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TODO MODO - Il Petri dimenticato

18/7/2013

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Era la metà degli anni Settanta quando il Pci di Enrico Berlinguer raggiungeva l’apice del consenso elettorale, guadagnandosi l’ingresso nella maggioranza di governo. Al successo alle urne, però, si opponevano moti intestini al partito e alla sinistra tutta che, grossomodo, si dividevano tra esotismo rivoluzionario di matrice esotica – che guardava, ovviamente, alla Pechino cinese, ma anche all’Havana cubana – e insofferenza per determinati atteggiamenti moderati ed “unitari” abbracciati dalla sinistra storica. Parossismo di questi ultimi, quindi, l’elaborazione di Berlinguer relativa ad una proposta di collaborazione con le masse cattoliche organizzate dalla Democrazia Cristiana, vero e proprio preludio alla politica della “solidarietà nazionale”.
In questo periodo – scolpito dai testi inerenti al concetto di “compromesso storico” – Elio Petri realizza uno dei suoi film più controversi, grotteschi e ripudiati dagli ambienti politico-culturali italiani: Todo Modo. Girata nel 1976, l’opera filmica del regista romano rappresenta la sua seconda incursione nel mondo letterario del grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia dopo il bellissimo adattamento di A ciascuno il suo, di nove anni prima. Il Todo Modo sciasciano, di due anni più vecchio del film, narra la plumbea vicenda di un gruppo di notabili democristiani che si riunisce nell’albergo/eremo di un ambivalente sacerdote per svolgere degli “esercizi spirituali”. In questo contesto avvengono diversi omicidi che dovranno essere risolti dal commissario Scalambri.
Tra A ciascuno il suo e Todo Modo vi sono, come accennato, nove anni di distanza e un Elio Petri che ha di molto modificato il suo stile. Se il primo adattamento da Sciascia è saldamente ancorato ai topoi della verosimiglianza, precipui del primo Petri, quello degli splendidi L’assassino e I giorni contati, il secondo appare come una caleidoscopica espressione dell’ultimo cinema realizzato dal regista: grottesca, satirica e feroce. Il Todo Modo cinematografico si distingue, quindi, per una rappresentazione sopra le righe del potere democristiano incarnato nella figura di Aldo Moro, interpretato da Gian Maria Volonté, la cui mimesi appare impressionante e greve. A lui spetta, infatti, l’arduo compito di portare sullo schermo follia e modestia di un uomo politico che «opera perché nulla muti, ma volendo dare a tutti l’idea di un continuo mutamento».
Sorretta da un triumvirato attoriale di commovente bravura, composto da Marcello Mastroianni, Mariangela Melato e dal già citato Volonté, la pellicola si divide continuamente tra polarità opposte che cercano invano un compromesso: il peccato e il perdono, la politica e la sessualità, l’esercizio del potere e il suo mantenimento ad ogni costo. A queste si aggiunge la problematica più distintamente filmica relativa alla messa in scena di un cinema politico che, senza perdere artisticità alcuna, sia in grado di “arrivare” alle masse; privo, cioè, di qualsivoglia sotterfugio monadico.
Da questo punto di vista la dicotomia tra il pensiero di Petri e la realizzazione di Todo Modo avvicina e unisce l’autore ai tormenti dei suoi personaggi – esempi di un’umanità divisa tra l’apparenza e l’essenza, tra ambizioni e realtà; ne sono simboli il Cesare de I giorni contati, il Leonardo di Un tranquillo posto di campagna e il dirigente di polizia di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto –, facendo collidere il proprio estro registico con l’idea che «il cinema non è per un’élite, ma per le masse. […] un processo dialettico che debba cominciare tra le grandi masse, attraverso i film e ogni altro mezzo possibile». Nei fatti, il cinema politico di Petri è intellettuale ma non conchiuso in se stesso, richiede uno sforzo che non appartiene alla maggioranza ma che fornisce immensa soddisfazione a chi si cimenta nella sua analisi.
Con Todo Modo si ha l’impressione di “cadere” nell’oscurità di un potere sovrano sporco e malato, che invece di essere illuminato e guidato da mano cristiana e divina è buio come le catacombe dell’eremo di Zafer che ospitano il Moro/Volonté e la sua operosa combriccola. L’importanza di quest’opera risiede nella bravura e nella tenacia con cui Petri affronta temi impervi e assolutamente sconsigliabili in un momento storico di “pacificazione” tra le parti. A causa di questo e soprattutto dell’omicidio Moro, avvenuto nel 1978, il film venne volutamente ostracizzato anche da uomini politici che, in realtà, lo apprezzarono.
Todo Modo non fa che aumentare la caratura di un regista importante e dimenticato della storia italiana, che mette in scena le paure di una classe democristiana che vede in Moro il carnefice di un’intera corrente politica in favore di una nuova, apparente, serie di equilibri ed aperture. Queste paure, nella realtà, non avrebbero fatto altro che rovesciare il ruolo del rappresentante della Democrazia Cristiana, destinato a essere vittima e martire di un periodo storico pregno di luci e ombre.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Todo Modo
Anno: 1976
Regia: Elio Petri
Sceneggiatura: Elio Petri, Berto Pelosso
Fotografia: Luigi Kuveiller
Musiche: Ennio Morricone
Durata: 130’
Uscita in Italia: 30 aprile 1976
Attori principali: Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato, Michel Piccoli, Ciccio Ingrassia

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