Compiaciuto. Autoreferenziale. Vanitoso. Ruffiano. Questi aggettivi sono stati tirati in ballo da chi non ha del tutto apprezzato Mommy, l'ultimo lavoro dell'enfant prodige canadese Xavier Dolan, vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, dove peraltro molti pensavano (e speravano) potesse aggiudicarsi la Palma d'Oro. Il film del talentuoso venticinquenne, già cinque lungometraggi all'attivo e un alone di culto sempre più deciso alle (sulle) sue spalle, ha infatti entusiasmato il pubblico e la critica di tutto il mondo, raccogliendo un plebiscito frenato soltanto da alcune critiche espresse nei toni sopra accennati.
Siccome in questa sede non abbiamo intenzione di delineare a tutti i costi una mera apologia dolaniana, diciamo subito che le definizione riportate risultano comprensibili, finanche accettabili, perché a tutti gli effetti Mommy è realmente un film compiaciuto e vanitoso. Senza abbandonare la sua stupefacente carica espressiva, Dolan questa volta ha infatti lavorato soprattutto di testa, accantonando in parte l'istintualità dei precedenti Laurence Anyways e Tom à la ferme, per dare alla luce un prodotto più studiato, pensato, impostato con il chiaro intento di penetrare nel cuore dello spettatore.
Mommy racconta la storia del difficile rapporto tra Diane, madre perennemente alla ricerca di un posto del mondo, e il figlio Steve, violento e incontrollabile, parcheggiato per anni in diversi istituti di controllo e riabilitazione e alla fine espulso senza alcun sostanziale miglioramento. La loro ritrovata e obbligata unione si tramuta fin da subito in una battaglia quotidiana in cui si susseguono senza tregua discussioni, litigi, urla, zuffe, insulti, intervallati da rari momenti di quiete in cui esplode il desiderio di amore che entrambi, in modi diversi, vorrebbero esprimere senza esserne capaci. Diane ( Anne Dorval ), con il suo abbigliamento squinternato da femme fatale fuori tempo massimo, lotta per se stessa e per il figlio, perde il proprio lavoro, cerca vie d'uscita, affoga nello stress; Steve, dal canto suo, vive senza essere in grado di utilizzare freni inibitori, reclama attenzioni e affetto, si tuffa in gesti d'amore “sbagliati”, divora il mondo senza comprenderlo, esprime il suo desiderio di accettazione salvo poi smarrire ogni raziocinio alla prima parola errata.
Dolan conduce la sua opera secondo un doppio registro: non rinuncia alla creatività che da sempre gli appartiene, ma al contempo pare sviluppare un racconto diretto secondo canoni narrativi ben precisi, attraverso una rappresentazione ondivaga che sale e scende come la marea, tra scene-madri di impressionante impatto emotivo e sequenze intermedie che sembrano cullare la platea preparandola allo scontro successivo. A ben vedere, il personaggio di Diane risulta perfino stereotipato, nelle sue eterne e irreparabili contraddizioni, mentre la figura di Steve, pur ricca di sfumature, non è poi così lontana da tanti ritratti di adolescenti perturbati che il cinema da sempre è stato ed è interessato a proporre.
Eppure, nei suoi difetti, nelle imperfezioni, nelle eccessive e stancanti grida, nei tabarnac (1) ripetuti all'infinito, Mommy non fa altro che confermare le potenzialità di un talento smisurato, capace, nonostante la giovanissima età, di ruotare intorno all'asse dell'oggetto-cinema come una scheggia impazzita che non sa e non vuole porsi alcun limite.
1) L'equivalente del nostro vaff... nella lingua franco canadese.
Quanti, nel panorama contemporaneo, sanno usare il mezzo filmico come Dolan, inventandosi piccoli colpi di genio similari al momento in cui Steve letteralmente apre l'inquadratura con le mani modificando il formato stesso della pellicola? Quanti riescono a utilizzare con tale costrutto e fantasia l'apparato musicale? Quanti sono capaci di imprimere dentro e oltre lo schermo intuizioni di estrema qualità come quel magnifico ballo liberatorio in cucina, grazie al quale almeno per un istante ogni dolore può essere dimenticato? Quanti?
