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L'EREDITIERA - Nessuno ama Caterina

18/12/2013

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Siamo circondati da truffe e questo è un fatto ma alcuni – io, nella fattispecie – alimentano ancora quella fiammella di speranza che porta a fidarsi del prossimo. Anche quando il prossimo telefona a casa proponendo una visita gratuita e senza impegno di un mobilificio e, in breve, vi chiede dove abitate e in quali orari trovarvi soli a casa. Così, “per dare un’occhiata ai mobili vecchi”.
Questa è gente che ha fiuto per i buoni affari, ma il buon affare che sto per presentarvi è diverso da ogni altro. Ha una crocchia di treccine, grandi occhi spalancati, modi schivi e veste abiti dimessi, si chiama Caterina Sloper ed è l’ereditiera. La impersona Olivia De Havilland, cogliendo appieno la sua natura: non proprio bella, dolcissima e indifesa, Caterina vive in un’America ottocentesca ossessionata dall’etichetta, è orfana di madre e destinata a possederne tutti i beni, nonché perennemente rannicchiata all’ombra di un grande uomo. Austin Sloper (Ralph Richardson) è suo padre, stimato medico e uomo dalla battuta pronta, autoritario e astuto. Si aggiunge a loro la zia Lavinia (Miriam Hopkins), presenza effervescente e chiacchierona, vedova inconsolabile quanto donna sveglia e brillante. Il dottor Sloper e la zia hanno un solo problema: maritare quella Caterina introversa e non troppo avvenente che non sembra riscuotere l’interesse dei giovani della città. 
Da questa miscela scoppiettante ci si aspetta una romantica commedia degli equivoci di gusto pungente. Impressione che ci accompagna durante ogni iniziale, spassosa scena del film, dove una goffa Caterina soggiace ai desideri paterni e tenta vanamente di abbellire il suo musetto per recarsi al ballo. La tensione, tuttavia, è destinata a fare il suo ingresso in scena: veste abiti finissimi, è galante e forte del sorriso angelico di Montgomery Clift. Lui è Morris Townsend, ha messo gli occhi su Caterina durante il ballo ed è pronto a farla arrossire coi suoi modi da adorabile mascalzone. Lei, per tutta risposta, è in balia dell’imbarazzo e non fa mistero della sua natura credulona e assai poco raffinata. 
Il binomio pericoloso prende forma e seguiamo ammutoliti le varie e complicate fasi di quello strano corteggiamento. Lui, bellissimo e squattrinato, è pazzo di lei. Lei, ricamando centrini e calcandosi cuffie sulla testa, sembra a ogni scena più ridicola. Eppure è d’amore che parla il bel Morris e i nostri cuori si lasciano corrompere volentieri dalle sue accorate dichiarazioni.
Sullo sfondo scorrono interni di bomboniera via via più opprimenti, sete, lampade e scaloni, nido di ferro di un uccellino piccolo e spaurito che non sa spiccare il volo. Quando Morris chiede a Caterina di sposarlo, una terribile aria di tempesta inizia ad aleggiare nella casa. Il dottor Sloper è certo di avere a che fare con un avventuriero attirato dalla cospicua dote della figlia e non vuole darla in sposa. Lei, inconsapevole posta in gioco, ha assaggiato con la punta della lingua il miele e non ha nessuna intenzione di sciacquarsi la bocca.
Lo scontro è inevitabile e William Wyler non desiste dal prenderci per mano e farci scivolare come in un giro di valzer sempre più serrato dentro il vivo della storia. Da un lato c’è il medico burbero e i suoi divieti, dall’altro il giovane ammiratore armato solo delle proprie parole poetiche e al centro quella minuscola e scolorita Caterina che finisce per diventare la beniamina inevitabile: l’eroina atipica che lotta per difendere il suo amore, mai arresa e sempre più pressata fra i due poli maschili. Ma il proposito certamente caustico di Wyler è metterci di fronte a una domanda cruciale. Quello di Morris è vero amore?
Il regista non semina chiari indizi per trovare risposta al dilemma; è come se volesse infilarci per primi nei panni di quella Caterina tanto ricca quanto innamorata. Ci lascia appesi allo sguardo ceruleo di Morris e ci tormenta distaccandocene per volere di un padre severo. Dobbiamo credere alla figura protettiva del vecchio luminare o lasciarci sedurre dalle promesse del giovane scapestrato? 
Quando Morris propone a Caterina una fuga romantica, l’intenzione più dissacrante del regista viene a galla, tanto che il film pare diviso in due grandi scaglioni: il primo è aggraziato e floreale, il secondo è greve. Il romanticismo è diluito sino a scomparire dalla scena, a rimpiazzarlo ci sarà freddezza, vendetta, rabbia mai sopita e brutti scheletri nell’armadio. L’anima nera del film, per quanto vestita di broccato e dedita al punto croce, alza la testa con prepotenza e ci trascina verso un finale di fiammelle che si spengono lente in una notte plumbea e inesorabile. Non una tragedia, ma un delicato e gustoso ritratto di società, giocato sul tema dell’amore e della negazione dello stesso, capace persino di strapparci un sorriso finale rivelando la vera e grande eredità di Caterina. Il carattere.
Privarsi della visione di questo particolare capolavoro non è di certo quel che si dice un buon affare.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: The Heiress
Anno: 1949
Durata: 115'
Regia: William Wyler
Sceneggiatura: Ruth Goetz, Augustus Goetz
Fotografia: Leo Tover
Musiche: Aaron Copland, Ray Evans, Jay Livingston
Attori: Olivia de Havilland, Montgomery Clift, Ralph Richardson, Miriam Hopkins, Mona Freeman

