È il film più stellato di sempre dai critici di Cannes. 261mila ingressi in Francia (fino ad ora, ed è solo il primo week-end di programmazione) e un consenso planetario piovuto addosso a un’opera che parla la lingua della vita, delle viscere del cuore, con una forza impossibile da metabolizzare senza rimanerne tramortiti ed estasiati al tempo stesso.
“Non mi interrogo mai a priori su ciò di cui il mio film dovrà parlare o dei suoi temi, mi lascio trascinare dalla forza della storia", racconta il regista Abdellatif Kechiche nella conferenza stampa romana. "Il film parla d’amore ma anche dell’importanza del caso, del destino, della casualità che sta dietro a un incontro decisivo come quello di Adèle ed Emma, che per la prima volta si intravedono a un semaforo. Si tratta anche dell’incontro tra due mondi familiari diversi, quello intellettuale e borghese da un lato e quello proletario dall’altro, come a suggerire che l’amore resiste benissimo alle differenze di classe. La vita di Adele però è soprattutto il racconto di un’iniziazione, un passaggio dalla gioventù all’età adulta da parte di una giovane donna che è quasi un’eroina, capace di andare avanti con coraggio nonostante gli ostacoli che incontra. Ciò che mi piaceva mostrare era proprio questo grande senso di libertà.”
Entusiasta anche Jérémie Laheurte: “Sul set c’erano grossi input e grande spazio per creare, si è creata una certa fiducia fin da subito. È stato straordinario per me lavorare a un film di Abdel, un regista che fa propria una notevole istintività ma con un’attenzione costante all’equilibrio. Kechiche ha un modo particolare di lavorare ma per me è stata un’esperienza d’attore straordinaria”.
Adèle Exarchopoulos invece, in barba alle recenti polemiche che l’hanno vista protagonista anche se in posizione più defilata rispetto alla collega Léa Seydoux, loda l’atmosfera sul set: “Il film vanta un grande sforzo d’equipe, con un lavoro di costruzione continua e la possibilità, per me, di aver vicino dei grandi attori. Non c’è nessuna costrizione entro dei limiti da parte di Abdel; per esempio, nella scena del bus con Jerémie, ci siamo lasciati andare all’improvvisazione. Mi ha aiutato molto l’aver girato in ordine cronologico, la mia età era quella della protagonista e quindi ho vissuto direttamente sulla mia pelle e dal di dentro l’esperienza di maturazione che la riguarda. Ci sono poi dettagli fisici che mi accomunano alla protagonista: il toccarmi in modo particolare i capelli, per esempio, una cosa che fanno molte donne e che anche io faccio spesso. Adèle mangia, balla, ha appetiti sessuali: mi è piaciuto molto dover interpretare tutto ciò.”
Per Kechiche quella di Adèle è una “magia istintiva”: “Qualcosa di quanto più autentico possibile, che non ha dietro chissà quali riflessioni o elucubrazioni intellettuali. I gesti coi capelli e tutte le altre cose che Adèle fa, anche le più irrilevanti come tirarsi su i pantaloni, sono venuti fuori in modo molto spontaneo, pensavo che avrei dovuto lavorarci moltissimo sopra per ottenere una naturalezza che mi soddisfacesse e invece così non è stato. Tutti quei comportamenti anche un po’ civettuoli che Adèle compie sono emersi in maniera assolutamente automatica.”
Interrogato sulla portata universale e per molti aspetti colossale del suo cinema, Kechiche coglie l’occasione per parlare della sua visione della settima arte, con i margini e le aspirazioni a essa connesse: “Il cinema ci permette di esplorare in modo più profondo che nella vita l’intima verità che è dentro di noi; abbiamo quello schermo che ci protegge e quindi possiamo guardarci meglio dentro come esseri umani. Da regista cerco degli attori disposti a donarsi completamente, per questo ho scelto Adèle; ha avuto una verità tale nell’esprimersi che in fase di montaggio ho deciso di chiamare il film col suo nome. Personalmente, ho un bisogno quasi viscerale di instaurare delle relazioni intime sul set ma anche con coloro che mi stanno intorno nella vita, ho grande tenerezza per gli attori che porto sullo schermo e in generale per gli esseri umani. È questo, forse, a determinare la continuità stilistica dei miei film.”
