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IL RITRATTO DI JENNIE - L'ispirazione perduta

12/10/2015

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Galeotta fu la vhs che molti anni fa mi portò a spalancare i miei occhi di bambina davanti a questo film. Erroneamente indicato come un “classico dell’orrore”, mi trovai davanti un film di una tale e tenera bellezza da comprenderne poco o nulla, all’epoca. Restai folgorata da quel Joseph Cotten che sarebbe diventato il mio attore preferito fra i mostri sacri del vintage e la mia paura fu appena solleticata da Jennie, la bambina che scompare.
Guardiamo quindi questo film denso di atmosfere misteriose, drammatiche, romantiche, ma guardiamolo con occhi differenti. Quelli di oggi, più che mai sensibili alla bellezza.
1934, sullo sfondo di una New York invernale fatta di grattacieli e pattinatori: un povero pittore senza fortuna vaga per le gallerie sperando che qualcuno compri i suoi quadri. Il regista, complice, lo porta più volte a camminare dentro una tela. Stiamo guardando forse noi stessi un quadro?

​Quadri. Di fari e mari tempestosi dove tutto emerge meno che quella forza prorompente che spiana la via al pennello: l’amore. Così, senza uno spicciolo in tasca e appesantito da troppe tele rifiutate, il pittore Eben Adams (Joseph Cotten) girovaga nel parco ed è lì che incontra Jennie (Jennifer Jones) per la prima volta. Deve avermi profondamente spaventata, da bambina, la visione di quella ragazzina poco più grande di me in abiti antiquati. Il suo canto – dove vado nessuno sa, dove vado tutto va – affascina tanto il pittore quanto il pubblico. Jennie è un piccolo mistero canterino, contraddittorio, esuberante, che attraversa la vita dell’infelice artista come un piccolo arcobaleno.
Di lì a poco Eben torna alla vita di sempre, scuote la testa divertito ripensando alla bimba chiacchierona incontrata nel parco, affronta una velenosa padrona di casa con la mano tesa e uno sgradevole “I soldi dell’affitto!” incastrato fra i denti. Eppure, nel grigiore di una vita scossa da ben poche ispirazioni, la piccola Jennie è riuscita a oliare leggermente gli ingranaggi: quella notte, come in una magnifica favola newyorchese in bianco e nero, il pittore non chiude occhio per dipingere la sconosciuta e fissare i suoi tratti. 
Di lei gli rimane soltanto un ritaglio di giornale e quando l’indomani lo mostra a un amico si accorge di un sinistro dettaglio: il giornale è di molti anni prima, come se la piccola Jennie lo avesse portato da un altro tempo. 
La vita misera e sacrificata del giovane artista prosegue nonostante quel pezzetto di carta vecchia; è una vita che il regista fotografa impietoso: i sotterfugi per ricavare un boccone a pranzo, il piccolo mondo degli artisti incompresi, una taverna dove cercare ingaggio per dipingere un affresco inneggiante all’Irlanda. Per Eben la strada verso la celebrità è ancora lunga, e reagisce con genuino stupore quando alla galleria Matthews and Spinney uno dei suoi studi a matita viene giudicato buono. Non una delle solite scene di mare in tempesta, ma l’abbozzo di un volto di bambina, quella Jennie che sembra portarsi appresso una sottile e irresistibile fortuna; il viso “antico e moderno” di ogni donna, il viso che non passa di moda. La prodigiosa bambina a matita garantisce all’artista venticinque dollari, dà lui fiducia e pasti caldi.
Non rimane che uscire in quella città farinosa di neve e piena di parchi sconfinati a cercare Jennie, l’inarrivabile scintilla di spontaneità e bellezza, la musa insolita e casuale. Non mancano, nel corso della ricerca, gli spaccati sulla vita dell’artista: la sua fuga dal Maine lasciandosi alle spalle la polverosa esistenza di paese, la speranza di affrancarsi mettendo su tela le proprie idee, la vita da topo di soffitta fra pennelli e tubetti di colore.
Quando Eben incontra Jennie all’improvviso, su una pista di pattinaggio, la trova quasi cambiata. Più raffinata. Forse cresciuta. Decisamente più vicina a una donna che a una bambina. In pochi giorni la sua musa ha cambiato aspetto, e parla al passato come se fossero passati anni dal primo incontro col pittore. L’ovale grazioso di una bambina è diventato il delizioso volto di una donna e questo nuovo incontro sotto un sole incerto e nel bel mezzo della neve newyorchese è linfa per il pittore disperato.
L’ossessione dell’artista per quella visione magnifica diventa in breve la nostra. William Dieterle gioca sapientemente con luci e foschie regalandoci illusioni oniriche nel bel mezzo di una caotica città. Non manca inoltre una pista squisitamente investigativa che prende il via quando Eben decide di scoprire qualcosa in più sulla strana amica che talvolta compare fra gli alberi. Lo ritroveremo a vagare fra gli scheletri dei vecchi teatri, ficcanasando negli album di foto e ricostruendo tassello per tassello la vita di una giovane donna che non può raccontarsi.
Perché come l’ispirazione lei arriva e se ne va a suo piacimento, non appartiene e non si lascia catturare facilmente, non conosce forzature e non sempre mantiene le proprie promesse.
Dove va nessuno sa, dove va tutti vanno.
Bunuel, affascinato da questo film, lo definì “una fragile storia di fantasmi”; non esiste definizione migliore di questa.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection

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Scheda tecnica

Titolo originale: Portrait of Jennie
Anno: 1948
Durata: 88'
Regia: William Dieterle
Sceneggiatura: Peter Berneis, Ben Hecht, David O. Selznick, Robert Nathan, Paul Osborn
Fotografia: Joseph H. August
Musiche: Dimitri Tiomkin, Bernard Herrmann
Attori: Jennifer Jones, Joseph Cotten, Ethel Barrymore, Cecil Kellaway, Lillian Gish

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