Pochi, pochissimi. Se dunque Mommy pare un lavoro auto-celebrativo, se ci trascina impunemente verso la lacrima facile, se Dolan dà già l'impressione di pavoneggiarsi allo specchio, in fondo poco importa. La sua storia trasuda comunque forza e vitalità da ogni poro, e ci offre, un'altra volta, una potenza stilistica debordante.
Ad accrescere ulteriormente il valore del film, si ha inoltre un bonus di impareggiabile valore: Kyla. Il terzo incomodo, l'insegnante balbuziente a riposo per un (presunto) anno sabbatico, la vicina misteriosa che si insinua con tagliente profondità nella guerra dichiarata tra Diane e Steve, riassume su di sé la sostanza di uno dei più bei personaggi in assoluto visti al cinema negli ultimi anni. Grazie anche alla splendida interpretazione dell'attrice Suzanne Clément , la figura di Kyla propone mille variazioni di sguardo e traiettoria, percorrendo strade tortuose che non hanno un inizio e nemmeno una fine. Negli occhi timidi di questa donna, nella sua lacerante e intima sofferenza, nella bontà pronta a trasformarsi all'improvviso in rabbia ferina, nella sua doppia essenza di paura e violenza, dolcezza e pentimento, Dolan raggiunge la vetta, piantando nella nostra anima il vessillo di creature perdenti che sanno comunque affrontare l'inferno a testa alta.
Diane, Steve, Kyla: tra speranza e rassegnazione, solitudine e abbandono, rimorsi e ferite sanguinanti, il destino segnato dei tre antieroi dolaniani scappa, ritorna, corre e strepita, generando un boato assordante che al contempo ci strazia e ci esalta, guidandoci sino a un ultimo confine, da abbattere a tutti i costi, in fuga verso l'impossibile traguardo del domani.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Cannes 67, Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Mommy
Anno: 2014
Durata: 134'
Regia: Xavier Dolan
Sceneggiatura, montaggio e costumi: Xavier Dolan
Fotografia: André Turpin
Musiche: Eduardo Noya
Attori: Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément, Alexandre Goyette, Patrick Huard
Uscita italiana: 4 dicembre 2014
Siccome in questa sede non abbiamo intenzione di delineare a tutti i costi una mera apologia dolaniana, diciamo subito che le definizione riportate risultano comprensibili, finanche accettabili, perché a tutti gli effetti Mommy è realmente un film compiaciuto e vanitoso. Senza abbandonare la sua stupefacente carica espressiva, Dolan questa volta ha infatti lavorato soprattutto di testa, accantonando in parte l'istintualità dei precedenti Laurence Anyways e Tom à la ferme, per dare alla luce un prodotto più studiato, pensato, impostato con il chiaro intento di penetrare nel cuore dello spettatore.
Mommy racconta la storia del difficile rapporto tra Diane, madre perennemente alla ricerca di un posto del mondo, e il figlio Steve, violento e incontrollabile, parcheggiato per anni in diversi istituti di controllo e riabilitazione e alla fine espulso senza alcun sostanziale miglioramento. La loro ritrovata e obbligata unione si tramuta fin da subito in una battaglia quotidiana in cui si susseguono senza tregua discussioni, litigi, urla, zuffe, insulti, intervallati da rari momenti di quiete in cui esplode il desiderio di amore che entrambi, in modi diversi, vorrebbero esprimere senza esserne capaci. Diane ( Anne Dorval ), con il suo abbigliamento squinternato da femme fatale fuori tempo massimo, lotta per se stessa e per il figlio, perde il proprio lavoro, cerca vie d'uscita, affoga nello stress; Steve, dal canto suo, vive senza essere in grado di utilizzare freni inibitori, reclama attenzioni e affetto, si tuffa in gesti d'amore “sbagliati”, divora il mondo senza comprenderlo, esprime il suo desiderio di accettazione salvo poi smarrire ogni raziocinio alla prima parola errata.