Immancabile la domanda sulle polemiche che hanno investito il film, con l’interprete Léa Seydoux che ha fortemente criticato i metodi coercitivi del regista de La schivata: “Il film ha avuto una vita avventurosa già durante le riprese. Io credo che sia una storia che ha toccato così da vicino coloro che vi hanno partecipato da diventare uno specchio: tutto il dolore che c’è dentro può bruciare e suscitare azioni violente e penso che i premi, le polemiche o le critiche siano tutte azioni viscerali anch’esse, come se una qualche divinità si divertisse a riversare su di noi le cose belle ma anche gli aspetti meno positivi a suo piacimento.” Si torna poi a parlare di Spielberg, di un cineasta che fa un cinema diametralmente diverso da quello di Kechiche e che pure l’ha premiato con la Palma d’Oro: “È un grande uomo oltre che un grande regista, che ama tutto il cinema. Davvero non capisco coloro che erano scettici e che mi dicevano che Spielberg difficilmente avrebbe apprezzato il mio film. È un uomo integro e onesto e mi rende felice che il premio sia venuto da un cineasta come lui. Il suo Il colore viola, poi, mi aveva molto impressionato. In fondo la mia Adèle è un’eroina, si potrebbe dire che è la mia Indiana Jones.”
Kechiche, in chiusura, non nasconde la soddisfazione per il risultato finale: “Di solito sono più tormentato sul final cut, ma stavolta la mia frustrazione è minore. Ho l’impressione che il film sappia dove vuole andare, che abbia la forza per camminare sulle sue gambe. C’erano anche delle scene per me molto belle che ho dovuto tagliare per ragioni di tempo essendo il film già molto lungo; alcune lezioni per esempio, di scienze e di letteratura. Mi piacerebbe farvele vedere in qualche modo, anche se non so quanti vedranno la versione integrale del film che sarà nel dvd. Però posso dirvelo, non durerà quattro ore.”
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Interviste
Articoli correlati: Recensione La vie d'Adèle
“Non mi interrogo mai a priori su ciò di cui il mio film dovrà parlare o dei suoi temi, mi lascio trascinare dalla forza della storia", racconta il regista Abdellatif Kechiche nella conferenza stampa romana. "Il film parla d’amore ma anche dell’importanza del caso, del destino, della casualità che sta dietro a un incontro decisivo come quello di Adèle ed Emma, che per la prima volta si intravedono a un semaforo. Si tratta anche dell’incontro tra due mondi familiari diversi, quello intellettuale e borghese da un lato e quello proletario dall’altro, come a suggerire che l’amore resiste benissimo alle differenze di classe. La vita di Adele però è soprattutto il racconto di un’iniziazione, un passaggio dalla gioventù all’età adulta da parte di una giovane donna che è quasi un’eroina, capace di andare avanti con coraggio nonostante gli ostacoli che incontra. Ciò che mi piaceva mostrare era proprio questo grande senso di libertà.”
Entusiasta anche Jérémie Laheurte: “Sul set c’erano grossi input e grande spazio per creare, si è creata una certa fiducia fin da subito. È stato straordinario per me lavorare a un film di Abdel, un regista che fa propria una notevole istintività ma con un’attenzione costante all’equilibrio. Kechiche ha un modo particolare di lavorare ma per me è stata un’esperienza d’attore straordinaria”.
