Un minatore, esasperato per la corruzione che dilaga senza controllo nel suo villaggio, decide di farsi giustizia da sé; un lavoratore migrante torna nel paese d'origine, ritrova la famiglia ma scopre anche le possibilità offerte da un'arma da fuoco; una donna, receptionist in una sauna, si difende dal tentativo di stupro di un facoltoso cliente; un ragazzo, in cerca di sicurezze per il futuro, si sposta da un luogo all'altro in cerca di un minimo di stabilità.
Storie, frammenti, intarsi; organismi sfibrati dall'incertezza, bagnati dal dolore, consumati dalla lotta per la vita; attimi di passione, esplosioni di ferocia, rivoli di sangue e disperazione; microcosmi alterati dalla realtà sociale di un paese, la Cina, mai come ora soffocato dalle contraddizioni. Tutto questo, e molto altro, in A Touch of Sin, accolto da forti entusiasmi e premiato a Cannes con il riconoscimento per la miglior sceneggiatura, a confermare ancora una volta la stima di cui gode Jia Zhang-ke, autore molto amato dal pubblico cinefilo occidentale, e già trionfatore a Venezia sette anni fa con Still Life. È proprio al Leone d'Oro che A Touch of Sin pare avvicinarsi di più nella sua pregevole filmografia, per come riesce a incanalare con efficacia piccoli torrenti di (tanta) sventura e (poca) speranza nell'ampio quadro di una realtà enorme, indecifrabile, logorante, impietosa.
La Cina di oggi si nutre di un liberismo economico fuori controllo, adagiato sul potere distruttivo del capitale. Ricchezza e immoralità gettano sempre più ai margini reietti senza possibilità di scampo, e l'uomo in quanto tale altro non è (diventato) se non un animale da trattare con disprezzo, un mezzo per accumulare denaro o all'opposto uno strumento inutile da scartare come spazzatura. In questo clima desolante i personaggi di Jia Zhang-ke cercano di volta in volta un afflato di giustizia, vendetta, rassicurazione, scontrandosi con il demone oscuro del vizio e della sopraffazione individuale e sociale. Non rimane che l'istintualità dell'atto estremo, folle, incurabile; una via senza ritorno, ma in fondo l'unica possibile.
Nel dialogo forse più significativo dell'intera pellicola, si chiede “perché non te ne vai da qui?”, e si risponde “andare dove? All'estero? Gli altri paesi sono tutti in bancarotta, sono gli stranieri a venire da noi”. In queste parole si esprime il senso di una comunità chiusa agli occhi del mondo, prigioniera di errate certezze e condannata a orripilanti derivazioni e deviazioni culturali (le prostitute del bordello che si presentano ai clienti marciando come soldatesse con tanto di divisa militare). La consolazione del sangue, con cui trovare l'impossibile volo verso la libertà, riassume l'unico istante di potere racchiuso nel globo soffocante della sconfitta.
Se vogliamo, per paradosso, il premio alla sceneggiatura, pure solidissima e intelligente, non rende merito alla qualità dell'opera di Jia Zhang-ke. È infatti soprattutto l'acume registico a imporsi per la capacità di giocare con impressionanti contrasti di sguardo e colore, durante i quali ogni soffio consolatorio risulta defenestrato a vantaggio di una messinscena tanto rude quanto indispensabile. Il rosso vivo del sangue appena versato si erge a simbolo universale di una provincia ammazzata ogni giorno dal potere centrale, e lo stordimento dei personaggi al tramonto della pazzia racchiude la definitiva implosione di un sistema marcio che al momento non trova alcun appiglio per l'avvenire.
