Lo scorso 10 Ottobre il romano Cinema Trevi, sede eletta per la proiezione dei restauri ad opera della Cineteca Nazionale e per molti incontri e appuntamenti cinematografici, ha ospitato un evento d’eccezione: la presentazione ufficiale della nuova edizione del dvd di Necropolis edita dalla Ripley’s Home Video, una riproposizione del capolavoro eccentrico e maledetto di Franco Brocani che dà nuovo lustro a uno dei film più seminali e angolari della nostra produzione sperimentale e di tutto il cinema italiano degli anni ’70.
Il dvd, curato da Giulio Bursi, contiene al suo interno i cortometraggi È ormai sicuro il mio ritorno a Knossos con Mario Schifano e Luca Patella, Lo specchio a forma di gabbia e La maschera del Minotauro.
La proiezione della versione restaurata grazie alla Ripley’s è stata preceduta da un interessante incontro cui hanno preso parte i noti critici e studiosi cinematografici Roberto Turigliatto ed Enrico Ghezzi oltre allo stesso Brocani, classe 1938 ma con dalla sua un’incredibile e indistruttibile voglia di meravigliarsi, di coltivare quello “stupore” che lo stesso Ghezzi tira in ballo parlando del suo cinema. Brocani oggi è un anziano non pago del mondo e ancora curiosissimo e brillante, lucido e candido nonostante i molti acciacchi fisici.
“Come fu recepita la mia opera all’epoca? Be’, chiaramente non dissero né che era bella né che era brutta, si tratta di un film di fronte al quale non si può non sospendere il giudizio, un film alieno, diverso. Con delle immagini davvero sontuose, che però sono alquanto distanti sia dal cinema tradizionale e ufficiale dell’epoca che da quello più underground. Il suo fascino e la sua forza per me sono rimasti intatti.”
Altrettanto entusiasta è l’ex direttore del Torino Film Festival Turigliatto, che racconta la propria iniziazione a suo dire colpevolmente tardiva al cinema di Brocani, esaltandone i meriti e il valore: “È un cinema di scenografie enormi e pensato en plein air, lontano dall’imbalsamazione che si respirava nel cinema di quegli anni. Dietro ad esso ho poi scoperto un cineasta davvero propenso allo studio, un vero regista-lettore sul modello godardiano che tra le sue letture ha Valéry e Nietzsche. Una stirpe di cineasti che poi è proseguita con altre personalità, si vedano per esempio Julio Bréssane e João César Monteiro. Brocani possiede una biblioteca sconfinata ma gli è del tutto estranea ogni forma di intellettualismo. Come Godard, egli vive nel continuo superamento di sé, nella collezione e ricreazione dei testi letterari, nel cinema come attraversamento del linguaggio. È un regista scrittore e bibliofilo che passa attraverso le forme per modificarle. D’altronde il cinema è proprio questo, un crocevia impuro in cui forme e linguaggi si incrociano in vesti vampiresche, nutrendosi di tutto ciò che incontrano. Il suo e il cinema tutto è una specie di Frankenstein, dopotutto.”
Non è un caso se è proprio un corto di dodici minuti dello stesso Brocani dedicato alla mostruosa creatura nata dalla fantasia di Mary Shelley a essere proiettato subito dopo la conferenza di presentazione, un’illustrazione poetica e assai ben documentata della storia di Frankenstein e del suo mito imperituro. Brocani evidenzia i tratti letterari della figura ma anche i suoi aspetti più misteriosi, affascinanti ed evocativi, riuscendo a coniugare la perizia quasi scientifica della disamina colta e ben documentata con l’afflato accorato per le sorti dell’essere mostruoso, nel quale, per forza di cose, il suo cinema finisce col rispecchiarsi e col riconoscere il proprio volto.
Frankenstein è d’altronde un simbolo ben rappresentativo della natura non allineata del cinema di Brocani; un regista che, come amava dire il suo amico Mario Schifano: “voleva fare il cinema e ha sempre fatto di tutto per evitarlo”. Una frase bellissima ed esemplificativa, cui fanno eco gli elogi tessuti da Enrico Ghezzi: “Nel cinema di Brocani c’è un respiro che lo pone direttamente al livello di grandi autori internazionali: qualcosa di Straub, qualcos’altro di Werner Schroeter. Io personalmente, per una serie di ragioni, ho visto il film per tre volte nell’ultimo mese e ogni volta ho cambiato idea al riguardo, specie quando poi si è trattato di doverne parlare. A dimostrazione della natura di un film che esce continuamente da se stesso e da qualunque pagina di storia e di storia della cultura, coltissimo, che ammassa citazioni e personaggi che sono essi stessi citazioni, viventi (e morenti). Davvero un’opera di una densità imparagonabile, con all’interno la presenza eccezionale di Carmelo Bene che è un trappola meravigliosa e autotesa, pronta a scattare come il più splendido dei tranelli.”