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IL COLLEZIONISTA - Una farfalla dai capelli rossi

18/4/2013

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Ho programmato una gita per la giornata di oggi e stamattina mi sono ritrovata a letto con un ospite scomodo: la febbre. Quattro mura e una coperta di pile rosa (odioso, odioso colore rosa!), porta ben chiusa e nessuna gita in vista. Potrei sentirmi ulteriormente abbruttita bevendo una tazza di latte, ma un forte spirito di autoconservazione viene in mio soccorso: meglio sfoderare un film adatto all’occasione e rassegnarsi a smoccolare nella carta Scottex. Ebbene, vogliamo parlare di “reclusione”? Rivediamo Il Collezionista. Superato il mio solito approccio difficile all’uso dei colori sullo schermo, il resto è in discesa.
Ora, immaginate di essere bambini intenti a saltellare in una radiosa e soleggiata campagna inglese. Ecco, vi siete messi a seguire una farfalla con un retino e ne studiate furtivi ogni mossa. Potete acchiapparla, quell’ignara farfallina, è tanto vicina a voi. Con un balzo le siete accanto e il retino la imprigiona per sempre. Contenti? Contenti sì, vi lasciate andare a una danzetta di esultanza. Poi i vostri piedi curiosi vi spingono sulla soglia di una vecchia e immensa casa, davanti alla quale pende il cartello “Vendesi”. Ecco. Se immaginate tutto questo vi sentirete esattamente come il protagonista di questo film, con una piccola differenza: il nostro protagonista, Freddie Clegg (Terence Stamp), vive le gioie di un bambino, ma è un adulto. Il nostro protagonista, per chi di voi avesse ancora qualche dubbio, è uno psicopatico.
Lo seguiamo con lieve eccitazione nella cantina fatiscente della vecchia casa in vendita e riconosciamo nei suoi occhi un’espressione ammirata: la sua voce fuori campo annuncia che “ha trovato il posto giusto” e comprerà la casa. Il barlume di buonsenso che è in noi ci fa sperare voglia acquistarla per riempire la cantina di farfalle sotto teca. In un certo senso, è proprio ciò che ha intenzione di fare: vuole chiudere in cantina la farfalla più bella che abbia mai trovato, Miranda Grey. Miranda (Samantha Eggar) è una giovane studentessa d’arte, capelli rossi e lentiggini, fresca e spensierata, figlia di un medico, circondata da amici, vestita a colori sgargianti. Una farfalla, appunto. Freddie la rapisce stordendola con il cloroformio dopo averla a lungo pedinata, e la storia comincia a delinearsi in maniera più netta e spaventosa. 