Non resta che l'abbraccio tagliente della violenza, padrona del giorno e della notte; un fuoco d'artificio da sparare alla Luna, o un'opera da cantare durante una rappresentazione per le strade; una triste litania rivolta a un domani senza più luce.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Cannes 2013
Scheda tecnica
Titolo originale: Tian zhu ding
Anno: 2013
Regia: Jia Zhang-Ke
Sceneggiatura: Jia Zhang-Ke
Fotografia: Yu Lik-wai
Montaggio: Matthieu Laclau, Lin Xudong
Scenografia: Liu Weixin
Colonna sonora: Lim Giong
Durata: 133'
Attori: Jiang Wu, Li Meng, Luo Lanshan, Wang Baoqiang, Zhang Jiayi
Storie, frammenti, intarsi; organismi sfibrati dall'incertezza, bagnati dal dolore, consumati dalla lotta per la vita; attimi di passione, esplosioni di ferocia, rivoli di sangue e disperazione; microcosmi alterati dalla realtà sociale di un paese, la Cina, mai come ora soffocato dalle contraddizioni. Tutto questo, e molto altro, in A Touch of Sin, accolto da forti entusiasmi e premiato a Cannes con il riconoscimento per la miglior sceneggiatura, a confermare ancora una volta la stima di cui gode Jia Zhang-ke, autore molto amato dal pubblico cinefilo occidentale, e già trionfatore a Venezia sette anni fa con Still Life. È proprio al Leone d'Oro che A Touch of Sin pare avvicinarsi di più nella sua pregevole filmografia, per come riesce a incanalare con efficacia piccoli torrenti di (tanta) sventura e (poca) speranza nell'ampio quadro di una realtà enorme, indecifrabile, logorante, impietosa.
La Cina di oggi si nutre di un liberismo economico fuori controllo, adagiato sul potere distruttivo del capitale. Ricchezza e immoralità gettano sempre più ai margini reietti senza possibilità di scampo, e l'uomo in quanto tale altro non è (diventato) se non un animale da trattare con disprezzo, un mezzo per accumulare denaro o all'opposto uno strumento inutile da scartare come spazzatura. In questo clima desolante i personaggi di Jia Zhang-ke cercano di volta in volta un afflato di giustizia, vendetta, rassicurazione, scontrandosi con il demone oscuro del vizio e della sopraffazione individuale e sociale. Non rimane che l'istintualità dell'atto estremo, folle, incurabile; una via senza ritorno, ma in fondo l'unica possibile.
Nel dialogo forse più significativo dell'intera pellicola, si chiede “perché non te ne vai da qui?”, e si risponde “andare dove? All'estero? Gli altri paesi sono tutti in bancarotta, sono gli stranieri a venire da noi”. In queste parole si esprime il senso di una comunità chiusa agli occhi del mondo, prigioniera di errate certezze e condannata a orripilanti derivazioni e deviazioni culturali (le prostitute del bordello che si presentano ai clienti marciando come soldatesse con tanto di divisa militare). La consolazione del sangue, con cui trovare l'impossibile volo verso la libertà, riassume l'unico istante di potere racchiuso nel globo soffocante della sconfitta.
Se vogliamo, per paradosso, il premio alla sceneggiatura, pure solidissima e intelligente, non rende merito alla qualità dell'opera di Jia Zhang-ke. È infatti soprattutto l'acume registico a imporsi per la capacità di giocare con impressionanti contrasti di sguardo e colore, durante i quali ogni soffio consolatorio risulta defenestrato a vantaggio di una messinscena tanto rude quanto indispensabile. Il rosso vivo del sangue appena versato si erge a simbolo universale di una provincia ammazzata ogni giorno dal potere centrale, e lo stordimento dei personaggi al tramonto della pazzia racchiude la definitiva implosione di un sistema marcio che al momento non trova alcun appiglio per l'avvenire.
Non resta che l'abbraccio tagliente della violenza, padrona del giorno e della notte; un fuoco d'artificio da sparare alla Luna, o un'opera da cantare durante una rappresentazione per le strade; una triste litania rivolta a un domani senza più luce.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Cannes 2013
Scheda tecnica
Titolo originale: Tian zhu ding
Anno: 2013
Regia: Jia Zhang-Ke
Sceneggiatura: Jia Zhang-Ke
Fotografia: Yu Lik-wai
Montaggio: Matthieu Laclau, Lin Xudong
Scenografia: Liu Weixin
Colonna sonora: Lim Giong
Durata: 133'
Attori: Jiang Wu, Li Meng, Luo Lanshan, Wang Baoqiang, Zhang Jiayi