Dolan conduce la sua opera secondo un doppio registro: non rinuncia alla creatività che da sempre gli appartiene, ma al contempo pare sviluppare un racconto diretto secondo canoni narrativi ben precisi, attraverso una rappresentazione ondivaga che sale e scende come la marea, tra scene-madri di impressionante impatto emotivo e sequenze intermedie che sembrano cullare la platea preparandola allo scontro successivo. A ben vedere, il personaggio di Diane risulta perfino stereotipato, nelle sue eterne e irreparabili contraddizioni, mentre la figura di Steve, pur ricca di sfumature, non è poi così lontana da tanti ritratti di adolescenti perturbati che il cinema da sempre è stato ed è interessato a proporre.
Eppure, nei suoi difetti, nelle imperfezioni, nelle eccessive e stancanti grida, nei tabarnac (1) ripetuti all'infinito, Mommy non fa altro che confermare le potenzialità di un talento smisurato, capace, nonostante la giovanissima età, di ruotare intorno all'asse dell'oggetto-cinema come una scheggia impazzita che non sa e non vuole porsi alcun limite.
1) L'equivalente del nostro vaff... nella lingua franco canadese.
Quanti, nel panorama contemporaneo, sanno usare il mezzo filmico come Dolan, inventandosi piccoli colpi di genio similari al momento in cui Steve letteralmente apre l'inquadratura con le mani modificando il formato stesso della pellicola? Quanti riescono a utilizzare con tale costrutto e fantasia l'apparato musicale? Quanti sono capaci di imprimere dentro e oltre lo schermo intuizioni di estrema qualità come quel magnifico ballo liberatorio in cucina, grazie al quale almeno per un istante ogni dolore può essere dimenticato? Quanti?
Pochi, pochissimi. Se dunque Mommy pare un lavoro auto-celebrativo, se ci trascina impunemente verso la lacrima facile, se Dolan dà già l'impressione di pavoneggiarsi allo specchio, in fondo poco importa. La sua storia trasuda comunque forza e vitalità da ogni poro, e ci offre, un'altra volta, una potenza stilistica debordante.
Ad accrescere ulteriormente il valore del film, si ha inoltre un bonus di impareggiabile valore: Kyla. Il terzo incomodo, l'insegnante balbuziente a riposo per un (presunto) anno sabbatico, la vicina misteriosa che si insinua con tagliente profondità nella guerra dichiarata tra Diane e Steve, riassume su di sé la sostanza di uno dei più bei personaggi in assoluto visti al cinema negli ultimi anni. Grazie anche alla splendida interpretazione dell'attrice Suzanne Clément , la figura di Kyla propone mille variazioni di sguardo e traiettoria, percorrendo strade tortuose che non hanno un inizio e nemmeno una fine. Negli occhi timidi di questa donna, nella sua lacerante e intima sofferenza, nella bontà pronta a trasformarsi all'improvviso in rabbia ferina, nella sua doppia essenza di paura e violenza, dolcezza e pentimento, Dolan raggiunge la vetta, piantando nella nostra anima il vessillo di creature perdenti che sanno comunque affrontare l'inferno a testa alta.
Diane, Steve, Kyla: tra speranza e rassegnazione, solitudine e abbandono, rimorsi e ferite sanguinanti, il destino segnato dei tre antieroi dolaniani scappa, ritorna, corre e strepita, generando un boato assordante che al contempo ci strazia e ci esalta, guidandoci sino a un ultimo confine, da abbattere a tutti i costi, in fuga verso l'impossibile traguardo del domani.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Cannes 67, Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Mommy
Anno: 2014
Durata: 134'
Regia: Xavier Dolan
Sceneggiatura, montaggio e costumi: Xavier Dolan
Fotografia: André Turpin
Musiche: Eduardo Noya
Attori: Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément, Alexandre Goyette, Patrick Huard
Uscita italiana: 4 dicembre 2014
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