Siete mai stati ossessionati dall’oggetto del desiderio? Freddie sì, e ha comprato la vecchia casa grazie a una vincita fortuita, preparando la cantina per l’arrivo della sua farfalla dai capelli rossi. Quando Miranda si sveglia, si ritrova in una cameretta da principessa, sotterranea, dove il suo sequestratore elegantissimo compare di tanto in tanto e si dichiara “ai suoi ordini”. Lei non vede l’ora di scappare, lui sembra un maggiordomo inglese di poche parole: la situazione ha quasi del comico. Ci aspettiamo qualche cigolio sinistro, qualche tortura o esplosione di follia alla Misery non deve morire e restiamo a bocca asciutta. Lui “la rispetta troppo per farle del male”, vuole soltanto servirla e farla sentire a casa. Ah, c’è un’altra cosa che vuole: che lei s’innamori di lui e scelga liberamente la sua prigionia per sempre. Semplice, no?
Questo film è uno spietato contagocce e rannicchiata sotto il mio pile rosa non posso che aggredire a morsi le pellicine del pollice. Una Bella e la Bestia della follia interpretata da due bellissimi. C’è tensione pura e snervante, scena dopo scena: tutto è sin troppo lineare ed è proprio questo che affascina. Sappiamo che lui non le farà del male fisico e allora iniziamo a temere i demoni nella sua testa. Ben presto comprendiamo che, nell’infinita cortesia dei suoi modi, si celano gli odiosi ricatti di un bambino dispettoso. La casa e la cantina sono un monumento alla claustrofobia, tripudio di legno caldo e fredde teche per farfalle uccise con uno spillo. 
Troppe volte Miranda è a un passo dalla libertà, e troppe volte Freddie la ferma in tempo: William Wyler maltratta i nostri nervi come fossero fili di marionetta. In alcuni passaggi assaporiamo un’incerta sindrome di Stoccolma, come se fra i due nascesse una precaria amicizia, un’intesa data dalla forzata convivenza. Sconvolge vederli camminare in campagna: da lontano sembrano una coppia tranquilla, ma Miranda ha le mani legate con una cinghia. Mentre Freddie oscilla fra l’indifeso e il sadico, lei cerca di trattare: rimarrà in quella cantina per quattro settimane, poi sarà libera. Questi sono i patti e i giorni passano in bilico fra odio e forzata coesistenza nei sotterranei limpidi di luce artificiale, tratteggiando una grande metafora umana dell’entomologia: la farfalla prigioniera non perde il suo colore e la sua vivacità. Miranda non è una prigioniera affamata o sudicia: rimane splendida, traboccante di cultura, memore delle sue origini, “fastidiosamente” viva. Eppure condannata alla teca.
Potete acchiapparla, quell’ignara farfallina, è tanto vicina a voi. Ma siete certi che sia quella giusta?
Io, per oggi, mi accontento del sole attraverso i vetri.
Almeno la mia prigione ha le finestre, e il mio carceriere si chiama Oki.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: The Collector
Anno: 1965
Regia: William Wyler
Sceneggiatura: John Kohn, Stanley Mann (da un racconto di John Fowles)
Fotografia: Robert Krasker, Robert Surtees
Musiche: Maurice Jarre
Durata: 119'
Attori principali: Terence Stamp, Samantha Eggar, Mona Washbourne, Maurice Dallimore.

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