ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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TORINO 31 - Vandal e La bataille de Solférino

1/12/2013

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Anche in questa edizione del Torino Film Festival la Francia ha avuto un ruolo da protagonista, con la presenza di tre film in concorso, tutti di ottima qualità, a confermare per l'ennesima volta la piena salute di una cinematografia assolutamente primaria nel panorama mondiale per solidità e quantità di prodotti di notevole fattura. Insieme all'affascinante 2 automnes 3 hivers di Betbeder, vincitore del Premio Speciale della giuria capitanata da Guillermo Arriaga, il pubblico torinese ha potuto visionare e applaudire anche Vandal e La bataille de Solférino, debutti nel lungometraggio di Hélier Cisterne e Justine Trier, rispettivamente classe 1981 e 1978.

In Vandal assistiamo alla storia di Chérif, quindicenne problematico che viene mandato a vivere dagli zii a Strasburgo, con la speranza che cambiando città il ragazzo possa maturare e tranquillizzarsi. Di fronte al nuovo ambiente, il protagonista assume su di sé i consueti conflitti legati alla famiglia e ai primi amori, fino a quando non scopre il mondo dei graffiti, entrando a far parte di una banda che di notte esce furtiva nelle strade per ricoprire i muri con fantasiose scritte e creativi disegni. Questa nuova fonte di sfogo diventa per lui un veicolo indispensabile per scaricare la propria irrequietezza e cercare una vera identità.
Non particolarmente originale dal punto di vista narrativo, il film di Cisterne, adeso al volto timido e incerto del suo protagonista (Zinedine Benchenine), si lascia comunque apprezzare per una concretezza strutturale che schiva ogni forma di retorica adolescenziale, componendo un ritratto sofferto e fremente, in cui la durezza della quotidianità si dissolve nell'abbandono estatico di una doppia vita in cui rampanti guerrieri della notte sfidano le convenzioni per espiare il desiderio di libertà e affermazione personale. Ne esce un quadro d'insieme ritmato, dolente, ipnotico, che non sa e non vuole offrire soluzioni, ma si limita a descrivere con discreta enfasi il cuore pulsante di un ragazzo che attraverso quelle bombolette e quei disegni esplica un graduale e difficoltoso transito verso l'età adulta. Da segnalare, in piccoli ruoli, le presenze di Sophie Cattani e di Corinne Masiero, quest'ultima lo scorso anno protagonista di Louise Wimmer, film amatissimo dal pubblico francese e premiato ai César.

Le difficoltà relazionali sono al centro anche di La bataille de Solférino, questa volta però mescolate con eventi di carattere pubblico e sociale. L'intero racconto si svolge infatti nel giorno delle elezioni presidenziali del 2012, nelle ore in cui François Hollande ottiene la sua vittoria a scapito di Sarkozy. Tra i giornalisti accalcati nella via dove ha sede il quartier generale del partito socialista c'è anche Laetitia, combattuta tra la necessità di coprire in tempo reale l'evento e la preoccupazione per le due figlie, lasciate a casa nelle mani di un baby sitter disturbato però dal padre delle bambine, separato dalla moglie e intenzionato a voler vedere a tutti i costi le figlie nonostante il tribunale gli abbia intimato di poterlo fare solo in presenza della madre.
Serrato, concitato, il film della Triet rapisce l'occhio dello spettatore grazie a una regia che brilla per intensità e viscerale trasporto, catapultando la fruizione nel caos devastante che accompagna la gente presente in strada da un lato e la “battaglia” tra i due genitori dall''altro, in un coacervo di sensazioni che sanno unire con sapienza l'emozione collettiva e l'esplosione del conflitto privato, il lavoro e l'amore, la paura e l'istinto, gli schiaffi e le schermaglie dialettiche. Una guerra di fatti e parole, ripicche e accuse, attacchi e difese, nella quale svettano i due bravi protagonisti, Laetitia Dosch e ancora una volta Vincent Macaigne, già primo attore nel film di Betbeder, qui alle prese con un ruolo più denso e complesso, interpretato peraltro con il giusto vigore.
Da notare, come spiegato dalla regista e dal produttore durante l'incontro con il pubblico post-visione, che molte scene sono state realmente girate in Rue de Solférino in quella giornata, con otto macchine da presa piazzate ovunque e gli attori mescolati (e sballottati) tra la folla inconsapevole: un azzardo ben riuscito, per un convincente esempio di parziale docu-fiction utile a esemplificare come in ogni luogo, durante qualsiasi evento di massa, ci siano tante piccole e grandi microstorie nascoste nel buio e pronte per essere vissute, raccontate e consumate dallo spietato e indispensabile sguardo del cinema. 

