderenti al profilmico ma studiate, evitando quando possibile stacchi e movimenti di macchina. Non c'è nulla di quanto messo in scena che sembri affrettato e al tempo stesso non c'è (quasi) nulla che sembri stare dove sta in funzione della macchina da presa. Il risultato è caratterizzato da una naturalezza realistica, ricercata però (Gerwig dixit) attraverso un lungo lavoro preparatorio e una sceneggiatura precisa. Nei suoi dialoghi a base di small talk, progetti di vita e un po' di sesso, il film evita anche abbastanza bene la trappola di una brillantezza ostentata e stucchevole, mentre arriva senza fatica il coinvolgimento dello spettatore con la protagonista, i luoghi che attraversa e le sue sensazioni (ad esempio, la scena in cui Frances, in taxi, torna da una trasferta poco riuscita ascoltando un messaggio tardivo).
Non necessariamente un grande film Frances Ha, ma uno che sbaglia ben poco, nel quale si respira positività, che si fa voler bene e da cui si esce bene – in tutti i sensi, con le note di Modern Love di Bowie – , aperto alla vita senza mostrarne i lati peggiori ma nemmeno raccontando favole, con un abile minimalismo che va a comporre un modello esistenziale solo apparentemente strampalato. 

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Torino 31


Scheda tecnica

Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura: Noah Baumbach, Greta Gerwig
Fotografia: Sam Levy
Interpreti: Greta Gerwig, Mickey Sumner, Michael Espner, Adam Driver
Anno: 2012
Durata: 86'

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TORINO 31 - Big Bad Wolves, di A.Keshales e N.Papushado

25/11/2013

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Dopo la buona accoglienza ottenuta al Tribeca Film Festival, approda anche a Torino Big Bad Wolves di  Aharon Keshales e  Navot Papushado (Rabies), revenge movie che lavora sulle coordinate tra i generi e sulla loro interscambiabilità. 
Dopo un violento interrogatorio culminato con una serie di sevizie e torture, la polizia è costretta a rilasciare il principale sospettato per il rapimento e l’omicidio di una bambina, un timido professore di religione. Uno dei detective però è talmente convinto della sua colpevolezza da pedinarlo e agire per conto proprio, fino a quando non verrà coinvolto nel folle piano criminale ordito dal padre della bambina uccisa. 
Comincia quasi come un Mystic River israeliano, seriorissimo e nerissimo, per poi lasciarsi progressivamente contaminare da toni grotteschi al limite della commedia. Keshales e Papushado dimostrano una competenza tecnica fuori dal comune, sottolineando la componente drammatica della prima parte con tutta una serie di soluzioni stilistiche (largo uso di carrelli, dolly e colonna sonora pomposa) talmente ossessive da risultare addirittura stucchevoli: progressivamente però lasciano intravedere i reali intenti alla base dell’operazione, trasformando il noir in farsa, la violenza in assurdità e il dramma in grand guignol. 
Big Bad Wolves si rivela quindi una sorta di cinema da camera, a metà tra Le iene e un kammerspiel Polanskiano (e non è un caso che il film sia stato apprezzato moltissimo da Quentin Tarantino), che forse si rivela più interessante da un punto di vista sociopolitico che non da quello metalinguistico: dietro gli sviluppi di questo teatro delle crudeltà si nasconde infatti uno sguardo sulla violenza della società mediorientale e sulle dinamiche che nascono e si sviluppano all’interno di essa. L’ironia dei personaggi e dei loro dialoghi arriva  a coinvolgere il rapporto tra ebrei e musulmani, tra vittima e carnefice, tra violenza che genera, inevitabilmente, altra violenza. Tutto però resta molto sulla superficie, fermandosi al livello primordiale della battuta e della risata facile, inserito all’interno di una struttura orchestrata con una certa perizia tecnica e un ritmo sostenuto che, sulle prime, sembrano attribuire al film più pregi di quanto effettivamente meriti; non sempre infatti l’alternanza dei vari registri prosegue in maniera così libera e folle come a tratti ambirebbe ad essere. 
Il film di Keshales e Papushado si arresta così ai nastri di partenza, risultando un prodotto (almeno parzialmente) fuori dagli schemi, e che non sempre trova nell’assurdo e nel grottesco la giusta chiave di lettura di un mondo impazzito e fuori controllo, nel quale la violenza è l’unico linguaggio comprensibile e dove la verità non si conferma mai per quello che sembra apparire in un primo momento (il dettaglio rivelatore nel finale).

