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Oltre la sventura - Omaggio a SOLEDAD MIRANDA

26/4/2025

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Ci sono attrici che entrano nell’immaginario collettivo, icone capaci di sopravvivere al tempo e ai mutamenti di mode, gusti e passioni. In alcuni casi ciò avviene a livello popolare, universale; altre volte accade in un contesto soltanto settoriale, eppure pregno di significato. La seconda opzione ben si presta a un nome forse non famoso agli occhi degli spettatori comuni, ma legato in profondità al sentimento di chi ama un certo tipo di cinema con cui viaggiare fuori dai circuiti mainstream: parliamo della magnifica Soledad Miranda, musa indissolubilmente legata alla bulimica sete autoriale di Jesús Franco.

Soledad nasce a Siviglia nel 1943. Si presta alle attività di ballerina, modella e cantante, e debutta sul grande schermo a soli 17 anni. Dopodiché appare in diversi film, dei generi più disparati, compresi addirittura dei peplum girati in Italia, fino a quando Franco, che già le aveva affidato un piccolo cameo nel suo La reina del Tabarín, la chiama per affidarle il ruolo di Lucy Westenra in Count Dracula, rivisitazione stokeriana tra le più vicine (almeno per alcuni versi) alla materia narrativa d’origine. Sebbene non impegnata in una parte di primo piano, Soledad incanta sin da subito per la sua straordinaria bellezza, resta impressa nella mente più della Mina interpretata da Maria Rohm, e riesce persino a rubare la scena a Christopher Lee e Klaus Kinski, non certo gli ultimi arrivati.

Siamo nel 1969. Franco capisce che Soledad è l’asso vincente su cui puntare, e inizia un’intensa partnership durante la quale la sevillana diviene l’attrice feticcio da sfruttare in ogni maniera possibile. Nel giro di un paio d’anni, anche meno, il duo mette insieme alcune produzioni nelle quali la debordante sensualità dell’attrice esplode, rapisce, ipnotizza. Franco gira con lei alcune pose extra da aggiungere al già terminato Les cauchemars naissent la nuit, la inserisce in Sex Charade (a oggi considerato perduto, in quanto non esistono in commercio copie né in Blu-ray né in DVD), e la rende protagonista in Eugénie (conosciuto anche come De Sade 2000), tratto da un racconto del libertino Marchese. 

Qui vediamo una Soledad in fondo ancora acerba, a metà tra una sorta di candore virginale, quasi adolescenziale, e una carica erotica comunque già irrefrenabile. Le numerose volte in cui viene inquadrata sui divani, accucciata, con le mani a stringersi le gambe, con le calze oppure a piedi nudi, ne calcano l’apparenza giovanile, al limite del fanciullesco (anche se nella realtà era già moglie e madre). Salvo mutarne radicalmente le connotazioni quando aiuta il patrigno a uccidere vittime innocenti dopo averle sedotte, innestando sensazioni di godimento orgasmico nella sublimazione dell’omicidio.

Subito dopo si passa a Vampyros Lesbos, da molti ritenuto il punto più alto della carriera di Franco, nonché ulteriore riproposizione stokeriana virata però al femminile. Nei panni della contessa Nadine Korody, Soledad (con lo pseudonimo di Susann Korda per evitare problemi con la censura spagnola) domina la narrazione, inseguita con febbrile voluttà dalla macchina da presa, che insiste su riprese ravvicinate persino stordenti, zoom inesausti, e al contempo esplora ogni angolazione del suo corpo spesso totalmente senza veli, in lingerie o "coperto" solo da una sciarpa rossa divenuta di culto, e di recente omaggiata da Sean Baker nel pluripremiato Anora (con tanto di dedica a Soledad e Franco nei titoli di coda). 