“Necropolis – continua Ghezzi - è un film che inneggia a un cinema dello stupore, di fronte al quale ogni volta ci si ritrova a sentire qualcosa di diverso. D’altronde, bisognerebbe sempre agire come se una cosa la si vede per la prima volta, sarebbe la condizione massimamente auspicabile. Non è possibile decifrare tutti i codici, è un’idea pazza, ma c’è più godimento nel mero atto del vedere, forse. E poi quest’idea di Roma che è uno stupro, un sostrato in cui trapela la precisa geografia politica e territoriale degli anni ’70, anche se parliamo pur sempre di una Necropoli sulla quale si installa non solo Roma ma l’Italia tutta. Il titolo è un gioco di parole che fa quasi ridere, e forse è proprio il caso di riderci sopra. Possiamo, quindi dobbiamo farlo…”
Sulla nuova edizione in dvd del film, l’autore di Fuori Orario si lancia in notazioni cromatiche dal peso non indifferente: “La prima volta che ho visto il film – iniziato, perché allora non ti cacciava nessuno dalle proiezioni – mi trovavo a Genova, io e un mio amico, ci mancavano un sacco di codici per decifrarlo ma ci rimase comunque assai impressa l’oscurità corrusca di quella copia, così pregna di un blu che ora è quasi sparito, diventando più baluginante. Di fatto, il film è diventato (un) altro. Ricordo che all’epoca non riuscivamo a vedere attraverso il film, era come se ci respingesse.”
In definitiva, Necropolis è per Ghezzi “un disegno coerente, d’autore, il parto di una mente consapevole. Un film di oggi e un pochino di domani, che visto adesso pare perfino più pulito, quasi al livello del grado zero di uno studio televisivo.” “In effetti, mi sembra di vedere qualcosa che non ho fatto io – incalza lo stesso Brocani – ma rimane chiara e nitida la visione della cultura come un immondezzaio, basti vedere la scena dei pezzi di pellicola che vengono fuori dalla spazzatura, i veri e propri tagli esclusi dal final cut di Necropolis. Nel mio film c’è tutto ciò, anche se è celato dentro a una cornice completamente cifrata e ammantato da un’atmosfera magica ed enigmatica. A ricordarlo oggi non so come sono riuscito a fare un film così, che ora come ora sarebbe impossibile. Ci si sono avvicinati coi loro esordi Ciprì e Maresco, al limite, ma tra esso e la loro tipologia di cinema c’è davvero un abisso.”
La chiusura è icastica, di quelle che possono darti da pensare per giorni e giorni: “quel miracolo è lontanissimo. A dire il vero, non so se il cinema è degno di un miracolo. Io so che c’è stato, però. L’ho conosciuto.”
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Interviste
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Il dvd, curato da Giulio Bursi, contiene al suo interno i cortometraggi È ormai sicuro il mio ritorno a Knossos con Mario Schifano e Luca Patella, Lo specchio a forma di gabbia e La maschera del Minotauro.
La proiezione della versione restaurata grazie alla Ripley’s è stata preceduta da un interessante incontro cui hanno preso parte i noti critici e studiosi cinematografici Roberto Turigliatto ed Enrico Ghezzi oltre allo stesso Brocani, classe 1938 ma con dalla sua un’incredibile e indistruttibile voglia di meravigliarsi, di coltivare quello “stupore” che lo stesso Ghezzi tira in ballo parlando del suo cinema. Brocani oggi è un anziano non pago del mondo e ancora curiosissimo e brillante, lucido e candido nonostante i molti acciacchi fisici.
“Come fu recepita la mia opera all’epoca? Be’, chiaramente non dissero né che era bella né che era brutta, si tratta di un film di fronte al quale non si può non sospendere il giudizio, un film alieno, diverso. Con delle immagini davvero sontuose, che però sono alquanto distanti sia dal cinema tradizionale e ufficiale dell’epoca che da quello più underground. Il suo fascino e la sua forza per me sono rimasti intatti.”
Altrettanto entusiasta è l’ex direttore del Torino Film Festival Turigliatto, che racconta la propria iniziazione a suo dire colpevolmente tardiva al cinema di Brocani, esaltandone i meriti e il valore: “È un cinema di scenografie enormi e pensato en plein air, lontano dall’imbalsamazione che si respirava nel cinema di quegli anni. Dietro ad esso ho poi scoperto un cineasta davvero propenso allo studio, un vero regista-lettore sul modello godardiano che tra le sue letture ha Valéry e Nietzsche. Una stirpe di cineasti che poi è proseguita con altre personalità, si vedano per esempio Julio Bréssane e João César Monteiro. Brocani possiede una biblioteca sconfinata ma gli è del tutto estranea ogni forma di intellettualismo. Come Godard, egli vive nel continuo superamento di sé, nella collezione e ricreazione dei testi letterari, nel cinema come attraversamento del linguaggio. È un regista scrittore e bibliofilo che passa attraverso le forme per modificarle. D’altronde il cinema è proprio questo, un crocevia impuro in cui forme e linguaggi si incrociano in vesti vampiresche, nutrendosi di tutto ciò che incontrano. Il suo e il cinema tutto è una specie di Frankenstein, dopotutto.”
