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ANGELS IN AMERICA - Il dramma del pregiudizio

4/10/2013

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Quando l’opera teatrale Angels in America: a gay fantasia on National themes fu allestita a Broadway, nel 1992, il tema dell’AIDS era ancora un tabù, negato da un velo di silenzio, disinteresse e indifferenza, solo parzialmente scardinato da opere cinematografiche e televisive sullo stesso tema. La sfida era già stata aperta, in punta di piedi, dal film per la TV Una gelata precoce (1985), e poi dal film Che mi dici di Willy? (1990).
La pièce scritta da Tony Kushner (sceneggiatore del Lincoln di Steven Spielberg) toccò direttamente e con intensità non solo le problematiche sull’AIDS, ma anche il pregiudizio sull’omosessualità, in una contesto storico molto preciso come quello del decennio reaganiano, contraddistinto dalla perestrojka e da quella rappresentazione mascolina e possente dell’America che le autrici femministe Susan Bordo (The male body) e Susan Faludi (Stiffed) legano alla politica di Ronald Reagan. L'opera ebbe un enorme successo di critica e pubblico, tanto da essere tenuta in cartellone dal 1992 al 1995, e vinse numerosi premi, dal Pulitzer al Tony Award, l’Oscar del teatro americano.
Nel 2003, quindi in tempi culturalmente assai diversi, il regista Mike Nichols (già vincitore dell’Oscar per Il laureato e autore di autentici cult) ha recuperato il testo di Tony Kushner per adattarlo in una versione televisiva prodotta da HBO. Monumentale, costoso e difficilissimo, l’Angels in America di Nichols riesce nell’intento di trasportare nella cornice del piccolo schermo un lavoro chiaramente concepito per il teatro, ricco di molteplici livelli espressivi, visivi e verbali.
La storia ruota attorno un gruppo eterogeneo di persone, svincolate l’una dall’altra eppure legate simbolicamente dall’AIDS, nelle sue controverse declinazione. Tutti sanno ma temono, così come temono la sessualità, o vivono nella repressione, nell’ombra, nella solitudine, nel pregiudizio di una società che si proclama avanzata ma che non riesce ad accettare i suoi figli. C’è Joe Pitt (Patrick Wilson), che nega la sua omosessualità anche di fronte alle insistenze della moglie Harper (Mary Louise Parker); Roy Cohn (Al Pacino), avvocato maccartista incapace di accettarsi e di accettare la malattia anche quando questa avvolge il suo corpo; Prior Walter (Justin Kirk) e Louis Ironson (Ben Shankman), una coppia che vive tutte le contraddizioni della società. C’è Hannah Pitt (Meryl Streep), madre di Joe e anello di congiunzione tra le umanità che popolano l’America. E poi c’è il fantasma di Ethel Rosenberg (Emma Thompson), che sospeso tra sogno, incubi e fantasie veglia sull’anima e sulla coscienza sofferente di Roy, mentre si compie il destino collettivo delle anime colpite.
Difficile commentare genericamente questa miniserie così intensa, densa, corposa, arricchita da un gruppo di attori straordinari. Nonostante le ottime prove di Al Pacino e Meryl Streep, le star che guidano il film attirando l’attenzione degli spettatori, i giovani comprimari toccano tutte le corde dell’emozione con interpretazioni toccanti, eleganti, magnetiche. Vincente la scelta di avere nel cast tanti nomi poco noti nel panorama cinematografico e televisivo, ma affermati invece nel teatro americano, da Patrick Wilson (performer di Broadway con all’attivo due nomination ai Tony Awards, qui alla prima prova televisiva importante), Ben Shankman (che addirittura lavorò nel workshop di Angels in America), Justin Kirk. Impossibile scegliere il migliore, e allora è quasi un bene che la critica televisiva abbia optato per premiare i più famosi, ma non meno bravi, Jeffrey Wright e Mary Louise Parker, rispettivamente pazienza e nevrosi dell’America che affronta come può il grande cambiamento sociale e culturale in atto.
Quando la camera di Nichols si avvicina sui visi di questi magnifici interpreti, ogni parola rimane impressa; quando si allontana, la gestualità cattura l’immagine, e non viceversa.
La miniserie di HBO ha dato a tutti una grande opportunità di conciliare qualità della scrittura, personaggi complessi e impianto teatrale, con il successo popolare che solo la televisione può garantire. Vincitore di una serie infinita di premi (tra cui 11 Emmy Awards e 5 Golden Globes), Angels in America non si sforza di costruire una ambientazione fittizia degli anni ’80. Al contrario, pur essendo costanti i richiami all’era di Reagan, Mike Nichols sceglie di suggerire l’epoca, più che di mostrarla. E la cosa più significativa, e anche sconvolgente, è che siamo ancora oggi tutti coinvolti nel dramma del pregiudizio, della negazione, dell’esclusione, dell’amore nascosto, sacrificato, nella ricerca di una ragione alla nostra natura, di una preghiera cui affidare la salvezza della nostra anima.

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: Extra


Scheda tecnica

Titolo originale: Angels in America: a gay fantasia on National themes
Regia: Mike Nichols
Sceneggiatura: Tony Kushner
Attori: Al Pacino, Meryl Streep, Emma Thompson, Ben Shankman, Justin Kirk, Patrick Wilson, Mary-Louise Parker, Jeffrey Wright, Michael Gambon
Durata: 352'
Anno: 2003
Fotografia: Stephen Goldblatt
Musica: Thomas Newman
In Italia: trasmesso in Italia per la prima volta da La7, nel 2004.

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