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Torino 31


Schede tecniche

Vandal

Regia: Hélier Cisterne
Sceneggiatura: Hélier Cisterne, Gilles Taurand, Katell Quillévéré
Fotografia: Hichame Alaouié 
Montaggio: Thomas Marchand
Musiche: Ulysse Klotz
Attori: Zinedine Benchenine, Chloé Lecerf, Emile Berling, Kévin Azaïs, Jean-Marc Barr, Brigitte Sy
Anno: 2013
Durata: 90'

La bataille de Solférino

Regia, sceneggiatura: Justine Triet
Fotografia: Tom Harari 
Montaggio: Damien Maestraggi 
Attori: Laetitia Dosch, Vincent Macaigne, Arthur Harari, Virgil Vernier
Anno: 2013
Durata: 94'

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TORINO 31 - 2 Automnes 3 Hivers, di Sébastien Betbeder

28/11/2013

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All'alba del 2013, si può ancora fare un film che sembra uscito dalla Nouvelle Vague senza apparire fuori tempo massimo? Certo, si può, a patto che dietro alla macchina da presa ci sia un autore che abbia idee, intelligenza, umiltà e la giusta sensibilità. Da questo punto di vista possiamo stare tranquilli, perché Sébastien Betbeder di tocco ne ha da vendere, come già avevamo avuto modo di appurare lo scorso anno con il notevole Les nuits avec Théodore, presentato sempre a Torino. 
Allora ecco 2 Automnes 3 Hivers, promosso stavolta al concorso ufficiale; un film che riesce a riportarci indietro, all'epoca delle insistite voci fuori campo, per raccontarci con volontà e passione il percorso di crescita di un trentenne a caccia di una propria strada nella vita.
Lui è Arman, impersonificato dal bravo Vincent Macaigne; espressione perennemente stordita e un po' ebete, sempre meno capelli in testa, lavori saltuari, case prestate dagli amici, valigie sempre pronte, corse nel parco, birre in compagnia, zero risparmi, tanti buoni propositi e pochissime certezze; una vita da eterno adolescente vagabondo smarrito tra le vie di Parigi, perlomeno sino a quando davanti a lui appare l'intrigante Amélie e il sentimento esplode. Qualche settimana dopo Arman, con parecchia goffaggine e prendendosi una coltellata, salva la ragazza da un'aggressione; da quel momento il rapporto tra i due nasce, si solidifica e matura. Passano i mesi e le stagioni, la relazione attraversa momenti di dura crisi e prova a ricomporsi. In parallelo Benjamin, il miglior amico di Arman, viene colpito da un ictus; a seguito di un lungo periodo di riabilitazione riesce però a riprendersi, e trova pure lui l'amore legandosi a un'ortofonista. 
Così i personaggi principali del film diventano quattro, e le loro microstorie si alternano e si incrociano in piccole sequenze accompagnate da didascalie che scandiscono lo scorrere del tempo; gli attori ci guardano negli occhi, ci parlano, ci raccontano in prima persona gli accadimenti, anticipano le immagini che stiamo per vedere, le descrivono, le smitizzano, senza filtri né barriere, come fossero nostri amici da sempre. L'empatia si spreca, la vicinanza emotiva ci trafigge, il senso di comunione e appartenenza ci conquista, il meccanismo si reitera e funziona: 2 Automnes 3 Hivers parla di noi e con noi, attraverso lievi profumi truffautiani che guardano al passato rotolandosi nel presente, rispettosi di una tradizione omaggiata con freschezza e arguzia, in maniera non troppo dissimile da come è solita fare anche la nostra adorata Valérie Donzelli. 
Il mondo filmico di Betdeber è questo, lo avevamo già intuito e qui ne abbiamo la netta conferma: un panorama di figurine in miniatura, fragili e insicure, dolci e oneste, sofferenti e sognatrici; rivolgendosi direttamente al pubblico, occhi contro occhi, questi personaggi tremolanti cercano un abbraccio che dia loro la forza per superare timori e imbarazzi: noi glielo diamo volentieri, sorridendo di fronte a un cinema di ieri che per fortuna vive e respira ancora oggi, coccolando la bellezza dell'inverno e aspettando che magari prima o poi arrivi anche un'estate.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Torino 31


Scheda tecnica

Regia e sceneggiatura: Sébastien Betbeder 
Fotografia: Sylvain Verdet 
Montaggio: Julie Dupré
Musiche: Bertrand Betsch
Attori: Vincent Macaigne, Maud Wyler, Bastien Bouillon, Audrey Bastien
Anno: 2013
Durata: 93'

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TORINO 31 - Red Family, di Lee Yu-hyoung