Giacomo Calzoni

Sezione di riferimento: Torino 31


Scheda tecnica

Titolo originale: Mi mefahed mezeev hara
Regia: Aharon Keshales, Navot Papushado
Sceneggiatura: Aharon Keshales, Navot Papushado
Attori: Lior Ashkenazi, Tzahi Grad, Doval'e Glickman, Rotem Keinan
Musiche: Haim Frank Ilfman
Fotografia: Giora Bejach
Anno: 2013
Durata: 110'

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TORINO 31 – The Conspiracy, di Christopher MacBride

23/11/2013

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Siamo tutti schiavi. Vittime inconsapevoli. Burattini al servizio di entità che non possiamo vedere. Men che meno controllare. Tutto ciò che facciamo e scriviamo è sotto osservazione. Il Grande Fratello è sopra di noi, in ogni istante. Perfino la maggior parte delle sciagure più disastrose che accadono nel mondo sono decise a tavolino. I potenti della Terra sono membri di una società segreta chiamata Tarsus, espansa a livello globale e seguace dell'antichissimo culto di Mitra. Si riuniscono periodicamente, e in questi incontri di cui la gente comune nemmeno sospetta decidono il nostro destino.
Questa è l'amara verità, o almeno è ciò che Christopher MacBride vorrebbe farci credere nel suo The Conspiracy, presentato nella Festa Mobile durante la prima giornata del Torino Film Festival. Due giovani registi girano un documentario dedicato a un uomo che cerca di rivelare al popolo ciò che i membri della “setta” cercano di occultare; quando però all'improvviso l'attivista scompare, i due gli si sostituiscono, e poco alla volta ricompongono le tessere delle sue ricerche; successivamente riescono a contattare un giornalista che forse sa qualcosa in più rispetto al Tarsus, si ossessionano all'argomento, e mettono in gioco le loro stesse vite per riuscire a infiltrarsi a una delle riunioni dei potenti, con lo scopo di filmare ciò che nessuno ha mai visto.
Il mockumentary è un genere ormai diffuso a macchia d'olio, nel guado dell'horror e non soltanto. Una vera e propria moda, capace di generare prodotti di notevole livello (District 9, Lake Mungo, Cloverfield) alternati a scempiaggini inqualificabili (L'ultimo esorcismo). A qualche anno da un'esplosione dirompente e incontrollata, la tendenza accusa ormai evidenti segni di stanchezza, anche se qualcosa di buono ancora talvolta affiora (l'ottimo e inquietante The Bay). Il lavoro del canadese MacBride tenta di riattualizzare lo schema di riferimento, con l'ambizione di mettere in gioco tematiche globali per rappresentare la ricostruzione di (finti) avvenimenti in grado di dirigere la vita di ognuno di noi; per dare corpo al suo intento, il (vero) regista dà tutto in mano a due (finti) scriteriati filmmakers, vagamente stupidi e senz'altro poco simpatici, cercando di comporre una stratificazione narrativa che riesca a prendere per mano lo spettatore sino a trascinarlo nell'ultima e decisiva mezz'ora.
Obiettivo centrato? Non proprio. Nonostante una certa tensione di fondo, acuita dalle immancabili e fantasiose riprese in tempo reale, per fortuna meno traballanti rispetto ad altri insopportabili prodotti simili, The Conspiracy in più occasioni inciampa in soluzioni raffazzonate e totalmente non credibili (il modo in cui i due protagonisti riescono a entrare di soppiatto nella villa dove si svolge la riunione della setta). Se poi la prima ora risulta preparatoria all'atto conclusivo, la buona corposità sensoriale di quest'ultimo è in parte vanificata da un epilogo a mezz'aria, in cui MacBride pare non avere il coraggio di scavare davvero oltre quella soglia che ci aveva lasciato intravedere. Ne risulta così un'operazione irrisolta, timorosa, con un discreto potenziale non sfruttato fino in fondo, nonché troppo citazionista e derivativa, tanto che il convitto del Tarsus pare quasi la copia (povera) dell'indimenticabile rituale orgiastico di Eyes Wide Shut, maschere comprese.
Definito nella sinossi festivaliera un “horror satanista” (?), chissa poi in base a cosa, The Conspiracy a conti fatti conferma la saturazione di un genere che, felici eccezioni a parte, sembra ormai aver quasi esaurito le sue suggestioni.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Torino 31


Scheda tecnica

Regia e sceneggiatura: Christopher MacBride
Anno: 2012
Durata: 84'
Fotografia: Ian Anderson 
Montaggio: Adam Locke-Norton, Christopher MacBride
Musiche: Darren Baker 
Attori: Aaron Poole, Jim Gilbert, Ian Anderson

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TORINO 31 - Il programma ufficiale