Non è un caso se è proprio un corto di dodici minuti dello stesso Brocani dedicato alla mostruosa creatura nata dalla fantasia di Mary Shelley a essere proiettato subito dopo la conferenza di presentazione, un’illustrazione poetica e assai ben documentata della storia di Frankenstein e del suo mito imperituro. Brocani evidenzia i tratti letterari della figura ma anche i suoi aspetti più misteriosi, affascinanti ed evocativi, riuscendo a coniugare la perizia quasi scientifica della disamina colta e ben documentata con l’afflato accorato per le sorti dell’essere mostruoso, nel quale, per forza di cose, il suo cinema finisce col rispecchiarsi e col riconoscere il proprio volto.
Frankenstein è d’altronde un simbolo ben rappresentativo della natura non allineata del cinema di Brocani; un regista che, come amava dire il suo amico Mario Schifano: “voleva fare il cinema e ha sempre fatto di tutto per evitarlo”. Una frase bellissima ed esemplificativa, cui fanno eco gli elogi tessuti da Enrico Ghezzi: “Nel cinema di Brocani c’è un respiro che lo pone direttamente al livello di grandi autori internazionali: qualcosa di Straub, qualcos’altro di Werner Schroeter. Io personalmente, per una serie di ragioni, ho visto il film per tre volte nell’ultimo mese e ogni volta ho cambiato idea al riguardo, specie quando poi si è trattato di doverne parlare. A dimostrazione della natura di un film che esce continuamente da se stesso e da qualunque pagina di storia e di storia della cultura, coltissimo, che ammassa citazioni e personaggi che sono essi stessi citazioni, viventi (e morenti). Davvero un’opera di una densità imparagonabile, con all’interno la presenza eccezionale di Carmelo Bene che è un trappola meravigliosa e autotesa, pronta a scattare come il più splendido dei tranelli.”
“Necropolis – continua Ghezzi - è un film che inneggia a un cinema dello stupore, di fronte al quale ogni volta ci si ritrova a sentire qualcosa di diverso. D’altronde, bisognerebbe sempre agire come se una cosa la si vede per la prima volta, sarebbe la condizione massimamente auspicabile. Non è possibile decifrare tutti i codici, è un’idea pazza, ma c’è più godimento nel mero atto del vedere, forse. E poi quest’idea di Roma che è uno stupro, un sostrato in cui trapela la precisa geografia politica e territoriale degli anni ’70, anche se parliamo pur sempre di una Necropoli sulla quale si installa non solo Roma ma l’Italia tutta. Il titolo è un gioco di parole che fa quasi ridere, e forse è proprio il caso di riderci sopra. Possiamo, quindi dobbiamo farlo…”
Sulla nuova edizione in dvd del film, l’autore di Fuori Orario si lancia in notazioni cromatiche dal peso non indifferente: “La prima volta che ho visto il film – iniziato, perché allora non ti cacciava nessuno dalle proiezioni – mi trovavo a Genova, io e un mio amico, ci mancavano un sacco di codici per decifrarlo ma ci rimase comunque assai impressa l’oscurità corrusca di quella copia, così pregna di un blu che ora è quasi sparito, diventando più baluginante. Di fatto, il film è diventato (un) altro. Ricordo che all’epoca non riuscivamo a vedere attraverso il film, era come se ci respingesse.”
In definitiva, Necropolis è per Ghezzi “un disegno coerente, d’autore, il parto di una mente consapevole. Un film di oggi e un pochino di domani, che visto adesso pare perfino più pulito, quasi al livello del grado zero di uno studio televisivo.” “In effetti, mi sembra di vedere qualcosa che non ho fatto io – incalza lo stesso Brocani – ma rimane chiara e nitida la visione della cultura come un immondezzaio, basti vedere la scena dei pezzi di pellicola che vengono fuori dalla spazzatura, i veri e propri tagli esclusi dal final cut di Necropolis. Nel mio film c’è tutto ciò, anche se è celato dentro a una cornice completamente cifrata e ammantato da un’atmosfera magica ed enigmatica. A ricordarlo oggi non so come sono riuscito a fare un film così, che ora come ora sarebbe impossibile. Ci si sono avvicinati coi loro esordi Ciprì e Maresco, al limite, ma tra esso e la loro tipologia di cinema c’è davvero un abisso.”
La chiusura è icastica, di quelle che possono darti da pensare per giorni e giorni: “quel miracolo è lontanissimo. A dire il vero, non so se il cinema è degno di un miracolo. Io so che c’è stato, però. L’ho conosciuto.”
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Interviste
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