26/11/2013

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Kim Ki-duk scrive e produce, l’esordiente Lee Ju-hyoung dirige: il risultato non è una pallida imitazione del cinema del grande regista e produttore, ma fortunatamente si rivela una piccola, preziosa opera prima sul tema del conflitto insanabile tra le due Coree. 
Red Family è la storia di un gruppo di persone che deve fingersi famiglia: dal momento che i loro cari sono infatti prigionieri del governo del Nord, si ritrovano costretti a svolgere il compito di agenti sotto copertura nella vicina Corea del Sud, effettuando atti di spionaggio e omicidi su commissione. I legami e le tensioni raggiungeranno il punto di non ritorno quando verranno a contatto con la disastrata famiglia dei loro vicini di casa, con conseguenze irreparabili per chiunque. Un argomento indubbiamente delicato, condotto con sapienza e mano leggera dal giovane regista esordiente: Red Family ricorda la freschezza della tradizione della grande commedia all’italiana, quando i drammi della Storia si incrociavano con le vite delle persone comuni scatenando un irresistibile attrito tra la drammaticità degli eventi e la leggerezza dello sguardo. 
La chiave del successo del film è questa, in fondo: quello che interessa maggiormente a Lee Ju-hyoung è la componente umana della vicenda, realizzando così un piccolo gioiello poetico sulla ricerca della felicità in condizione assolutamente avverse. Ogni membro della sua famiglia improvvisata è infatti alla ricerca di un qualcosa che è andato perduto: una figlia, una moglie, una sorella, un nipote. Tutti troveranno nella bizzarra compagnia del vicinato un appiglio al quale reggersi per sopravvivere, anche se questo comporterà una drammatica inversione di rotta. Il giovane regista è bravo ad alternare i vari registri, e anche se in alcuni momenti non riesce ad evitare che faccia capolino la retorica (la canzone Arirang nel prefinale, vero e proprio marchio di fabbrica di Kim Ki-duk), il suo film si dimostra comunque in grado di emozionare in maniera sentita e sincera. 
Al centro di tutto, ovviamente, c’è ancora la famiglia, tema quantomeno ricorrente all’interno di questa cinematografia; quella vera, reale, dei vicini è disastrata e sempre sul punto di collassare. Quella fittizia invece è apparentemente perfetta, in completa linea con l’ideologia di un regime che impone una disciplina irreprensibile come le pieghe della divisa militare, ma incapace di trasmettere emozioni vere. E da qui, ovviamente, il dualismo tra le due Coree e le rispettive visioni del mondo: pensieri diversi e contrapposti, capaci però di un piccolissimo, flebile punto di unione rappresentato dalle parole dei due ragazzi più giovani, durante la sequenza della cena. 
Un film che predilige il cuore alla politica, che non vuole esaurire un argomento così vasto e complesso ma, al contrario, utilizza lo strumento del sorriso come arma rivolta contro la repressione e la mancanza di libertà: perché in Red Family si ride, ma è un divertimento di quelli che fanno male. 

Giacomo Calzoni

Sezione di riferimento: Torino 31


Scheda tecnica
  
Titolo originale: Bulg-eun Gajog
Regia: Lee Ju-hyoung
Sceneggiatura: Kim Ki-duk
Fotografia: Lee Chun-hee
Attori: Kim Yumi, Jung Woo, Son Byeong-ho, Park So-young
Anno: 2013
Durata: 99’

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TORINO 31 - Il programma ufficiale