6/11/2013

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Sì, adesso lo possiamo dire: il Torino Film Festival conserva la sua identità. A essere sinceri, qualche lieve timore nei mesi scorsi si era palesato, nel momento in cui il neodirettore Paolo Virzì aveva espresso il desiderio di dare vita a un evento più popolare, dando maggiore spazio ai gusti del pubblico. Studiando però il programma completo, ufficializzato dopo la conferenza stampa di presentazione, è facile notare come lo spirito unico e irresistibile del festival torinese, improntato sulla qualità e la sostanza, sia rimasto pressoché inalterato.
Virzì è stato di parola: sono aumentati i titoli ad ampio consumo, così come è cresciuta la presenza del cinema italiano. Ma questo non ha impedito allo staff guidato da Emanuela Martini di costruire un cartellone di alto livello, con numerosissime pellicole d'autore e proposte adatte a ogni tipo di spettatore, in continuità con le edizioni (e le gestioni) precedenti. 185 film, molti dei quali in anteprima mondiale; sezioni confermate e altre rinnovate; un programma leggermente snellito rispetto agli ultimi anni ma sempre densissimo; tanto spazio per la ricerca, la diversità di linguaggi e l'originalità.
Il Concorso Ufficiale prevede 14 pellicole (non più 16), con le quali indagare tra dramma e sorrisi tra le pieghe sociali e culturali della contemporaneità: ben tre i film francesi presenti (tra cui 2 Automnes 3 Hivers di Betbeder), due italiani (La mafia uccide solo d'estate di Pif e Il treno va a Mosca di Ferrone/Manzolini), e rappresentanze sparse dal resto del mondo, con titoli sulla carta intriganti come il venezuelano Pelo Malo (vincitore a San Sebastian), l'americano Blue Ruin e il "pugno nello stomaco" giapponese A Woman and War. 
La sezione Festa Mobile, un pochino meno espansa rispetto al passato, è come sempre un contenitore debordante in cui trova spazio un po' di tutto, con titoli di primissimo piano tra cui non si possono non citare All is Lost di J.C. Chandor, Frances Ha di Noah Baumbach (passato con grande successo a Berlino), Ida di Pawel Pawlikowski (autore qualche anno fa del bellissimo My Summer of Love), Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen (applaudito a Cannes 2013) e il vampirico Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch (imperdibile). Tra loro poi anche Prince Avalanche di David Gordon Green (remake dell'islandese Either Way, vincitore proprio al TFF due anni fa), il francese Suzanne (con Sarah Forestier), e il cupissimo film indiano Ugly.
La sezione Onde non manca di riconfermare la sua essenza rivolta al puro cinema di qualità: a un primo sguardo spiccano l'omaggio alla vitalità del cinema portoghese e all'autore hongkonghese Yu Likwai e il controverso Historia de la Meva Mort di Albert Serra (vincitore quest'estate a Locarno 66). La prima parte della cospicua retrospettiva dedicata alla New Hollywood farà la felicità dei “nostalgici”, con la possibilità di rivedere su grande schermo capolavori come Easy Rider, Five Easy Pieces, The Last Picture Show di Bogdanovich, Boxcar Bertha di Scorsese e Pat Garrett & Billy The Kid di Peckinpah. Le novità invece riguardano le mini-sezioni intitolate “E intanto in Italia”, “Big Bang Tv” (con anteprime di episodi di serie televisive diretti da David Fincher e Jane Campion) ed “EuroPop”, mélange dedicato a titoli che hanno ottenuto grande successo in questi mesi in Europa: tra i titoli presenti appare indispensabile il francese Alceste à Bicyclette, sfida dialettica tra Lambert Wilson e il grandissimo Fabrice Luchini.
Ulteriore nuova sezione, senz'altro la più stimolante, è After Hours, in cui trova spazio il cinema “altro”, in un curioso minestrone di horror, thriller, commedie nere e stranezze assortite da gustare in tarda serata (ma con repliche anche al pomeriggio): tra le pellicole più significative Big Bad Wolves, nuovo lavoro della coppia israeliana Keshales/Papushado (già autori dell'ottimo e sorprendente Kalevet), Blutgletscher di Marvin Kren (regista dell'interessante zombi movie Rammbock), il canadese The Conspiracy (definito un horror “politico e satanista”), il grottesco e autobiografico La danza de la realidad di Jodorowsky, l'ancor più grottesco Wrong Cops di Quentin Dupieux (già passato a Locarno), l'horror a episodi V/H/S 2 (nella speranza che sia meglio del primo, alquanto mediocre) e l'assoluto cult italiano L'etrusco uccide ancora di Armando Crispino.
Tantissimo spazio, come di consueto, sarà dedicato ai documentari, per un vero e proprio festival nel festival. Tra una visione e l'altra, ci sarà infine posto anche per immersioni nella storia del cinema nostrano (8 ½ di Fellini in versione restaurata) e per proiezioni che emozioneranno i cinefili (l'acclamatissimo A Turin Horse di Béla Tarr, preceduto da un doc dedicato allo stesso regista). Il film di chiusura, come già annunciato, sarà Grand Piano, con Elijah Wood.
In conclusione, anche nel 2013 niente tappeti rossi, per fortuna: quelli li lasciamo volentieri ad altri “lidi”. Qualche difetto ancora c'è, soprattutto sul piano della logistica (la nuova ubicazione della Press Room in Piazza Castello e la probabile mancata reintroduzione delle indispensabili navette renderanno ancora più complicati gli spostamenti), ma sul piano strettamente contenutistico i motivi di fascino non mancano affatto, la concorrenza con Roma non spaventa (più), e l'integrità del festival appare conservata; a Torino c'è e ci sarà ancora il cinema, nella sua accezione più completa e solida.
Appuntamento sotto la Mole dal 22 al 30 novembre e in parallelo qui su Orizzonti di Gloria, con le recensioni di alcuni dei film più significativi a cui assisteremo.

Programma completo sul sito ufficiale

Alessio Gradogna


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