Adèle Exarchopoulos invece, in barba alle recenti polemiche che l’hanno vista protagonista anche se in posizione più defilata rispetto alla collega Léa Seydoux, loda l’atmosfera sul set: “Il film vanta un grande sforzo d’equipe, con un lavoro di costruzione continua e la possibilità, per me, di aver vicino dei grandi attori. Non c’è nessuna costrizione entro dei limiti da parte di Abdel; per esempio, nella scena del bus con Jerémie, ci siamo lasciati andare all’improvvisazione. Mi ha aiutato molto l’aver girato in ordine cronologico, la mia età era quella della protagonista e quindi ho vissuto direttamente sulla mia pelle e dal di dentro l’esperienza di maturazione che la riguarda. Ci sono poi dettagli fisici che mi accomunano alla protagonista: il toccarmi in modo particolare i capelli, per esempio, una cosa che fanno molte donne e che anche io faccio spesso. Adèle mangia, balla, ha appetiti sessuali: mi è piaciuto molto dover interpretare tutto ciò.”
Per Kechiche quella di Adèle è una “magia istintiva”: “Qualcosa di quanto più autentico possibile, che non ha dietro chissà quali riflessioni o elucubrazioni intellettuali. I gesti coi capelli e tutte le altre cose che Adèle fa, anche le più irrilevanti come tirarsi su i pantaloni, sono venuti fuori in modo molto spontaneo, pensavo che avrei dovuto lavorarci moltissimo sopra per ottenere una naturalezza che mi soddisfacesse e invece così non è stato. Tutti quei comportamenti anche un po’ civettuoli che Adèle compie sono emersi in maniera assolutamente automatica.”
Interrogato sulla portata universale e per molti aspetti colossale del suo cinema, Kechiche coglie l’occasione per parlare della sua visione della settima arte, con i margini e le aspirazioni a essa connesse: “Il cinema ci permette di esplorare in modo più profondo che nella vita l’intima verità che è dentro di noi; abbiamo quello schermo che ci protegge e quindi possiamo guardarci meglio dentro come esseri umani. Da regista cerco degli attori disposti a donarsi completamente, per questo ho scelto Adèle; ha avuto una verità tale nell’esprimersi che in fase di montaggio ho deciso di chiamare il film col suo nome. Personalmente, ho un bisogno quasi viscerale di instaurare delle relazioni intime sul set ma anche con coloro che mi stanno intorno nella vita, ho grande tenerezza per gli attori che porto sullo schermo e in generale per gli esseri umani. È questo, forse, a determinare la continuità stilistica dei miei film.”
Immancabile la domanda sulle polemiche che hanno investito il film, con l’interprete Léa Seydoux che ha fortemente criticato i metodi coercitivi del regista de La schivata: “Il film ha avuto una vita avventurosa già durante le riprese. Io credo che sia una storia che ha toccato così da vicino coloro che vi hanno partecipato da diventare uno specchio: tutto il dolore che c’è dentro può bruciare e suscitare azioni violente e penso che i premi, le polemiche o le critiche siano tutte azioni viscerali anch’esse, come se una qualche divinità si divertisse a riversare su di noi le cose belle ma anche gli aspetti meno positivi a suo piacimento.” Si torna poi a parlare di Spielberg, di un cineasta che fa un cinema diametralmente diverso da quello di Kechiche e che pure l’ha premiato con la Palma d’Oro: “È un grande uomo oltre che un grande regista, che ama tutto il cinema. Davvero non capisco coloro che erano scettici e che mi dicevano che Spielberg difficilmente avrebbe apprezzato il mio film. È un uomo integro e onesto e mi rende felice che il premio sia venuto da un cineasta come lui. Il suo Il colore viola, poi, mi aveva molto impressionato. In fondo la mia Adèle è un’eroina, si potrebbe dire che è la mia Indiana Jones.”
Kechiche, in chiusura, non nasconde la soddisfazione per il risultato finale: “Di solito sono più tormentato sul final cut, ma stavolta la mia frustrazione è minore. Ho l’impressione che il film sappia dove vuole andare, che abbia la forza per camminare sulle sue gambe. C’erano anche delle scene per me molto belle che ho dovuto tagliare per ragioni di tempo essendo il film già molto lungo; alcune lezioni per esempio, di scienze e di letteratura. Mi piacerebbe farvele vedere in qualche modo, anche se non so quanti vedranno la versione integrale del film che sarà nel dvd. Però posso dirvelo, non durerà quattro ore.”
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Interviste
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