6/11/2013

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Sì, adesso lo possiamo dire: il Torino Film Festival conserva la sua identità. A essere sinceri, qualche lieve timore nei mesi scorsi si era palesato, nel momento in cui il neodirettore Paolo Virzì aveva espresso il desiderio di dare vita a un evento più popolare, dando maggiore spazio ai gusti del pubblico. Studiando però il programma completo, ufficializzato dopo la conferenza stampa di presentazione, è facile notare come lo spirito unico e irresistibile del festival torinese, improntato sulla qualità e la sostanza, sia rimasto pressoché inalterato.
Virzì è stato di parola: sono aumentati i titoli ad ampio consumo, così come è cresciuta la presenza del cinema italiano. Ma questo non ha impedito allo staff guidato da Emanuela Martini di costruire un cartellone di alto livello, con numerosissime pellicole d'autore e proposte adatte a ogni tipo di spettatore, in continuità con le edizioni (e le gestioni) precedenti. 185 film, molti dei quali in anteprima mondiale; sezioni confermate e altre rinnovate; un programma leggermente snellito rispetto agli ultimi anni ma sempre densissimo; tanto spazio per la ricerca, la diversità di linguaggi e l'originalità.
Il Concorso Ufficiale prevede 14 pellicole (non più 16), con le quali indagare tra dramma e sorrisi tra le pieghe sociali e culturali della contemporaneità: ben tre i film francesi presenti (tra cui 2 Automnes 3 Hivers di Betbeder), due italiani (La mafia uccide solo d'estate di Pif e Il treno va a Mosca di Ferrone/Manzolini), e rappresentanze sparse dal resto del mondo, con titoli sulla carta intriganti come il venezuelano Pelo Malo (vincitore a San Sebastian), l'americano Blue Ruin e il "pugno nello stomaco" giapponese A Woman and War. 
La sezione Festa Mobile, un pochino meno espansa rispetto al passato, è come sempre un contenitore debordante in cui trova spazio un po' di tutto, con titoli di primissimo piano tra cui non si possono non citare All is Lost di J.C. Chandor, Frances Ha di Noah Baumbach (passato con grande successo a Berlino), Ida di Pawel Pawlikowski (autore qualche anno fa del bellissimo My Summer of Love), Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen (applaudito a Cannes 2013) e il vampirico Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch (imperdibile). Tra loro poi anche Prince Avalanche di David Gordon Green (remake dell'islandese Either Way, vincitore proprio al TFF due anni fa), il francese Suzanne (con Sarah Forestier), e il cupissimo film indiano Ugly.
La sezione Onde non manca di riconfermare la sua essenza rivolta al puro cinema di qualità: a un primo sguardo spiccano l'omaggio alla vitalità del cinema portoghese e all'autore hongkonghese Yu Likwai e il controverso Historia de la Meva Mort di Albert Serra (vincitore quest'estate a Locarno 66). La prima parte della cospicua retrospettiva dedicata alla New Hollywood farà la felicità dei “nostalgici”, con la possibilità di rivedere su grande schermo capolavori come Easy Rider, Five Easy Pieces, The Last Picture Show di Bogdanovich, Boxcar Bertha di Scorsese e Pat Garrett & Billy The Kid di Peckinpah. Le novità invece riguardano le mini-sezioni intitolate “E intanto in Italia”, “Big Bang Tv” (con anteprime di episodi di serie televisive diretti da David Fincher e Jane Campion) ed “EuroPop”, mélange dedicato a titoli che hanno ottenuto grande successo in questi mesi in Europa: tra i titoli presenti appare indispensabile il francese Alceste à Bicyclette, sfida dialettica tra Lambert Wilson e il grandissimo Fabrice Luchini.
Ulteriore nuova sezione, senz'altro la più stimolante, è After Hours, in cui trova spazio il cinema “altro”, in un curioso minestrone di horror, thriller, commedie nere e stranezze assortite da gustare in tarda serata (ma con repliche anche al pomeriggio): tra le pellicole più significative Big Bad Wolves, nuovo lavoro della coppia israeliana Keshales/Papushado (già autori dell'ottimo e sorprendente Kalevet), Blutgletscher di Marvin Kren (regista dell'interessante zombi movie Rammbock), il canadese The Conspiracy (definito un horror “politico e satanista”), il grottesco e autobiografico La danza de la realidad di Jodorowsky, l'ancor più grottesco Wrong Cops di Quentin Dupieux (già passato a Locarno), l'horror a episodi V/H/S 2 (nella speranza che sia meglio del primo, alquanto mediocre) e l'assoluto cult italiano L'etrusco uccide ancora di Armando Crispino.
Tantissimo spazio, come di consueto, sarà dedicato ai documentari, per un vero e proprio festival nel festival. Tra una visione e l'altra, ci sarà infine posto anche per immersioni nella storia del cinema nostrano (8 ½ di Fellini in versione restaurata) e per proiezioni che emozioneranno i cinefili (l'acclamatissimo A Turin Horse di Béla Tarr, preceduto da un doc dedicato allo stesso regista). Il film di chiusura, come già annunciato, sarà Grand Piano, con Elijah Wood.
In conclusione, anche nel 2013 niente tappeti rossi, per fortuna: quelli li lasciamo volentieri ad altri “lidi”. Qualche difetto ancora c'è, soprattutto sul piano della logistica (la nuova ubicazione della Press Room in Piazza Castello e la probabile mancata reintroduzione delle indispensabili navette renderanno ancora più complicati gli spostamenti), ma sul piano strettamente contenutistico i motivi di fascino non mancano affatto, la concorrenza con Roma non spaventa (più), e l'integrità del festival appare conservata; a Torino c'è e ci sarà ancora il cinema, nella sua accezione più completa e solida.
Appuntamento sotto la Mole dal 22 al 30 novembre e in parallelo qui su Orizzonti di Gloria, con le recensioni di alcuni dei film più significativi a cui assisteremo.

Programma completo sul sito ufficiale

Alessio Gradogna


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