Senza soluzione di continuità si va al film successivo, She Killed in Ecstasy, in cui vengono riutilizzate in parte le stesse musiche di Vampyros, oltre che lo stesso gruppo ormai fedele di attori (Fred Williams, Ewa Strömberg, Howard Vernon, Paul Müller, oltre al futuro Ispettore Derrick Horst Tappert). La trama, basata sulla vendetta di una vedova nei confronti dei responsabili del suicidio maritale, è perlopiù pretesto per sviluppare un lavoro (comunque pregevole) che si trasforma nel vero e assoluto trionfo di Soledad, nonché nella sua completa celebrazione. Lo stile estetico ed estatico di Franco, il suo lirismo spesso portato all’eccesso, il tentativo di innalzare la sua cifra poetica oltre i canoni della serie B (o presunta tale), trova in questo caso esiti felici, ma soprattutto consente allo spettatore di restare definitivamente inebetito di fronte a un’attrice con pochissimi eguali, creatura di splendore quasi mistico. 

La Soledad di She Killed in Ecstasy è più matura e consapevole. Il raggio d’azione espressivo si allarga. La vediamo ridere e piangere, ossequiare la malinconia della perdita e del lutto e nuotare nei meandri della ferocia ferina, bestiale, spiritata. Franco le fa indossare parrucche bionde e sgargianti capi quasi sempre virati al rosso, al viola o al nero, anche se poi gran parte delle volte è la sua nudità a far capolino. Lei, come da prassi, è a suo agio in fantasiose sequenze ad alto contenuto sessuale con uomini e donne, così come nelle situazioni di volta in volta più caute o violente, e non c’è attimo in cui non illumini come un raggio di sole dopo la tempesta.

C’è tempo, purtroppo, solo per un altro film, The Devil Came From Asakava, nel quale, accanto ai soliti attori già citati, interpreta il ruolo di un agente segreto in missione nella giungla, in una spy story vagamente bondiana di relativo interesse, nella quale però l’incanto di Soledad, sempre più sicura e conscia dei suoi mezzi, non manca di palesarsi in tanti momenti, tra un colpo di pistola, una danza audace e una doccia avvolta da registica epidermica adorazione.

Tutto termina qua, perché poco dopo l’attrice perde la vita, per le conseguenze di un incidente automobilistico, a soli 27 anni. Una tragedia resa ancora più beffarda dal fatto che la sventura si palesa mentre sta andando a firmare un nuovo contratto, grazie al quale la sua carriera avrebbe fatto un significativo step in avanti.

Cosa sarebbe accaduto, dopo? Soledad sarebbe rimasta ancora a lungo con Franco o prima o poi avrebbe compiuto il grande salto, magari verso paludosi lidi glamour hollywoodiani? La sua genuinità sarebbe rimasta intatta oppure le leggi della serie A (o presunta tale) l’avrebbero fagocitata?

Domande a cui nessuno avrà mai risposta. Ci resta solo uno sparuto gruppetto di pellicole, alcune delle quali in circolazione in molteplici versioni differenti, doppiate in inglese o in francese o in tedesco, integrali o tagliate, rispettose degli originali o rimontate, filologicamente accettabili o stuprate, come per buona parte della sterminata filmografia di Jess Franco. Ci restano le immagini di Soledad, troppo poche, eppure sufficienti per decretarne uno status di Mito, intoccabile anche a oltre 50 anni dalla scomparsa.

Aveva davanti a sé un regista che la faceva recitare nuda per gran parte del minutaggio, scandagliandone con fare un po’ (tanto) morboso ogni angolo del corpo, appiccandole addosso la MDP, chiedendole circonvoluzioni lascive sempre nuove; lei stava al gioco, forse divisa tra convinzione artistica, apprendistato e rampa di lancio per altri obiettivi. Il suo viso pareva un’opera d’arte. Non si trattava però soltanto di mera bellezza: Soledad andava oltre.

Ci manca, ancora oggi. Ci resta il non cicatrizzabile rimpianto. Ma non finisce mai l’opportunità di ricordarla e rivederla in quei frammenti, a modo loro gloriosi. Ed eterni. A dispetto del crudele e infame destino.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Extra

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